sabato 23 febbraio 2019

Fare Critica: Antonello Antonante, Giuseppe Soluri e Maria Scaramuzzino per una Calabria che non si arrende

Lamezia Terme, 22 febbraio.
Nell'ultima giornata dedicata al teatro di Fare Critica, molti sono stati anche gli eventi collaterali che ci hanno restituito l'immagine di una Calabria che resiste e che è sinonimo di una terra dall'intenso fervore artistico e culturale.

I lavori della giornata di ieri, infatti, si sono aperti con Antonello Antonante, regista e direttore artistico del Centro R.A.T. – Teatro dell'Acquario di Cosenza, una tra le personalità più considerevoli della scena teatrale calabrese, fresco vincitore del Premio Speciale UBU 2018 insieme a Dora Ricca.
Antonante ha voluto soffermarsi sulla condizione complessa vissuta dall'arte teatrale non solamente a Cosenza o in Calabria, ma riguardante tutto il sud italiano e la Nazione stessa. «Mi ricordo una dichiarazione sul teatro rilasciata da un macchinista: egli disse che il teatro era il modo più intelligente con cui rovinarsi la vita!» Con questo aneddoto ha esordito Antonante per affrontare un discorso dalle sfumature spesso oscure, riguardante tutto il nostro Paese e lo stato dell'arte. Eppure, nonostante le enormi difficoltà, il Centro R.A.T. ha saputo farsi valere nei suoi lunghi 42 anni di vita. Non facendosi mancare nulla, vincendo sfide logistiche e spaziali, ricevendo soddisfazioni dal pubblico dei più piccoli, guardando sempre ai grandi artisti del Novecento, primo tra tutti Julian Beck.

Ciò che più conta nell'arte di fare teatro, per Antonante, è possedere un'idea comune alla base, perché per riuscire in questo «bisogna avere in mente un progetto e realizzarlo con una squadra che sia tenace.» Senza il coraggio di Antonante e Ricca, e di tutta la loro squadra, il Centro R.A.T. non sarebbe stato ciò che è oggi, ossia una realtà nata povera e che nel tempo ha fatto grandi investimenti e scommesse, alla ricerca di «uno spazio senza colonne e una relazione con il pubblico.»
Il teatro da essi costituito negli anni vanta un rapporto speciale di “fidelizzazione” con lo spettatore e, soprattutto, non smette di stimolare i più piccoli, ricorrendo anche agli strumenti del gioco.

Prezioso, poi, anche il dialogo tra Giuseppe Soluri, Presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Calabria, e la giornalista Maria Scaramuzzino, che hanno lungamente riflettuto sul rapporto tra critica e giornalismo e sulle difficoltà attraversate dal mondo dell'arte e del giornalismo stesso in Italia. «Il problema del teatro in Italia è legato alla creatività, poiché non c'è un sistema che lo incentivi e che gli consegni dei riscontri meritocratici. Una volta il critico godeva di un certo peso perché poteva determinare il successo o l'insuccesso dello spettacolo; oggi non è più così, anche per i quotidiani nazionali, perché il peso dei media è aumentato e tutti commentano tutto», ha affermato Soluri. Le difficoltà di parlare con criterio e consapevolezza di arte su una testata derivano, tuttavia, anche da una complessa situazione economica, come sostenuto anche dalla Scaramuzzino: «L'editoria italiana ha sempre meno risorse: è la mancanza di risorse che non ci permette di fare il salto di qualità, né di poter sostenere nuovi talentuosi collaboratori. E la situazione continua a peggiorare.»

L'influenza dei social network ha fatto in modo di impigrire l'attività giornalistica sempre di più, annullando spesso la caccia alla notizia sul campo; e questo ha avuto gravi ripercussioni sulla «qualità della notizia e, a volte, anche sulla verità», ha commentato criticamente Soluri.
L'accelerazione esagerata delle tempistiche della professione – che ha rivoluzionato, e non in meglio, il lavoro del giornalista –, come una complessiva sfiducia valoriale subita dalla società stessa, hanno comportato l'indebolimento generalizzato della credibilità e il dilagare del fenomeno della tuttologia. L'augurio è, dunque, che si possa rivalutare una professione – quella del critico, ma non solo – in questo “moderno Medioevo” che viviamo, ricordando che «le cose che si scrivono vanno sempre motivate, e che una storia è tale solo se è credibile», ha concluso Maria Scaramuzzino.



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