Nella foto principale: The Things You Kill
Vi presentiamo qui sotto alcuni dei titoli che abbiamo potuto vedere alla versione online del Sundance Film Festival 2025. Si tratta di esponenti del cinema indipendente americano odierno ma anche titoli provenienti da cinematografie di tutto il mondo. Insieme formano uno sguardo sul nostro presente che merita di essere analizzato senza preconcetti. L’ordine dei titoli è alfabetico Buona lettura.
Alcuni film presentati al Sundance Film Festival versione Online
- Atropia
- By Deisgn
- Didn’t Die
- LUZ
- Omaha
- Plainclothes
- Sorry, Baby
- The Things You Kill
Atropia
Prodotto tra gli altri anche da Luca Guadagnino, Atropia è una commedia antimilitarista che racconta le assurde vicende di uno dei campi di addestramento che vennero costruiti a inizio millennio per addestrare i militari americani alle missioni in Iraq. La regista Hailey Gates mette in scena personaggi che flirtano spesso e volentieri con l’assurdo, passando però anche alla comemdia sofistica, al melodramma e ovviamente alla satira politica. Forse un po’ troppo per un film che non trova mai un suo vero e proprio centro emotivo o narrativo, anche se contiene almeno due o tre scene davvero spassose. La metafora che vuole rappresentare la società dello spettacolo come intrinsecamente connessa con la cultura della violenza è fin troppo esplicita, retta da una sceneggiatura ondivaga nel tono e non sempre capace di costruire un arco narrativo interessante per tutti i personaggi. Atropia si avvale di un cast di tutto rispetto, che comprende Alia Shawkat, Callum Turner, Chloe Sevigny, Jane Levy e Channing Tatum in un cameo azzeccato. Un lungometraggio migliore nelle intenzioni o sulla carta che nella sua effettiva realizzazione.
By Design
By Design è in pratica un cortometraggio gonfiato inutilmente a lungometraggio. Un’idea che può risultare interessante se sviluppata con pochi momenti e una narrazione concentrata diventa invece uno spocchioso esercizio di stile. Una donna la cui vita è costruita sull’effimero si trova a scambiare la propria anima con una sedia di valore. Il film segue le disavventure di questa sedia che passa in mano - anzi, sarebbe meglio scrivere sul sedere… - di vari personaggi, compreso un musicista dal cuore spezzato dopo essere stato abbandonato dalla sua amata. Il film diretto da Amanda Kramer è oggettivamente troppo pretenzioso per quello che vuole raccontare. Una critica smaccata quanto interme al consumismo e alla vacuità contemporanei a cui partecipano Juliette Lewis, Robin Tunney, Samantha Mathis, Udo Kier e Mamoudou Athie, l’unico a salvarsi in virtù di una comunque indiscutibile presenza scenica. Il resto è francamente irritante.
Didn’t Die
Interessante variazione sul tema dello zombie-movie si è rivelato Didn’t Die di Meera Menon. Per mantenere alte le speranze dei sopravvissuti dopo la classica apocalisse di morti viventi, Vinita ha iniziato un podcast intitolato appunto Didn’t Die che racconta le vicissitudini ma anche le azioni eroiche di coloro che vogliono continuare ad andare avanti. Tra questi ci sono is uoi due fratelli, la moglie di uno di loro ma anche un suo ex amante, col quale intrattiene rapporti tutt’altro che amichevoli…Girato per la maggior parte in bianco e nero, il film della Menon rnede omaggio ai capisaldi del genere, primo tra tutti ovviamente La notte dei morti viventi di George A. Romero realizzato nel 1968, con tanto di passeggiata nel cimitero. Una piccola variazione sul tema, interessante e sfruttata piuttosto bene almeno in un paio di scene, avvicina il film anche a un classico della letteratura horror come Io sono leggenda di Richard Matheson (dimenticate per favore al fuorviante trasposizione cinematografica con Will Smith e leggete il bellissimo romanzo). Insomma, Didn’t Die dimostra di possedere prima di tutto un DNA cinefilo che si sposa con discreta coerenza con il melodramma familiare che la Menon mette in scena senza sbavature. Tutto procede come dovuto nel suo lungometraggio, senza eccessive cadute di ritmo ma anche senza colpi di scena imprevedibili, tutt’altro. Il risultato è divertente, peccato non sia truculento quanto avrebbe potuto, perché alla fine Didn’t Die non spaventa più di tanto, e trattandosi comunque di un horror è un problema da non sottovalutare.
