mercoledì 7 luglio 2021

Ouistreham: la recensione del film di Emmanuel Carrère con Juliette Binoche che ha aperto la Quinzaine di Cannes 2021

Andare in trincea, arruolarsi per conoscere in prima persona, davvero, cosa voglia dire combattere ogni giorno, ma anche la profondità inusitata del cameratismo, della comunanza umana che solo in battaglia si raggiunge. Niente fucili o scontri a fuoco, però, sono al centro di Ouistreham, terzo film dello scrittore Emmanuel Carrère, anche se la divisa la protagonista, Juliette Binoche, la indossa eccome: è un camice da lavoro a taglia unica. Lascia la Parigi dei circoli degli scrittori e intellettuali per le coste della Normandia operaia, dove si unisce a colleghe e colleghi con storie di varia precarietà, lavorando come donna delle pulizie sui traghetti per l’Inghilterra, che partono proprio dalla cittadina di Ouistreham. Un universo lavorativo basato su contratti brevi e non garantiti, in crisi dopo il crollo degli attraversamenti della Manica via mare.

Una storia nata per la passione di due donne, capaci di rinnovare la tradizione ancora viva in Francia dell’intellettuale “impegnato”. La prima è Florence Aubenas, giornalista e scrittrice, che una decina d’anni fa scrisse un libro, Le Quai de Ouistreham, da cui il film è liberamente tratto. La seconda è Juliette Binoche stessa, che da anni porta avanti con tenacia il progetto di raccontare al cinema questa storia di donne ai margini. È infatti produttrice, oltre che protagonista. Non stupisce che le due abbiano scelto proprio Carrère. Non certo per le frequentazioni cinematografiche dello scrittore, non poi così assidue, quanto per la sua sensibilità nell’affrontare anche questi racconti fra inchiesta giornalistica e sintesi letteraria, come dimostrato con A Calais, in cui, appena a pochi chilometri di distanza, affrontava un altro precariato, addirittura esistenziale, quello dell’immigrazione e dei campi di reclusione di chi non è riuscito ad attraversare il mare in direzione Gran Bretagna.

Fra Loach e la tradizione francese dei registi “sociali”, come Brizé e Cantet, Ouistreham adotta un punto di vista particolare, rendendo non solo finzione quello che è un libro “documentario”, ma utilizzando una sorta di versione cinematografica dell’autofiction cara a Carrère, inserendo nella narrazione come protagonista proprio l’autrice del libro. È attraverso la Binoche/Aubenas che entriamo nelle “vite degli altri”, non annunciati, sacrificando la sincerità nel rapporto in cambio della ricerca di un - forse impossibile - rapporto paritario. “Sei una falsa persona”, le dice a un certo punto una delle colleghe più intime, ormai diventata amica e confidente, una volta svelato il peccato originale. In fondo, una declinazione diversa della dibattuta questione sullo sfruttamento della vita personale di chi è vicino a uno scrittore “del sé testimoniale”, che finisce nelle pagine di un libro magari senza saperlo o autorizzarlo. Basti pensare alla polemica scatenata con l’ex compagna di Carrère, in seguito alla pubblicazione di Yoga.

Al contrario di alcuni lavori recenti di Ken Loach, solo all’inizio Ouistreham individua la burocrazia, o la spersonalizzazione dei rapporti lavorativi in era digitale, come antagonista della vicenda. Al centro c’è una riflessione sulla dignità del lavoro, sul rispetto dovuto anche a chi sguscia via dalle cabine quando è ancora buio, permettendo a chi entra nella nave dai piani alti di trovare la sua bolla di pulizia e vetusta (apparente) eleganza. La scelta di interpreti del luogo, non professionisti, in qualche caso già presenti nel libro della Aubenas, dà un sapore autentico a questa storia che rischiava di restare in bilico. Ritratti di donne che riempiono il cuore per la loro normalità, in un mondo lavorativo in cui “gli uomini non puliscono i bagni. È così, è una regola”.

Una sceneggiatura molto misurata ed attenta, poi, valorizza i vari personaggi che ruotano attorno alla maestosa presenza, e interpretazione, di Juliette Binoche. Difficile rendere credibile una star come lei intenta a pulire i gabinetti incrostati da chi pensa sia sempre tutto dovuto. Il grande merito di Ouistreham è di riuscirci, di commuovere per la ricchezza di rapporti, anche se brevi, costruiti sulla condivisione di fragilità e paura per il futuro. Anche se la realtà è dietro l’angolo, e un abisso sociale non può essere annullato neanche da questo legame, in un mondo in cui la mobilità di classe è sempre più preclusa, almeno quella che ambisce a un miglioramento.



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