«Uno specchio,
una spugna,
ma sei libero»
(Traffic)
Uno o uno tra tanti
In un vagone della metropolitana che viaggia a tutta velocità verso un altro giorno uguale al precedente, uguale al successivo, uguale a mille altri vissuti e da vivere, Thom Yorke non riesce a tenere gli occhi aperti; come lui, tanti altri, che s'affannano per tenere testa a una quotidianità algida, snaturata. Priva di anima.
Sulle note di Not the news – prima traccia estrapolata dal nuovo album da solista di Yorke, dal titolo Anima, disponibile da venerdì 27 giugno – gli occupanti del vagone iniziano ad agitarsi, mettendo in scena tutta la loro inquietudine, il loro malessere: non riescono a trovare una posizione comoda per riposare prima che il viaggio li conduca verso le fatiche di un altro giorno uguale a mille altri. Yorke incrocia lo sguardo di una donna (Dajana Roncione); poi, a corsa terminata, i viaggiatori abbandonano il vagone come morti viventi; la donna dimentica il cestino del pranzo e Yorke farà di tutto per riconsegnarglielo. Non sarà un'impresa facile, non lo é mai quando Thom Yorke ci sbatte in faccia la triste realtà.
Diretto da Paul Thomas Anderson, che già aveva collaborato con i Radiohead, dirigendo i videoclip di Daydreaming, Present tense e The numbers, dall'ultimo album della band inglese A moon shaped pool (2016), Anima é un cortometraggio di quindici minuti, disponibile su Netflix dal 27 giugno, come anteprima di lancio del quarto lavoro solista del leader dei Radiohead; nel corto, accompagnano le immagini Not the news, Traffic e Dawn chorus, estratte dall'omonimo album.
Nell'incipit di Not the news, Yorke si domanda «Chi sono queste persone?». Da questa semplice – ma mai scontata – voglia di scoprire ciò che ci circonda, il cantante esterna tutta la sua insicurezza, quella straniante sensazione di far parte di un tutto, senza discernere più la propria individualità. Un'individualità perduta che scompare nelle primissime battute di Traffic – seconda traccia utilizzata nel corto: «Sottometti, sommerso, nessun corpo...»
Poi, con un semplice gesto, seguendo un istinto primordiale e salvifico, Yorke torna a essere uno e non uno dei tanti, troppi. Raccoglie il cestino del pranzo abbandonato dalla donna e la rincorre senza sosta, senza lasciarsi intimidire dal tempo, dalla fatica, dagli altri simili a lui che annegano, che non hanno corpo: grazie a una regia minimale, Paul Thomas Anderson segue Yorke, lo conduce verso ribaltamenti di prospettiva, che affiorano caoticamente, in un marasma di corpi e muri, ostacoli verso il compimento del viaggio. Sprigiona pesantezza Anima; sprigiona impotenza fisica, uragano di forze oscure che rallentano l'uomo desideroso di tornare a essere individuo, di fuoriuscire dal «bosco ai piedi della montagna», come suggeriva lo stesso frontman dei Radiohead, descrivendo il senso di Amnesiac (2001).
La ricerca del senso coincide con il ricongiungimento con l'altra metà, con l'umano e l'umanità di cui non possiamo fare a meno. E se nella parte finale di Anima Yorke danza e riesce finalmente a entrare in contatto con la donna ritrovata, l'unica parvenza di reale in un mondo freddo e prestabilito, già pensato per non essere modificato ulteriormente, alla fine del viaggio restano i dubbi, resta l'inquietudine e la risoluzione finale appare così nichilista da condurci verso l'abbandono di ogni speranza: «Credo di aver dimenticato qualcosa, ma non sono sicuro cosa, nel bel mezzo del vortice...», canta la voce soffusa di Yorke in Dawn chorus.
Dopo il contatto, la solitudine e restare soli con se stessi. La macchina da presa di Anderson, sfiancata per la corsa, ma lucida e sempre attenta a non lasciarsi sfuggire alcunché, torna sul viso di Yorke, in un primo piano illuminato da un raggio di sole e di speranza, un invito a proseguire il viaggio verso una destinazione che, forse, non ci pare così tanto chiara, ma esiste; bisogna solo trovarla e farsi coraggio.
Ancora Dawn chorus: «Se puoi, rifallo ancora una volta». Mettiamoci l'anima. Salviamoci.
Ancora una volta Thom Yorke si aggrappa a quella visione della società contemporanea che tanto lo terrorizzava verso la fine degli anni Novanta: quella paura dell'ignoto, addolcita da uno spiffero di speranza, un impulso irrefrenabile di farsi strada verso l'aria respirabile, al di fuori della moltitudine. Ancora una volta Yorke si lascia trasportare dai dubbi ma, per quanto le sue opere appaiano struggenti e pervase da un'alone di mestizia, alla fine é impossibile non restare sedotti dai primi raggi di luce a schiarire il grigio giorno. Ancora una volta Yorke si apre all'altro, lo cerca con le mani, correndo, resistendo. Probabilmente la sua musica é così naturale e spontanea, così ammaliatrice e terrificante, perché Thom Yorke non ha paura di confrontarsi con ciò che tutti noi conosciamo e che, in qualche modo, abbiamo accolto come un'irrimediabile mutazione voluta e portata dal tempo. Un grigio divenire, dal quale riemergere solo ritrovando se stessi, al di fuori della massa.
(Anima); Regia: Paul Thomas Anderson; sceneggiatura: Thom Yorke, Paul Thomas Anderson; fotografia: Darius Khondji; montaggio: Andy Jurgensen; musica: Thom Yorke ["Not the news", "Traffic", "Dawn chorus", estratte dall'album "Anima"]; interpreti: Thom Yorke, Dajana Roncione; produzione: Erica Frauman, Sara Murphy, Xavier Roy; distribuzione: Netflix (27 giugno 2019); durata: 15'
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