giovedì 27 giugno 2019

La mia vita con John F. Donovan

Xavier Dolan è un monello borioso sprezzante e provocatorio. Xavier Dolan è un prodotto su misura per cinefili e adoratori estremisti. Xavier Dolan parla a una nicchia ego-riferita che guarda solo al suo ombelico. Xavier Dolan è un bluff, un esaltato, un mitomane, un enfant terrible, un genio ribelle. Si può dire tutto e il contrario di tutto di Xavier Dolan, tranne che non sia dotato. Il giovinotto ha compiuto trent'anni da tre mesi e all'attivo vanta una cinematografia di ben otto lungometraggi, dal primo terminato appena ventenne fino all'ultimo passato a Cannes 2019. Che il suo lavoro possa essere sopravvalutato o mistificato, a seconda del polo raggiunto, sta nella scelta da parte del regista di toccare corde sempre ed esclusivamente profonde, temi bollenti tipicamente freudiani, parlare di cose scomode di cui nessuno, o quasi, ha il coraggio di parlare. Dolan potrebbe essere il figlio illegittimo di Pasolini e Freddy Mercury: storie di riconoscimento della propria omosessualità, una ricerca di amore puro, musica a volontà su immagini splendidamente inquadrate, coloratissime, accecanti: tra videoclip e Godard, tra Hitchcock e techno, tra arte visiva e decadenza viscontiana. Se Mommy può definirsi l'inno-attacco all'istituzione materna, La mia vita con John F. Donovan potrebbe essere la versione centrifugata in lavatrice a mille giri di un dramma familiare bergmaniano. La struttura è ambiziosamente ambientata su tre piani spazio-temporali: nel presente, ambientato nel 2016, a Praga una reporter politicamente impegnata è forzata dal giornale per cui lavora ad intervistare un attore giovane che ha scritto un libro; nel passato, dieci anni prima nel 2006, un ragazzino che vive in Inghilterra scrive una lettera ad un divo di una serie horror e lui gli risponde dagli Stati Uniti; parallelamente tra New York e Los Angeles scorre la vita del divo che non dichiarando la propria omosessualità conduce una esistenza di menzogne e infelicità. Le carte sono tutte in tavola - il gioco di specchi tra un giovane uomo egocentrico incapace di amare e un undicenne senza figura maschile di riferimento, innamorato della madre da cui si sente tradito, il mondo dello spettacolo che tritura cinicamente tutti coloro che entrano a farne parte, la fiducia data e tolta per distrazione, ognuno si salva da solo - eppure il film, nelle due lunghe ore, non districa con chiarezza le sue intenzioni, emoziona a stento nelle scene più magistrali (una tra le altre: l'inseguimento sotto la pioggia londinese della madre, interpretata da Natalie Portman, del piccolo Rupert - interpretato da Ben Schnetzer - fuggito dalla campagna da solo per andare a fare un provino cinematografico), la voce fuori campo non acchiappa lo spettatore in una morsa perversa. Il gioco edulcorato non vale la caramella avvelenata dello sconosciuto. Cast stellare: il protagonista John F. Donovan è interpretato da Kit Harington, star de Il trono di spade; sua madre da Susan Sarandon, la sua agente da una cinica Kathy Bates (l'intera parte interpretata da Jessica Chastain tagliata al montaggio per ragioni narrative). Primo film hollywoodiano del birichino canadese, primo girato interamente in lingua inglese, scritto a quattro mani con lo sceneggiatore Jacob Tierney. Male accolta da critica e pubblico al Toronto Film Festival, la pellicola ha incassato nel mondo 2,6 milioni di dollari contro i trentacinque spesi di budget totale. Detto ciò, come ogni film di Dolan, resta da vedere.

(La mia vita con John F. Donovan); Regia: Xavier Dolan; sceneggiatura: Xavier Dolan, Jacob Tierney; fotografia: André Turpin; montaggio: Mathieu Denis; musica: Gabriel Yared ; interpreti: Kit Harington, Natalie Portman, Jacob Tremblay, Susan Sarandon, Kathy Bates, Ben Schnetzer, Thandie Newton; produzione: 3 Marys; distribuzione: Lucky Red; origine: Usa, 2018; durata: 123'



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