“Le montagne restano immobili. Siamo noi che dopo un'avventura non siamo più gli stessi.”
- R. Robbins
Quello del viaggio è considerato uno degli archetipi classici più idonei (e più sfruttati) per realizzare un processo di formazione individuale, spesso positivo, illuminante. Viaggio non sempre inteso come spostamento intenzionale da un luogo verso un altro, piuttosto esplicitato come un movimento fisico privo di meta (il viaggio non si conclude in un nuovo luogo, ma quando i personaggi raggiungono il loro obiettivo), che conduce verso la realizzazione e il compimento spirituale dell'individuo, facilitando la catarsi dello spettatore con il personaggio/viaggiatore.
In La pelle dell'orso, diretto da Marco Segato che, dopo un'inizio di carriera dedicata alla realizzazione di vari documentari (L'uomo che amava il cinema, Ora si ferma il vento, Via Anelli, Ci resta il nome), si dedica al racconto di fiction, adattando per il grande schermo l'omonimo romanzo di Matteo Righetto. Così, in un villaggio nel cuore delle Dolomiti, in pieni anni Cinquanta, inizia il viaggio nella natura selvaggia dell'austero Pietro Sieff (un Marco Paolini sopra le righe), uomo dal passato oscuro, malvisto dalla comunità e con problemi d'alcolismo, seguito da suo figlio Domenico (Leonardo Mason), alla caccia di un famelico e feroce orso, che minaccia da molto tempo il bestiame e gli allevatori.
Segato, forte di un piglio documentaristico collaudato, percorre i sentieri rocciosi del territorio montano veneto, si inerpica per ripide frange montuose, guada fiumi e si immerge nel fitto della boscaglia, seguendo Pietro e suo figlio Domenico a caccia “del diaol”, il diavolo, ma sono i demoni interiori che interessano al regista: padre e figlio non sono legati da un rapporto affettuoso, per colpa del passato burrascoso di Pietro e del suo carattere schivo e orgoglioso, così Domenico tenta di ricucire lo strappo, imparando al contempo a sopravvivere grazie agli insegnamenti e alle cure di suo padre, che pian piano si lascerà convincere dalla sua natura di genitore (la veloce medicazione al piede che l'uomo offre al figlio, o il salvataggio dopo una caduta di Domenico lungo un pendio); ma la figura dell'orso, presenza quasi innaturale, pesa sul fato di Pietro come un macigno, uno spettro inafferrabile che da preda, si trasforma in cacciatore letale, manifestazione fisica di un debito con se stesso, la sua famiglia (gli resta solo Domenico, perchè la moglie è morta in circostanze non del tutto chiare) e verso la comunità in cui vive, che lo vede solo come un reietto, un elemento marginale.
Segato si lascia ammaliare dagli stilemi del cinema western che privilegia gli spazi aperti: sostituisce i cowboy con Pietro e suo figlio, gli indiani (o i banditi) con l'orso e le infinite praterie con i boschi delle Dolomiti, confezionando un film di genere avventuroso introspettivo e schietto, centellinando gli interventi e i dialoghi, lasciando spazio ai suoni della natura, agli schiocchi dei grilletti dei fucili e al silenzio che accompagna l'attesa della caccia, aumentando il carico emotivo della pellicola.
La pelle dell'orso resta in equilibrio tra il reale e il fantastico (nell'accezione più allegorica del termine, poichè ci si riferisce alle sole suggestioni che l'ambiente e la bestia braccata ispirano), alternando al cammino di redenzione di Pietro, la maturazione di Domenico, introdotto all'età adulta, quasi un monito pessimistico su cosa riserverà il finale: la solitaria Sara (Lucia Mascino) che gli mostra il seno (senza doppi fini), chiedendogli se non ne avesse mai visto uno prima; il padre che lo ammonisce sull'arte della caccia o sui pericoli che una terra selvaggia e inospitale può riservare (non si muore per il morso di una vipera!); per concludere con l'eredità morale che Pietro impartirà al figlio in punto di morte.
Quando La pelle dell'orso comincia a sembrare un film dal plot già visto ed estremamente semplicistico, grazie a un'attenta analisi dei dettagli ci si accorge di essere di fronte a un'opera stratificata e ben più ponderata di quanto sembri: perchè il cinema e la scrittura si nutrono del non detto, di quei dettagli che non si smarriscono neppure nel fitto della boscaglia e che trasformano personaggi sconfitti in partenza, in eroi tragici dal crepuscolare impatto scenico e morale.
Alla fine, anche Marco Segato ha braccato il suo orso, quello dell'opera prima. Al primo colpo e senza sprecare munizioni.
(La pelle dell'orso); Regia: Marco Segato; sceneggiatura: Marco Segato, Enzo Monteleone, Marco Paolini, Matteo Righetto (romanzo); fotografia: Daria D'Antonio; montaggio: Paolo Cottignola, Esmeralda Calabria; musica: Andrea Felli; interpreti: Marco Paolini, Leonardo Mason, Lucia Mascino, Paolo Pierobon, Maria Paiato, Mirko Artuso, Valerio Mazzucato, Massimo Totola, Silvio Comis; produzione: Jolefilm, Rai Cinema; distribuzione: Parthénos; origine: Italia, 2016; durata: 92'
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