LUZ
La storia principale di LUZ segue due persone completamente diverse: Wei (Xiaodong Guo) cerca di riallacciare i rapporti con la figlia Fa (Enxi Deng) che aveva abbandonato anni prima, mentre Ren (Sabrine Pinna) è costretta a tornare in Francia perché la matrigna Sabine (Isabelle Huppert) è malata. Qual è il legame tra l'uomo e la giovane donna? Appunto LUZ, un gioco di realtà virtuale in cui le persone inseguono un misterioso cervo con il potere di indicare ai giocatori la strada migliore da seguire per la loro vita. Collegando due storie e due ambienti diversi attraverso la realtà virtuale, Flora Lau ha creato un puzzle cinematografico che funziona meglio sotto l’aspetto puramente visivo. LUZ si sviluppa attraverso una serie di scene eleganti e affascinanti che tengono lo spettatore attaccato alla storia. E non si tratta solo del gioco di finzione e del suo mondo virtuale: la regista è assolutamente in grado di utilizzare le diverse tonalità che Chongqing e Parigi possono offrire per ottenere un contrasto estetico capace di rendere il film ancora più abbagliante. Il tutto viene poi riunito nella realtà virtuale, dove l'ambientazione sul tetto di un edificio regala momenti commoventi e visivamente belli da vedere. Lau dimostra una vasta conoscenza del cinema mondiale, con sottili ma riconoscibili omaggi a capolavori come Paris, Texas di Wim Wenders, a diversi film di Wong Kar-Wai e alla saga di Blade Runner di Ridley Scott e Denis Villeneuve. Questi riferimenti, però, non distraggono affatto, non distolgono lo spettatore dalla bellezza delle immagini o dalla presa della storia. LUZ è un film che parla di quanto possano essere difficili le connessioni umane in un mondo che sembra essere sempre più disconnesso. Flora Lau mette al centro del suo film l'essere umano: è lui il fulcro della questione, e qualunque sia la forma di connessione che sceglie di utilizzare, reale o virtuale, deve aprirsi veramente se vuole sentirsi ancora vivo, provare tutta la gamma di emozioni, anche le più dolorose.
Omaha
Un John Magaro come sempre misurato e capace di raccontare la vita interiore di un personaggio con pochissimi tratti conduce Omaha di Cole Webley dentro i meccanismi conosciuti del dramma. La storia è molto semplice e non nuovissima: un padre in enorme difficoltà economica ma soprattutto emotiva dopo la perdita della moglie conduce i suoi due giovani figli in un road-trip attraverso l’America delle grandi pianure, con destinazione finale Nebraska. Un percorso a tappe che avvicina sempre più l’uomo a delle decisioni dolorose che deve necessariamente prendere per il benessere dei suoi bambini. Webley riesce a mantenere il tono del racconto sempre composto, senza eccedere mai nel sentimentalismo inutile. La sceneggiatura quasi mai "spiega" lo stato d’animo dei tre personaggi, piuttosto si dimostra molto abile nel suggerire e lasciare che sia lo spettatore a colmare i silenzi, gli sguardi. Un film che ha un vago sapore di già visto ma organizzato e realizzato con sensibilità sopra la media, e con interpretazioni davvero notevoli. Magaro è ormai una garanzia del cinema indipendente americano, forse il suo attore/simbolo di questi anni. Accanto a lui la giovanissima Molly Belle Wright almeno in un paio di sequenze è sinceramente vibrante. In conclusione uno dei lungometraggi più solidi visti a questa edizione del Sundance Online.
Plainclothes
Plainclothes è un puzzle psicologico che beneficia della potente interpretazione del suo attore principale. Ambientato a metà degli anni Novanta, il dramma racconta la storia di Lucas (Tom Blyth), un poliziotto sotto copertura il cui compito è arrestare gli omosessuali per atti osceni in un luogo pubblico. Tutto cambia per l'agente quando incontra Andrew (Russell Tovey) e se ne innamora. Questo sentimento, unito alla necessità di affrontare la sua natura tenuta nascosta, spinge Lucas in una situazione drammatica, dal momento che ha tenuto la sua famiglia all’oscuro riguardo qualcosa che ora sta diventando impossibile da negare. Lo sceneggiatore e regista Carmen Emmi sviluppa l'estetica del suo primo film attraverso un paio di buone idee, contenute soprattutto nella sceneggiatura, su cui però in alcuni momenti si affida con eccessiva sicurezza, creando un senso di confusione che nella prima parte del film non aiuta il pubblico a connettersi con la storia. Superato tale ostacolo, Plainclothes si rivela un dramma solido che ha il coraggio di affrontare un momento della storia americana recente che probabilmente non dovrebbe essere così celebrato. Carmen Emmi si dimostra una nuova e interessante voce all'interno del cinema indipendente, e anche se non possiede ancora l'esperienza necessaria per poter “controllare” pienamente questa stessa voce, tuttavia il suo messaggio arriva forte e commovente. Come opera prima, Plainclothes è un risultato più che soddisfacente.
