mercoledì 27 ottobre 2021

Madres paralelas, le mie donne imperfette che guardano al passato: incontro con Pedro Almodovar

Una felpa giallo limone, circondato dal rosso della locandina del suo ultimo film, Madres Paralelas. Pedro Almodovar incontra alcuni giornalisti italiani via zoom, direttamente dal suo ufficio di Madrid, per parlare di un film che ha commosso in tanti a Venezia, anche per l’interpretazione da Coppa Volpi di Penelope Cruz, ma non ha convinto l’Accademia del cinema spagnolo a sceglierlo per rappresentare il paese iberico agli Oscar per il film internazionale. “Cosa posso dirvi, mi sarebbe piaciuto scegliessero me”, ha commentato.

In uscita dal 28 ottobre per Warner, racconta la storia di due donne madrilene, single e incinte per errore, di due generazioni diverse, interpretate da Penelope Cruz e la sorprendente giovane rivelazione Milena Smit. Partoriscono nello stesso ospedale, nelle stesse ore. Saranno destinate a ritrovarsi, a consolidare il loro rapporto.

Madres paralelas è un altro film del regista originario della Mancha con al centro ritratti al femminile, ma questa volta sono madri imperfette “Per la prima volta non mi sono ispirato alle donne della mia infanzia, o a mia madre", ha detto Almodovar. "Sono loro che mi hanno spinto a creare personaggi femminili, con la loro capacità di lotta e sopravvivenza. Non credo che le donne oggi siano più fragili, sono state però trattate ingiustamente nel corso della storia del mondo. La generazione di mia madre, sopravvissuta alla guerra e alla fame, era sicuramente fortissima. Da loro dipendeva di fatto la sopravvivenza stessa del paese. I problemi di oggi di una donna non solo gli stessi, si trova a vivere una lotta legittima per avere un’uguale remunerazione a parità di lavoro. C’è un grande movimento di lotta per i diritti, anche quelli ottenuti e da mantenere, come l’aborto."

La vittoria a Venezia della Cruz, ormai consolidata musa per il regista, è stata naturalmente “una grande gioia. Anche perché c’erano altre grandi interpreti, in un festival quest’anno di ottimo livello. Hanno premiato il film in generale, oltre a lei, e un lavoro di molti mesi. Penelope non si sente molto vicina a Janis, sempre in contraddizione con quello che dice, nascondendo altre intenzioni. Questo provoca un senso di colpa e vergogna. Sono elementi molto difficili da rappresentare, che hanno richiesto un lavoro di almeno tre mesi. Credo di aver provato con lei tutta la sceneggiatura almeno due o tre volte."

Come detto, le protagoniste sono due madri imperfette, per una volta. “L’ho fatto per cambiare. Descrivere una madre che non possiede istinto materno è molto interessante, dal punto di visto drammaturgico. L’opposto di una madre modello. Una persona così egoista che fa di tutto, durante la separazione, per lasciare la figlia al marito, per fare quello che vuole, l’attrice. Mi hanno ispirato alcune persone che conosco, in cui la vocazione per la recitazione è molto più forte rispetto a quella di madre. Non le giudico. Devono pagare per questo un prezzo molto alto, specie quando non vengono aiutate dal padre. Janis, il personaggio della Cruz, è una madre invece molto amorevole, una donna di oggi che lavora. Cerco di parlare di quanto sia complesso mettere insieme una professione e la cura dei un bambino, soprattutto se da sole. È interessante l’aumento di autrici donne che raccontano le loro storie. Cose che soltanto le donne possono dire. La stessa Mostra ha premiato una donna, come anche Cannes. In una madre è insito un mistero che noi uomini non possiamo disvelare, di origine biologica. Una testimonianza che può avvenire solo dalle donne. Non so perché, ma a me sono sempre interessati maggiormente i personaggi femminili e per fortuna ho potuto avere le migliori attrici spagnole, come Penelope.”

Per la prima volta la storia spagnola entra prepotentemente in un cinema di solito molto personale, intimo, come quello di Almodovar, affrontando il tema delle fosse comuni in cui sono ancora sepolti migliaia di desaparecidos, sterminati dal franchismo durante la guerra civile degli anni Trenta

"È l’unico grande tema ancora in sospeso della guerra civile”, ha dichiarato Almodovar, “finché non verrà risolto la società spagnola non potrà considerare chiuso quell’orribile capitolo dopo 85 anni. Si dice ci siano 114 mila i desaparecidos sepolti. Un debito contratto con le vittime e le loro famiglie che deve essere pagato quanto prima. Ora sono i nipoti, come nel film, che chiedono l’apertura di queste fosse. Da Julieta i miei film sono più sobri, meno barocchi. Con un numero sempre minore di personaggi, ma andando più a fondo. Ogni gesto artistico è politico, anche i miei primi film, più pop e deliranti degli anni ’80. Nel raccontare, per esempio, ogni tipo di preferenza sessuale e di genere, quando non se ne parlava. Il regista ha un potere enorme: quello di imporre la sua visione del mondo. Le mie donne, a prescindere dal loro posto nella società, hanno sempre avuto una grande autonomia morale. Il caso ha un ruolo chiave, come motore drammatico. Scegliere la destra o la sinistra uscendo di casa porta a un cambiamento radicale del destino. Nelle mie storie innesca il dinamismo. Dal dilemma morale del personaggio di Penelope Cruz, finiamo a parlare delle fosse. Un dramma che non so se è stato il destino a imporre a noi spagnoli, ma Franco ha sterminato tanta gente non impegnata in guerra, ma presa nella propria quotidianità, in casa. Persone condannate poi alla non esistenza, come non fossero mai vissute. Una delle pagine più buie della nostra storia.”

Un passato al centro della narrazione, raccontato al tempo presente. Ma il futuro, invece, cosa gli riserverà e da dove trova ancora la passione per raccontare storie? “Il bisogno di raccontare storie è irrazionale, nel mio caso. Sono nato con questa necessità, lo facevo anche da piccolo, quando il pubblico erano i miei fratelli. Da adolescente ho scoperto il cinema e capito che volevo fare quel lavoro. Anche se era difficile dalle mie parti, non avevo soldi e non conoscevo nessuno. Non sono potuto andare alla scuola di cinema, perché Franco l’aveva chiusa. Era come nascere in Giappone, e voler fare il torero. Non ero nato nel posto giusto. Ma con gli stipendi del mio lavoro alla Telefonica mi sono comprato una macchina da presa in superotto e ho cominciato a fare cinema. Parlando di futuro, non so cosa riserverà ai ragazzi di oggi, non li conosco sufficientemente bene. Ma ho scritto due storie ambientate nel futuro: una è erede diretta di Blade Runner, con tanto di replicanti in forma umana, una specie di tragicommedia distopica; un’altra è ispirata in qualche modo dal cambiamento climatico e dalle enormi perdite che comporta per le specie marine. Un tema che mi preoccupa molto. Sono storie ambientate nel futuro, in cui ovviamente sono riflessi problemi dell’attualità.”



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