La 76ma Mostra del Cinema di Venezia ha scelto per aprire le danze del concorso il nuovo lavoro di Kore-eda Hirozaku, nel 2018 palma d'oro a Cannes con il suo primo grande successo al botteghino, Un affare di famiglia; La verité è invece il suo primo film interamente realizzato fuori dal Giappone, con attori e tecnici francesi. Il film è nato, come racconta lo stesso Kore-eda nelle sue note di regia, da una proposta di Juliette Binoche, durante una sua visita di qualche anno fa nell'Impero del Sol Levante, ‘di fare qualcosa insieme'.
Va da sé che la prestigiosa palmarès conquistata in Croisette deve aver fortemente accelerato le fasi produttive di quello che altrimenti sarebbe forse ancora a lungo rimasto un progetto in progress. L'incrocio di due (o più) culture dello sguardo non sempre produce, in un contesto cinematografico, risultati all'altezza delle aspettative, perché il cinema, per sua natura attività collettiva, è il frutto della collaborazione di più persone che per sensibilità e differenza di lingua potrebbero non trovarsi del tutto a proprio agio nel comune sforzo creativo. Per le stesse ragioni, invece, sono proprio queste differenze a scatenare talvolta fertilissimi cortocircuiti, e a far conseguire risultati inattesi e sorprendenti. Nel caso di La verité l'operazione va a porsi nel mezzo, anche per via di una troppo incolore avvertibilità di un ‘autore' (ormai così viene considerato un po' dovunque Kore-eda) capace senz'altro di allestire con garbo e scorrevolezza una vicenda leggera e ‘francese' come quella di un'attrice avanti d'età che nell'occasione dell'uscita in libreria delle proprie memorie riceve nella sua magione parigina la visita di sua figlia, del marito americano, e della nipotina bilingue, senza tuttavia lasciar trasparire una mano narratrice precisa e identificabile, almeno sotto il profilo squisitamente cinematografico: primi piani televisivi, panoramiche incerte, goffaggini e casualità di montaggio e riprese, fotografia scialba, mostrano che al regista, anche in questo caso autore del soggetto e della sceneggiatura, stava molto a più a cuore qualcos'altro, che forse riesce a fornire al film una più congrua ragion d'essere. Narratore, in patria, di delicate (anche troppo) storie concentrate sulle relazioni familiari, Kore-eda europeizza la propria rabdomanzia sentimentale per scandagliare attraverso una scrittura che non conserva nulla degli schemi e degli stilemi del suo paese, risultando anzi camaleonticamente identico a tanti altri fra i suoi colleghi francesi, alcuni Grandi Temi come la vecchiaia incombente, l'egocentrismo di una madre famosa e ingombrante che senza accorgersene inibisce le legittime aspirazioni emulative della figlia (c'è chi ha parlato addirittura di evidenti richiami a Eva contro Eva), e quel cinema nel cinema tanto caro a parecchi tra coloro che dalla Nouvelle Vague in poi hanno girato film a Parigi e dintorni, e un po' in tutto il territorio francese: ingredienti diluiti con una abilità non lontana da una certa furberia, a onor del vero mai compiaciuta, di un autore cui va riconosciuto il merito di essersi conquistato ormai planetariamente la fiducia e l'affetto del pubblico delle sale con i tratti pastellati e acquarellati (ma pure un tantino educlorati e stucchevoli) della propria scrittura filmica.
Tuttavia, tra i sostenitori e i detrattori del cinema di Kore-eda nessuno potrà non riconoscere a La verité il suo pregio più evidente, che conferisce al film spessore e incisività: Catherine Deneuve. Docilissima nell'accettare un ruolo espressamente pensato per lei e cucitole addosso con amore e rispetto, la Deneuve lo adorna e riveste di una tale corporeità da farcene avvertire lo spostamento d'aria. L'eleganza, la leggerezza, e ovviamente l'abbondanza di autoironia nel dipingersi come madre-nonna-strega incolpevole e talentuosa, o come gran diva che non ricorda quali delle sue colleghe coetanee siano ancora in vita e chi no, e al sentir nominare la Bardot percorre l'intero rettangolo dello schermo col guizzo di un pesce da un angolo all'altro dell'acquario pur di evitare signorilmente di pronunciare anche la più innocua cattiveria, sono gli elementi davvero indimenticabili di un film cui senza la Deneuve non sarebbe sufficiente il contributo di una pur generosa Juliette Binoche per rimpolparne la tutto sommato esile consistenza.
(La verité); Regia: Kore-eda Hirokazu; sceneggiatura: Kore-eda Hirokazu; fotografia: Eric Gautier; montaggio: Kore-eda Hirokazu; musica: Alexeï Aïgui; interpreti: Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ethan Hawke; produzione: 3B Productions, Bunbuku & M.i Movies, France 3 Cinéma; origine: Francia, 2019; durata: 107'
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