giovedì 19 aprile 2018

UNTITLED - Viaggio senza fine

Utilizzare il cinema come strumento del proprio Cupio dissolvi: questo parrebbe emergere dalla visione dei materiali girati da Michael Glawogger e dal suo operatore Attila Boa e assemblati, secondo quel processo di scoperta casuale di qualcosa di bello e importante che non era stato né previsto, né ricercato né voluto, che Horace Walpole chiamò ‘Serendipity', dalla sua montatrice d'elezione Monika Willi, storica collaboratrice, sempre in veste di editor, di Michael Haneke. Quel che è certo è però che Glawogger (nativo di Graz, in Carinzia, documentarista tra i maggiori della contemporaneità), iniziando insieme alla sua mini-troupe un viaggio di un anno intorno al mondo attraverso tutti e 5 i continenti senza una sola riga di soggetto, né tantomeno di sceneggiatura (si capisce quanta difficoltà abbia incontrato nel trovare i finanziamenti per un progetto così apparentemente vago e indefinito), non poteva prevedere di morire 4 mesi e 19 giorni dopo la partenza, per un aggressivo attacco di malaria in Liberia, Africa.

Nel corso del viaggio, intrapreso su un camioncino scalcagnato che si guastava in continuazione, Glawogger riempì un blocco di appunti, progettando un futuro romanzo uscito postumo dal titolo '69 Hotelzimmer', da cui sono estratte le frasi concise e fulminanti lette da una voce narrante fuoricampo (che nella versione italiana è quella di Nada Malanima) talvolta a commento o descrizione di quanto andava filmando, in altri casi considerazioni personali, intime, sul senso del suo viaggio, del filmare la realtà lasciandole il ruolo di regista degli eventi, del partire privi di qualunque idea preconcetta e seguire itinerari dettati dalle contingenze, dagli umori del momento, dagli eventi, o dai non-eventi, verificatisi lungo la strada; ma pure, verso le ultime pagine che sembrano preconizzare quanto in Liberia, nella città di Harper, sulle rive dell'Atlantico, metterà tragicamente fine ai suoi giorni, un desiderio di cui le sue stesse immagini, oggettive, impersonali, che si limitano ad osservare o a seguire astenendosi dal giudicare o dal farsene coinvolgere emotivamente gli eventi catturati dalla macchina da presa, sono un segnale vistoso, squillante, spiazzante: il desiderio di sparire, di arrivare là dove non si è più nessuno, dove non serva portare con sé alcun documento di identità. Al di là del coraggio di chi, nonostante queste premesse da Glawogger esposte agli eventuali finanziatori del progetto insieme a una risma di fogli candidi e intonsi, ha comunque tirato fuori i soldi per sostenere le spese di viaggio di tre persone (con il regista e l'operatore viaggiava anche il fonico Manuel Siebert) dall'Austria ai Balcani, dall'Italia in Africa, poi via verso il Giappone e il Canada, l'incanto quasi estatico di Untitled – Viaggio senza fine sta esattamente in questo sguardo puntato su cose, case, persone, animali e spazi geografici che si fa via via sempre più impassibile, ma mai, nemmeno per un istante, distratto o disinteressato. Glawogger inquadra tutto ciò che colpisce la sua attenzione lasciandosi irretire dal passo e dalla scansione temporale e gestuale di soggetti cui egli si guarda bene dal dire che cosa fare, o dove mettersi perché l'inquadratura riesca più composita o bella. Quella che all'inizio della visione potrebbe venir considerata una freddezza da autore mitteleuropeo, poco a poco si fa involontario e disperato grido di quel desiderio di dissoluzione di cui si diceva nell'esordio di queste righe. Di fronte ai bambini dei poverissimi villaggi dell'Africa subsahariana che frugano nell'immondizia scaricata dai camion della nettezza urbana, o al gruppo di famiglia in un interno di una casa contadina dell'Europa orientale, e a tutto il vasto campionario di varia umanità che compare in sequenza sullo schermo per i 105 minuti di proiezione montati da Monika Willi scegliendo tra ore e ore di materiale girato, consapevole di confezionare un film completamente diverso da quello che avrebbe fatto Glawogger, emerge come un mantra la forza ipnotica di questo sguardo spinto oltre il limite dell'impersonalità, fino a diventare pervasiva sensazione di distacco, di allontanamento da sé e dal mondo, per quanto resti la voglia di stilare, filmando una partita di calcio in riva al mare tra giocatori tutti privi di una delle due gambe, un dizionario per comprendersi tra europei e locali ignari di inglese o francese, composto solo da nomi di famosi campioni del calcio: ‘Io' si direbbe Ronaldo, perché è quello che tutti vorrebbero essere; 'piace' sarebbe Messi, perché è quello che piace a tutti; Mourinho, invece, resterebbe Mourinho, perché è il più famoso di tutti…

Di tante cose ci parla, dunque, questo magnifico lavoro a quattro mani, ma eseguito a distanza, e addirittura in absentia, cullato dalle sfuggenti musiche del grande Wolfgang Mitterer: di viaggio, sì, del partire senza una meta come metafora di una ricerca delle radici più pure della creatività e dell'ispirazione artistica, di sguardo oggettivo, non giudicante, osservatore sereno e invisibile, fantasmatico… ma anche dell'amicizia e del legame che nasce tra uomini e donne coinvolti in un'avventura vissuta con intenti artistici comuni, seriamente compromessa dall'improvvisa scomparsa di colui che di questa avventura era stato promotore primario e timoniere. Ma pure, e forse soprattutto, della vittoria di tutto questo sulla morte e sul destino di tutti gli umani, grazie al potere di un cinema in grado di rielaborare lo sguardo altrui senza alcun tentativo di reinterpretazione o sovrapposizione, ma semplicemente raccogliendo il suo invito a sottrarsi e arrivando a far coincidere l'atto del guardare con l'essere guardati, più o meno consapevole che sia.

(Untitled); Regia: Michael Glawogger. Monika Willi; sceneggiatura: Michael Glawogger, Attila Boa, Monika Willi; fotografia: Attila Boa; montaggio: Monika Willi; musica: Wolfgang Mitterer; interpreti: Nada Malanima (voce); produzione: Lotus Film, Razor Film; distribuzione: Zalab; origine: Austria, 2017; durata: 105'



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