Il film di Gurinder Chadha racconta di un ragazzo che grazie alla musica del Boss trova la forza di inseguire i propri sogni.
Per noi che saliamo e scendiamo dagli aerei, Luton è un aeroporto, un non-luogo dove spendiamo le ultime sterline in biscotti al burro o dal quale ci congediamo velocemente, salendo su un treno che in meno di un'ora ci porta nel cuore pulsante della metropoli inglese. Ma per chi non lo sapesse, Luton è anche una città del Bedfordshire bagnata dal fiume Lea che ha una popolazione di 214 mila persone e una squadra di calcio. Nonostante la sua gloriosa storia, che comincia nel VI° secolo d.C., i suoi abitanti, specialmente chi ha meno di 30 anni, desiderano andare via, per mescolarsi alla pazza folla della capitale o per tentare fortuna nelle grandi città del nord: Liverpool, Manchester, eccetera. E forse è comprensibile, perché già 30 anni fa l'industria automobilistica ha rallentato i ritmi di produzione, e la città ha conosciuto la disoccupazione e il declino.
Fino ad oggi Luton è stata "Great Britain" allo stato puro (nonostante la globalizzazione), ma dal 29 agosto diventerà l'inizio di un ponte che arriva fin negli Stati Uniti, nel New Jersey, per l'esattezza, niente meno che ad Asbury Park, la patria ideale di Bruce Springsteen. Il nuovo film di Gurinder Chadha Blinded by the Light racconta infatti il percorso di crescita di un adolescente anglo-pakistano che scopre che a Luton si può fantasticare su una "Promised Land" e che il sogno americano è possibile, laddove per sogno americano si intende il coraggio di credere nelle proprie aspirazioni, oltre alla voglia di lavorare sodo e a un'incondizionata fiducia nel prossimo. "Yes, we can", (anzi, "I can") impara a dire il timido Javed, che ambisce a diventare uno scrittore e che impugna finalmente il proprio destino quando ascolta "Dancing in The Dark", condensato di ritmo e di energia, oltre che brano più pop del settimo album di Springsteen - e in un teen-movie dove impazza "It’s A Sin" dei Pet Shop Boys il sound di Bruce non poteva non passare attraverso la porta del genere degli Wham! e degli Spandau Ballet.
L'ultima traccia registrata per "Born In The U.S.A." è dunque la prima canzone di Springsteen che sentiamo nel film. Con la sua voce roca, il Boss ci invita a reagire all'apatia e all’indolenza, a smettere di "ballare nell’oscurità" e a far scoccare quella scintilla senza la quale non può esserci fuoco. Chiuso nella sua cameretta con il walkman alle orecchie, in una notte di tempesta, Javed ha l'impressione che la sua coscienza abbia cominciato improvvisamente a parlare, dicendo: "Non vado da nessuna parte se continuo a vivere in una discarica come questa. Da qualche parte sta succedendo qualcosa, baby so che è così". L’effetto dei versi è dirompente, una deflagrazione, e l'identificazione del figlio di un padre ottuso con il leader della E Street Band totale - e meno male che per un ragazzo della classe operaia apparentemente senza un futuro esiste la musica, che viaggia oltre i confini, se ne infischia delle mode e trasforma i pensieri in note.
Nella scena con "Dancing in the Dark" la regista ricorre all'escamotage delle parole scritte in sovrimpressione, trucco che userà altre volte in Blinded by the Light, che è ambientato nel 1987, anno in cui Springsteen non era certo un dilettante, visto che incideva album dal '73. Proprio uno dei brani del suo LP d'esordio, "Greetings From Asbury Park N.J.", ha dato il titolo al nostro film, che utilizza i brani di Bruce anche in un'altra maniera, e cioè trasformandoli in numeri musicali in cui a cantare è sempre il Boss, mentre a ballare sono Viveik Kaira, Aaron Phagura, Hayley Atwell & Co. Succede così che, a metà racconto, Javed e il suo amico Roops suonino di nascosto alla radio della scuola "Born to Run". Anche se le immagini che accompagnano il brano sono la divertente fotografia di una bravata, le parole di Bruce Springsteen esprimono significati profondi. La prima traccia del lato B del disco del '75 che per molti "ha ridefinito l’idea stessa di rock americano", aprendo anche alla musica nera e al "wall of sound", in realtà è molto meno ottimista di quanto Gurinder Chadha non voglia lasciarci intendere. Il sogno americano rischia qui di svanire, di sciogliersi come neve al sole. Per salvarsi, per lasciare "una città che strappa le ossa dalla schiena", che è "una trappola mortale, un invito al suicidio" bisogna fare in fretta. Certo, Javed ed Eliza hanno più tempo della Mary di "Thunder Road" e dell'uomo che la invita a fuggire via, mettendo definitivamente una croce sui suoi vecchi amori. Mary non è uno schianto ma è "all right", non è più una ragazza, al contrario di Eliza, che va al liceo, e perciò l'urgenza e la profondissima malinconia della canzone forse più bella di Springsteen (ancor più bella è la versione del gigantesco quintuplo dal vivo, più lenta e struggente), viene sacrificata a favore di un'allegria, di un brio che però è funzionale alla storia. La canzone, nel film, è uno strumento di seduzione. Javed aiuta il padre di un amico a vendere vestiti usati a un mercato, e con lui e con altri canta il proprio amore alla compagna di classe di cui è invaghito. La sequenza è emozionante e denota ottime capacità registiche.
Dall'album "Born to Run" Gurinder Chadha prende in prestito stralci di "Jungleland" e di "Backstreet" (meraviglioso inno all'amicizia). Di "Born In The U.S.A.", che poi è l'album cronologicamente più vicino all’epoca della nostra vicenda, ci fa invece ascoltare, seppur brevemente "Cover Me". Del brano che dà il titolo al 33 giri la regista certo non si dimentica, e lascia al suo poeta con la giacca jeans e il bandana rosso al collo l'onore di spiegarne il senso, che non è quello di un inno patriottico, ma di un atto d'accusa contro la Guerra del Vietnam, dove morirono in molti e dalla quale tornarono in pochi, e quei pochi ripresero la vita disperata di sempre con il cuore gonfio di dolore. E’ breve la scena del film dedicata a questa precisazione, ma è importante, e insieme alle immagini di repertorio con Margaret Thatcher e Ronald Regan, e a una sequenza che ricostruisce una violenta manifestazione del National Front, ci descrive tempi bui, tempi di chiusura mentale, di razzismo, di scarsa lungimiranza.
Parlavamo di malinconia. C'è una canzone di Bruce Springsteen che ne è la quintessenza: "The River". E’ un brano personale, che parla del fratello del Boss, delle sue aspirazioni giovanili, del suo matrimonio riparatore e di una vita che non è andata come doveva andare. Anche stavolta c'è una Mary un po’ sfiorita, oltre a un fiume un tempo impetuoso e ora in secca. Javed, nella nostra storia, si ripromette "metaforicamente" di cercarne altri di fiumi, e di scrivere fiumi di parole. Qualcosa ci dice che ce la farà. In realtà ce l'ha fatta, perché la sua è una storia vera, la storia di Sarfraz Manzoor, che ha scritto il romanzo a cui Blinded by the Light è ispirato. Sarfraz era un "vagabondo" proprio come gli antieroi di Bruce, e come loro è riuscito a uscire da una "town full of losers". E ha vinto. Cavolo se ha vinto. Adesso tocca a tutti noi provarci.
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