Si esce turbati da Marriage Story, l'ultimo film di Noah Baumbach dopo The Meyerowitz stories, sconclusionata famiglia all'ombra di un padre artista. Non si rimane passivi e insensibili davanti alla ricognizione sistematica e chirurgica della fine di una storia d'amore: nella primissima scena le voci fuori campo dei due protagonisti enumerano con descrizioni particolareggiate le ragioni per cui si sono innamorati l'uno dell'altra, stordendo il pubblico di amore fino alla scoperta che quei pregi e quelle caratteristiche di moglie e marito appartengono alla lista richiesta da un mediatore matrimoniale per tentare di tenere in piedi il rapporto. Charlie, Nicole e Henri sono una bella famiglia: lui regista teatrale, lei attrice, lui figlio dell'amore, lui è un padre amorevole, lei una madre giocosa, il bambino buono e mai piagnucoloso. Ma l'amore è al capolinea, o almeno pare sia così, le reciproche vite professionali non si incastrano più bene, le differenze portano corpi e anime in direzioni e luoghi geografici diversi, il divorzio sembra essere l'unica strada che possa sancire la fine del matrimonio senza la fine di una civile e rispettosa relazione genitoriale. Nel mezzo l'inferno degli avvocati californiani, ribaltamento di senso per ogni frase pronunciata, la paura che sia il bambino a rimetterci, le finanze che rapidamente prendono il volo. La famiglia come luogo dell'amore ma anche della paura, della violenza verbale, del passato che viene gettato come un'onta addosso a corpi dolorosi stanchi di incassare. Adam Driver e Scarlett Johansson vestono mimeticamente e perfettamente i panni sporchi da lavare tra le quattro mura con recitazione in crescendo su una sceneggiatura sfaccettata e così realistica da non consentire alla bilancia di pendere per uno dei due. La matrice autobiografica del regista (e di ogni spettatore, in veste attiva o passiva, di genitore o di figlio) caricano le due ore e un quarto di empatia assoluta, di risate amare, di lacrime da groppo alla gola. Tutto ha una sua misura: la casa losangelina di Charlie (prima spoglia e triste, poi, all'arrivo della consulente familiare, calda e vissuta - buco da cazzotto nel muro compreso), il disagio di Nicole nell'essere una musa senza avere spazio di esprimere sé stessa come artista, gli ambigui rapporti affettuosi tra Charlie e la suocera, la competizione vibrante tra l'avvocatessa di lei e gli avvocati di lui (Laura Dern in stato di grazia durante il monologo sulla vergine Maria; Alan Alda reduce da tre divorzi si espone col suo cliente “mi ricordi me al secondo”; Ray Liotta sciacallo senza scrupoli dal viso di pietra). Quando si perde qualcosa si scopre il suo valore, questo viene da pensare all'uscita dalla visione: quanto varrebbe la pena provare a ricordarlo mentre non si è ancora perso. Un film vero, denso come il sangue, dolente come una rosa recisa, acuminato come la lama di un coltellino svizzero (attenzione, taglia quando meno ce lo si aspetti).
(Marriage story); Regia: Noah Baumbach; sceneggiatura: Noah Baumbach; fotografia: Robbie Ryan; montaggio: Jennifer Lame; musica: Randy Newman; interpreti: Scarlett Johansson, Adam Driver, Laura Dern, Alan Alda, Ray Liotta, Julie Hagerty; produzione: Heyday Films (Noah Baumbach, David Heyman), Netflix;origine: USA, 2019; durata: 135'
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