domenica 24 febbraio 2019

Fare Critica: intervista ad Alessandro Redaelli

A Fare Critica, il festival dedicato alla critica teatrale e cinematografica, ideato e diretto da Gianlorenzo Franzì, che si è concluso sabato 23 febbraio, Close-Up ha avuto il piacere di incontrare e dialogare con Alessandro Redaelli, regista, montatore e sceneggiatore italiano. Ha firmato diversi cortometraggi e nel 2017 è stato regista, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore del documentario Funeralopolis - A suburban portrait, presentato in concorso nella sezione italiana della 13° edizione del Biografilm Festival.

É un artista molto giovane. Cosa l'ha spinta a intraprendere questo percorso?

Alessandro Redaelli: «Quella del filmmaker é una passione che ho fin da bambino: due anni fa ho ritrovato delle riprese realizzate con mia sorella, quando avevo otto anni, quindi suppongo che si tratti di una passione che ho covato dentro da sempre. Poi ho seguito il mio istinto, iniziando a realizzare cortometraggi, per poi studiare ina scuola di cinema, perchè sento l'esigenza di raccontare delle storie...»

Come e perché nasce il suo corto “Funeralopolis”?

A.R.: «Nasce per due motivi: il primo, perché volevo raccontare i due protagonisti, che conosco da diversi anni e con i quali condivido l'origine, infatti veniamo tutti dalla stessa frazione milanese; poi perché volevo realizzare un lungometraggio, così ho comprato una macchina da presa e ho provato a girare ciò che avevo in mente. Si tratta di un film che ho girato da solo, senza un direttore della fotografia e altro. Ho seguito il flusso dei protagonisti del film, con l'obiettivo di uniformare il mio sguardo al loro.
É girato in bianco e nero, nonostante l'uso del colore avrebbe potuto valorizzare alcune scene molto forti, presenti nel film¨ho voluto imporre questo filtro tra me e il film, anche se poi capisci che la realtà é il filtro stesso del cinema. Il formato é 1,66:1, che non usa praticamente nessuno e io ho voluto utilizzarlo proprio perché non esistono quasi degli strumenti che lo supportano: così come ciò che si vede nel film é un pò fuori dagli standard, volevo che anche il formato lo fosse.
Essendo un film molto spontaneo, che si poggia su un linguaggio volutamente sporco, non ho patito particolari difficoltà produttive. Il difficile é arrivato dopo, quando bisogna portare il film al pubblico.»

Le ha studiato e lavora con diverse tipologie di media. Cosa l'affascina maggiormente di questi strumenti? In quale campo preferirebbe specializzarsi?

A.R.: «Ho lavorato dappertutto: per il web, la televisione e così via...ma a me interessa solo il cinema e voglio continuare a farlo.»

Quali sono le sue sensazioni per aver partecipato a un Festival sulla critica? Cosa porterà con sé?

A.R.: «Sicuramente il confronto costruttivo con tutti coloro che ho avuto il piacere di incontrare. Sono da sempre un sostenitore della critica, avendo anche cominciato a quindici anni a scrivere per una rivista di cinema horror. Parlare di cinema, criticarlo é un'operazione che lega all'opera stessa, ed é di fondamentale importanza.
La critica al giorno d'oggi comporta delle novità positive e altre negative: é bello che ognuno possa esprimere la propria opinione, ma poi ci si accorge che alcuni non conoscono nulla del linguaggio cinematografico. Sono pochi i critici che resteranno nella storia...»



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