Mille e cento ragazzi in cerca dei segreti della democrazia americana. Solo uno verrà eletto governatore. Ogni anno, a partire dal lontano 1935, si ritrovano un gruppo di giovani nel cuore più liberal del Texas, la capitale di stato Austin, che Ethan Hawke, Terrence Malick, Matthew McConaughey e Richard Linklater chiamano casa. Li riuniscono e selezionano i vertici della America Legion, un’organizzazione di veterani delle forze armate che hanno prestato servizio in tempo di guerra. Si ritrovano per una settimana, studiano, si confrontano, scelgono di candidarsi: i più riservati per il Senato o la Camera dei rappresentanti, magari arrivando a tentare la scalata a speaker, presidente del parlamento, mentre i più carismatici o convinti si sfidano per il ruolo cruciale, quello di governatore del Texas, il non plus ultra per Boys State.
Vengono da realtà sociali e politiche molto diverse, anche se prevalgono i conservatori, come normale in Texas, e le minoranze hanno uno spazio limitato. “Non ho mai visto così tanti bianchi in vita mia, mai”, come dice un ragazzo afroamericano in lizza per un ruolo dirigenziale nel suo partito. Già, i ragazzi devono infatti dividersi in partiti, qui chiamati Federalisti e Nazionalisti, la cui piattaforma saranno loro a plasmare con proposte e dibattiti. Il consenso è l’elemento chiave con cui farsi ascoltare, facendo strada all’interno di platee di adolescenti elettrizzati. All’inizio sembrano prenderla come un gioco, come dargli torto. Propongono mozioni non proprio centrali per la loro formazione come il divieto dell’ananas nella pizza, nonostante immagino per molti di noi possa esserlo, centrale, o arrivano alla provocazione di chiedere la secessione di Boys State, neanche del Texas, dagli Stati Uniti.
Con il passare dei giorni, però, con l’identificazione dei giovani con le maggiori capacità di attirare consenso, che diventano i protagonisti di Boys State, il documentario diretto da Amanda McBaine e Jesse Moss, tutti iniziano a prenderci gusto, a impegnarsi sempre di più, aumentando l’attenzione in aula e il tempo della riflessione prima di votare o semplicemente parlare.
Una storia di formazione, che per forza di cose mette di fronte mondi diammetralmente opposti: dai bianchi wasp appena usciti dal campo di football, pronti a lanciarsi nel mondo delle confraternite universitarie, con i loro valori di mascolinità e tutela di libertà e tradizione, alle minoranze che per prime si affacciano nelle aule scolastiche e accademiche, pronte a tutto per entrare in quelle del potere e rendere merito, con i fatti, ai grandi sacrifici di madri o nonne emigrate negli USA pochi anni o decenni prima. Persone come Steven Garza, madre nata in Messico, posseduto da una passione sfrenata per la poltica fin da quella volta in cui partecipò a un comizio di Bernie Sanders. Un puro, adorato dai suoi supporter, che ha fatto dire a molti spettatori, “se si candidasse alle presidenziali al posto di Trump e Biden lo voterei subito”. Fidatevi, vi innamorerete di Steven Garza, così come di questi adolescenti capaci di commuoversi per la politica, di impegnarsi a fondo per rendere il mondo anche solo un poco migliore di come l’hanno trovato.
Osservandoli c’è da essere ottimisti, sicuramente di più che osservando “i politici veri”, pensando che lo stato di salute della democrazia americana possa essere migliorato con le prossime generazioni. Rimane però, ed è la cosa più interessante e inquietante del documentario, già ben chiara la linea di divisione nella maniera di fare politica, fra la buona volontà ai limiti del candore di Garza e l’abilità cinica di chi già mette in scena giochetti sporchi e si riempie la bocca di frasi come questa, “Un messaggio di unità, per quanto bello possa suonare, non vincerà mai nessuna elezione”. L’astuto pianificatore sembra pronto a una carriera in quella politica che fatica a ritrovare il suo smalto e il rispetto degli elettori. Ce lo insegna bene uno dei ragazzi, feriti perché sconfitti, definendolo così: “è un fantastico politico, ma non credo sia un complimento”.
L’ideale e la sua realizzazione pratica: una distanza in questi anni sempre più siderale, con la speranza che, anche attraverso l’esempio di questo manipolo di mille ragazzi, la si possa rendere sempre minore, cercando un consenso che rispetti gli elettori. Questo film è un autoanalisi allo specchio della democrazia americana assolutamente da non perdere, valido com’è anche nel resto del mondo. Un vero gioiello, interessante, istruttivo, ma anche appassionante, irresistibile e, non l’avremmo mai immaginato, alla fine anche commovente.
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