Pubblicato da Adelphi, il libro scritto da Guido Vitiello racconta uno dei capolavori di Alfred Hitchcock da una prospettiva insolita: analizzando trailer, dettagli, quadri e orpelli della scenografia del film.
In questo 2020 appena iniziato, si festeggeranno due importanti ricorrenze hitchcockiane: il quarantennale della morte del grande Alfred Hitchcock, avvenuta il 29 aprile del 1980; e il sessantennale dell'uscita di uno dei suoi più noti e amati capolavori: Psycho.
Passato tutto questo tempo, proprio quando si poteva pensare che sul genio di Hitchcock in generale, e su quel film in particolare, fosse stato legittimamente detto tutto, ecco che Guido Vitiello, docente di Teorie del cinema e dell'audiovisivo all'Università di Roma La Sapienza e collaboratore di testate come Internazionale e Il Foglio, arriva a sconvolgere queste apparenti certezze con un libro che getta una luce nuova, mistica e intrigante su quel film.
Il libro di Vitiello si chiama "Una visita al Bates Motel", è pubblicato da Adelphi e prende le mosse dal alcuni strani indizi: il misterioso ma significativo refuso dell'Hollywood Reporter, che nel 1959 annunciò come "Psyche" e non "Psycho" il titolo del nuovo film Hitchcock; e la presenza in una scena del film di una riproduzione di "Amore e Psiche giacenti" di Antonio Canova; una sibillina dichiarazione del regista, che presentò Psycho alla stampa come un’"escursione nel sesso metafisico".
Partendo da qui, e dalla natura colta, ironica e complessa di Hitchcock, che aveva un passato da scenografo e che nelle sue apparizioni pubbliche era un sornione e solenne imbonitore, "Una visita al Bates Motel" esamina nel dettaglio i quadri, le riproduzioni, gli oggetti e le suppellettili che il regista aveva voluto - e che a volte aveva altrettanto volutamente trascurato, in apparenza - all'interno del Bates Motel e della cosiddetta "Bates Mansion", la casa sulla collina dove Norman vive con la vecchia madre.
Una visita al Bates Motel: la copertina del libro di Guido Vitiello
Secondo Vitiello, Hitchcock aveva fatto di quei luoghi delle Wunderkammern dove nessun dettaglio era casuale: e analizzando la presenza di oggetti come i celebri uccelli impagliati, certo, ma anche "Susanna e i vecchioni" di Willem van Meris, e la "Venere allo specchio" di Tiziano, e le statuine di Cupido e la "Primavera" di Edouard Bisson, Vitiello costruisce un divertente, colto e labirintico castello teorico, dove le coincidenze borgesiane si vanno a intrecciare con l'erotica misterica, la psicanalisi, la mitologia; un triangolo i cui vertici sono rappresentati da tre cicli mitologici infernali - Amore e Psiche, Orfeo ed Euridice, Demetra e Persefone - e al cui centro c'è il buco nero dei misteri eleusini, e del loro ciclo costante di morti e rinascite.
"Una visita al Bates Motel", capace di attrattive vertiginose e allo stesso tempo quasi ammiccante e sornione come l'Hitchcock che racconta, esplode tutte le potenzialità di Psycho proprio riducendo l'intero film a Wunderkammern, parla dell'esoterismo connaturato all'immagine cinematografica, ragiona sullo sguardo: che esso sia dello spettatore, dell'autore o del Norman che fissa la macchina da presa alla fine del film. Mescolando i livelli, confondendo le carte mentre le svela. L'importanza dello sguardo, e di ciò che si vede, è centrale nel libro stesso, inteso proprio come oggetto fisico, costellato com'è di immagini che vanno oltre l'illustrazione e la didascalia, e si fanno parte integrante e propulsoria del racconto e dell'analisi dell'autore.
E Vitiello, proprio come Hitchcock, si diverte a giocare col potere evocativo delle immagini, sui wormholes che conducono dalla pura rappresentazione al racconto, e alle sue molteplici sfaccettature. Portando avanti un'erutida investigazione, dove le digressioni e le strade laterali non sono mai meno importanti delle direttrici principali e delle loro conclusioni.
Psycho: il trailer
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