Sta attirando molta attenzione su di sé il documentario Seaspiracy, da alcuni giorni disponibile su Netflix. Entro il primo minuto dopo averlo mandato in play, sentiamo dire da qualcuno "fare un documentario come questo è pericoloso". L'autore 27enne Ali Tabrizi ha realizzato questo film per portare a conoscenza del più ampio numero di spettatori possibile i segreti della pesca commerciale, che ha un forte impatto tanto sulle persone che ci lavorano quanto sull'ambiente e sulla biodiversità degli oceani.
Introducento l'argomento con il drammatico e annoso problema dell'inquinamento marino, dovuto soprattutto ai rifiuti di plastica, Seaspiracy si spinge negli oscuri meandri dell'industria ittica mostrando la mattanza di squali, tonni e delfini. Il documentario arriva a contestare il concetto di pesca ecosostenibile, promuovendo la tesi che diverse associazioni per la conservazione dei fondi marini e il rispetto delle pratiche di pesca, siano esse stesse all'interno di una cospirazione per favorire l'industria. Come se non bastasse, si parla anche di moderna schiavitù e diritti umani calpestati nei confronti dei pescatori che sono alla base della piramide gerarchica.
Seaspiracy: dagli elogi sui social alle critiche di chi appare nel film
In pochi giorni Seaspiracy è finito nella top ten di Netflix in molti paesi. Il documentario è discusso vorticosamente sui social media e ha ricevuto il supporto di alcune celebrità che hanno sempre un occhio di riguardo per le tematiche ambientali. Tra questi, il vegano e rock star canadese Bryan Adams invita fortemente i suoi follower a vedere il film e a smettere di mangiare pesce.
Ma stando a quanto racconta il giornale inglese The Guardian, alcune persone intervistate che appaiono nel documentario sostengono le loro parole siano state usate montate fuori contesto per agevolare il punto di vista dell'autore.
Nel documentario vediamo e sentiamo parlare Mark Palmer, co-direttore americano della IMMP (International Marine Mammal Project) che è responsabile dell'etichetta Dolphin Safe sulle scatolette di tonno in vendita negli Stati Uniti. La presenza di questo marchio certifica che il tonno in questione è stato pescato riducendo al minimo il rischio di cattura e morte di delfini.
Palmer racconta che, alla domanda se il suo gruppo potesse garantire che nessun delfino fosse mai stato ucciso in qualunque tonnara del mondo, ha risposto "non ci sono garanzie nella vita, ma riducendo drasticamente il numero di pescherecci a caccia di delfini insieme alle altre regolamentazioni in essere, il numero di delfini uccisi è molto basso".
"Il film ha usato la mia dichiarazione fuori contesto suggerendo che non ci sia un controllo e che non sappiamo se i delfini vengono uccisi e questo non è vero", spiega Palmer secondo il quale Seaspiracy "dichiara il falso" quando dice che la Dolphin Safe voglia beneficiare la pesca industriale mondiale.
Anche il direttore generale di IMMP David Phillips si unisce al collega parlando di "grossolana distorsione" delle informazioni e ribadisce che il programma Dolphin Label ha ridotto del 95% l'indiscriminata mattanza dei delfini che prima arrivava a ucciderne centomila all'anno.
Anche la Marine Steward Council (MSC) si è fatta avanti attraverso un portavoce. L'organizzazione no profit che ha una sede anche in Italia, è responsabile di un altro programma di certificazione con lo scopo di accertare il rispetto di pratiche di pesca ecosostenibili. "Sono dichiarazioni fuorvianti" quelle del film che vogliono screditare la serietà dell'etichetta MSC, in quanto "il positivo impatto del nostro lavoro è stato riconosciuto dalle Nazioni Unite per il fondamentale supporto alla biodiversità dell'oceano. Le società di pesca che chiedono il riconoscimento MSC, lavorano duro per raggiungere gli standard che imponiamo".
Ad alcuni critici, inoltre, non è sfuggita una delle statistiche più scioccanti riportate da Seaspiracy, secondo cui "gli oceani nel 2048 saranno privi di pesci". Questo dato arriva da uno studio del 2006 dell'ecologista marino Boris Worm che è stato smentito e archiviato come erroneo dallo stesso autore nel 2009.
L'opinione del professore e ambientalista Callum Roberts, presente anch'egli nel documentario, è quella di considerare il film non per il suo rigore scientifico, ma per il messaggio che è assecondato dalla narrazione. "I miei colleghi possono deplorare le statistiche" spiega il professore, "ma la questione fondamentale è che stiamo facendo enormi danni all'oceano e questo è un fatto. A un certo punto si esaurirà. Che si tratti del 2048 o del 2079, la domanda è: la direzione della nostra traiettoria va dalla parte sbagliata o dalla parte giusta?".
Il regista Ali Tabrizi sapeva dell'impossibilità allineare tutti alla sua visione, ma respinge al mittente le accuse di informazioni distorte e di montaggio fuori contesto delle interviste. "Non siamo scienziati e non diciamo di esserlo. Nonostante ci sia un po' di confusione rispetto alle proiezioni sul futuro dell'oceano, la situazione generale della pesca commerciale è in grave declino".
Seaspiracy: chi è l'autore e regista Ali Tabrizi
Nato nel Sud dell'Inghillterra, Ali Tabrizi è un giovane filmmaker di 27 anni che realizza documentari sull'ambiente insieme alla moglie Lucy, con cui ha fondato la società Disrupt Studios. La coppia ha un figlio nato pochi mesi fa.
Tabrizi aveva iniziato a specializzarsi in giornalismo di inchiesta al London College of Communication, per poi abbandonare gli studi e proseguire da autodidatta. Il suo interesse per la fauna acquatica risale all'infanzia, essendo cresciuto a due passi dal mare, e anche la sua sensibilità nei confronti della protezione dell'ambiente si è sviluppata molto presto. Il suo impegno con Seaspiracy è iniziato nel 2017 per documentare la vita marina, ma nel corso delle sue ricerche ha scoperto quanto fosse ingombrante la presenza umana e in che modo incidesse sull'ecosistema dei mari.
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