Sorry, Baby
Sorry, Baby inizia con la riunione di due migliori amiche del college, Agnes (Eva Victor) e Lydie (Naomi Ackie), alcuni anni dopo la loro laurea. La prima è finalmente diventata insegnante a tempo pieno nella stessa università, mentre l'altra si è trasferita a New York. A poco a poco diventa chiaro che la loro amicizia è stata messa a dura prova da un trauma che Agnes ha subito quando era ancora una studentessa, qualcosa che l'ha costretta a chiudersi nel suo mondo interiore e che non ha ancora del tutto superato. Ma la vita è andata avanti per lei come per tutti gli altri, e le piccole grandi lotte della vita quotidiana stanno portando a tutti i personaggi nuovi ostacoli ma anche piccoli morsi di felicità...Sorry, Baby non mostra come affrontare il dolore o la rabbia, la paura o la frustrazione. Racconta solo che in qualche modo succede, e alla fine si inizia ad avere una serie di giorni decenti, forse addirittura buoni, la cui somma rende la vita degna di essere vissuta. La sceneggiatrice, regista e protagonista Eva Victor, al suo debutto dietro la macchina da presa, ha ottenuto un risultato ammirevole. Sorry, Baby funziona su due livelli diversi: il primo è divertente da guardare, pieno di personaggi spiritosi e situazioni bizzarre che catturano l'attenzione dello spettatore senza necessariamente costringerlo a sorridere, o addirittura a ridere di qualcosa che non dovrebbe essere affatto divertente. A un livello più profondo e importante, il film mostra un pudore, un'intimità che ti fa partecipare con rispettosa empatia al percorso psicologico ed emotivo del personaggio principale, qualunque esso sia. Alla fine, ci si sente veramente vicini ad Agnes e alla sua condizione traumatica. E allo stesso tempo si capisce che, per quanto la sua vita sia stata danneggiata, ci sono abbastanza forza, saggezza, umanità dentro e intorno a lei per continuare ad andare avanti.
The Things You Kill
Selezionato per la sezione World Cinema Dramatic Competition, The Things You Kill racconta la storia di Ali, un professore universitario perseguitato dalla figura di un padre oppressivo e violento. Quando la madre malata muore in circostanze misteriose, l'uomo inizia subito a sospettare che il padre possa essere responsabile della sua dipartita. Non potendo più sopportare la sua frustrazione, il professore decide di agire… Il terzo film diretto da Alireza Khatami possiede due diversi livelli di analisi, ed entrambi sono assolutamente efficaci e perfettamente miscelati, al fine di creare qualcosa che possa intrattenere e allo stesso tempo parlare di questioni contemporanee. Ambientato nel paesaggio rurale della Turchia - Khatami ha deciso di non ambientarlo in Iran per evitare la censura - The Things You Kill è innanzitutto un avvincente thriller psicologico. Il protagonista è bloccato in un presente assolutamente precario per lui e per la moglie. Incapace di proiettarsi nel futuro - la coppia si sta sottoponendo a trattamenti per la fertilità perché lei desidera disperatamente un bambino - e desideroso di sfuggire al suo doloroso passato, Ali è sviluppato dalla sceneggiatura in maniera corposa: la trama infatti lascia che il pubblico scopra scena dopo scena non solo il background del personaggio, ma soprattutto i suoi sentimenti contrastanti nei confronti della sua stessa famiglia. Il senso di sospetto che cresce in lui è rappresentato da Khatami come un possibile effetto della sua condizione problematica, potrebbe essere paranoia generata da un momento della sua vita in cui tutto sembra essere precario. Il regista usa la macchina da presa per avallare questo senso di squilibrio della realtà con riprese lunghe ed eleganti, come quella davvero notevole che apre il film. The Things You Kill è costruito attraverso un'atmosfera al tempo stesso realistica e soffocante, che porta lo spettatore a interrogarsi costantemente sulla verità di ciò che sta vedendo. Quando Khatami vuole esporre esplicitamente la dualità del suo personaggio principale, il meccanismo narrativo che utilizza è molto efficace, funziona con precisione e una sorta di strana coerenza. La trama e la messa in scena spingono Ali e i suoi demoni personali verso una sequenza finale enigmatica, oscura, quasi in bilico con l'orrore psicologico, che chiude un film concepito e realizzato con eccezionale creatività. L'altro livello che fa funzionare così bene The Things You Kill è ovviamente quello più metaforico. La lotta della generazione turca contemporanea, che dovrebbe guidare il Paese fuori dal patriarcato antico e conservatore, è ritratta attraverso una serie di ambientazioni simboliche che rendono il film ancora più potente. Non c'è soluzione di continuità tra la storia e il messaggio che la sottende: Khatami parla di oppressione, censura, negazione, violenza con precisione e partecipazione. La storia di Ali diventa la storia di un Paese ancora incapace di spezzare le catene di un potere che usa la coercizione, la destabilizzazione e la violenza come strumenti per mantenere il proprio status quo. Il modo migliore per liberarsi da tutto questo è prima di tutto a livello mentale, ma come Ali dimostra con dolorosa chiarezza, è un processo purtroppo lungo e pericoloso.
from ComingSoon.it - Le notizie sui film e le star https://ift.tt/NgK5ZIj
via DiCinema - Qui si parla Di Cinema sul web
Nessun commento:
Posta un commento