giovedì 1 luglio 2021

A Classic Horror Story: la paura è di scena a Taormina, e forse anche l’inizio di una nouvelle vague horror

Arriverà su Netflix il 14 luglio un horror a quattro mani molto raffinato da un punto di vista visivo, di grande impatto e che a un certo punto prende una direzione insolita e sorprendente. A Classic Horror Story gioca con i leitmotiv del genere e racconta il disgraziato destino di cinque carpooler che fanno un incidente e si ritrovano in una radura dove sorge una casa. Non ci abitano né Nonna Papera né i sette nani, ma persone (o presenze?) malefiche e assassine, che torturano, sacrificano, cavano occhi e mozzano lingue. Diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli, il film va a rispolverare la leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, tre cavalieri che nella Spagna del XV° secolo erano dei protetti del re, ma che per aver ucciso un altro uomo caro al sovrano che aveva stuprato la loro sorella, furono mandati per 30 anni in carcere in Sicilia. Durante la prigionia, crearono le regole della Mafia.

A Classic Horror Story, che ha ben cinque sceneggiatori, fa parte del concorso del Taormina Film Fest 2021 e i due registi sono arrivati nella splendida cittadina che ospita il festival insieme alla protagonista Matilda Lutz. Li abbiamo incontrati su una terrazza e Roberto De Feo, già regista di The Nest - Il Nido, ha spiegato l'origine del progetto.
"Quando ami l'horror e vuoi fare il regista" - ha detto - "girare un film come A Classic Horror Story è un sogno nel cassetto tutto sommato banale. Erano 10 anni o forse anche di più che cercavo una storia che potesse permettermi di fare un classico film dell'orrore che avesse però qualcosa di completamente originale. Devo dire che in questo senso collaborare con Netflix è stato fondamentale, perché in fase di scrittura ci hanno portato sulla strada della leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso che nessuno di noi conosceva. Abbiamo studiato e capito in che modo modificarla la senza però tradirla".
"Nella realtà l'iconografia di Osso, Mastrosso e Carcagnosso non rispetta quella del film" - ha aggiunto Paolo Strippoli. "Non hanno queste facce mostruose, sono tre cavalieri normali. Invece per noi sono tre demoni venuti da un altro mondo. Noi abbiamo fatto Osso, Mastrosso e Carcagnosso for dummies. Era inevitabile, perché il nostro non era un film su loro tre".

Uno dei temi forti di A Classic Horror Story è la spettacolarizzazione delle tragedie reali e la pornografia del dolore di cui sono responsbili i social media e soprattutto la televisione: "E’ un orgoglio italiano" - ha spiegato Strippoli - "come la pizza, come il limoncello. Siamo purtroppo diventati, soprattutto negli ultimi anni, dei campioni. Molti dei nostri programmi televisivi più seguiti sono così, ed è quello che nel film andiamo, non dico ad attaccare, ma ad analizzare, cercando nel nostro piccolo di prendere le distanze".

Non è semplice, ormai da tempo, fare film horror in Italia, e A Classic Horror Story potrebbe segnare indubbiamente una svolta per il genere, anche perché non si tratta di un film a basso budget. La presenza di Netflix ha permesso ai registi di realizzare un'opera visivamente potentissima.
"Chi fa questo genere di film" - ha commentato De Feo - "sa benissimo che la credibilità è tutto, quindi se non costruisci un impatto visivo che riesca a reggere il paragone con il cinema a cui noi ci ispiriamo, che è il cinema horror americano, parti già da perdente. Abbiamo perso settimane a capire se la casa dovesse avere il tetto a punta o se dovesse sembrare più un granaio che un'abitazione. Abbiamo rotto le scatole a qualsiasi persona, perché se lo spettatore guarda la casa e dice: 'ma che è sta roba? ho visto quella di Hansel e Gretel ed era più bella', automaticamente sei già un prodotto di serie B. La credibilità di un film passa innanzitutto attraverso l’impatto visivo e poi attraverso la recitazione. E proprio la mancata credibilità è la ragione per cui, per 30 anni, non se ne sono visti di horror in Italia, e quindi per 30 anni il pubblico ha detto: gli italiani non sono in grado di fare film horror. Su internet la gente scrive: 'i registi sono italiani e vanno supportati', come se fosse un handicap essere italiani. Però in fondo hanno ragione, perché cos'hanno visto per 30 anni? Film prodotti con 100.000 Euro che magari uscivano direttamente in DVD. Ci sono state eccezioni, tipo Shadow di Federico Zampaglione e The End of the Day di Cosimo Alemà, e quando li ho visti ho pensato che potessero essere l'inizio di un movimento, come è accaduto in Spagna e in Francia qualche anno fa. Poi però non sono arrivati altri film, e perciò mi auguro davvero spero che A Classic Horror Story possa costituire l'inizio di un movimento, e che sempre più registi facciano film horror belli".

Poi Roberto ha spiegato come dovrebbero essere i film del nuovo movimento: "Sono necessari horror che riescano ad andare oltre i confini nazionali, perché i produttori, soprattutto quelli delle piattaforme, vogliono film che possano funzionare in altri paesi. Ci sono tanti giovani registi molto bravi, il problema è che mancano i produttori. Per questo mi è piaciuto tantissimo lavorare con Paolo, che ha appena compiuto 28 anni. Ci servono 10 Paoli, registi riconoscibili perché fanno horror, autori rispettati dal pubblico e dalla stampa che siano liberi di esercitare il proprio coraggio".
"Oggi tramite l'horror hai l'opportunità di raccontare qualsiasi cosa" - ha detto Strippoli - "e affrontare diversi registri, diversi toni. The Nest era un film serio, con una sua tenerezza ma comunque estremamente cupo. Questo è molto più ironico. L'horror, più di qualsiasi altro genere, ha una gamma di sfaccettature che ti permette veramente di sperimentare, quindi non è un genere limitante. Dobbiamo esplorare tante strade, e noi che siamo in Italia dobbiamo sfruttare il nostro paese: i tipi italiani, i dialetti, le località. Se dobbiamo parlare di un movimento italiano, mi auguro che l'Italia possa essere presente nelle storie, insomma che si senta, ma senza più vergogna, perché siamo stati ghettizzati, messi da parte troppo a lungo".

Come i suoi due registi Matilda Lutz ama il genere, che però ha le sue "controindicazioni": “Purtroppo ci sono ancora pregiudizi sui film di genere e anche sulle attrici che fanno i film di genere. Io amo il genere. Quando mi ricapita di fare tante cose all'interno dello stesso film? Qui c'erano l'azione, l'emozione, il percorso di trasformazione del personaggio. In realtà ci sono film di genere totalmente diversi fra loro, e se penso ai due più importanti della mia carriera, che sono Revenge e A Classic Horror Story, mi rendo conto che sono totalmente differenti. Però, a pensarci bene, hanno una cosa comune che mi piace tantissimo: entrambi cercano di diffondere un messaggio sociale attraverso l'arma dell'ironia".

E’ brava Matilda Lutz nel film, e recita accanto a Francesco Russo, Peppino Mazzotta, Yulia Sobol e Will Merrick. Del perché è stata scelta per il ruolo di Elisa ci racconta Paolo Strippoli: “Noi cercavamo una dolcezza e anche un senso di maternità. Non sapevamo che Matilda avesse un figlio, lo abbiamo scoperto dopo il provino o subito dopo il nostro primo incontro, quando già le avevamo parlato del film e ci eravamo accorti che era capace da una dolcezza estrema e di una fragilità molto bella da scoprire. Nello stesso tempo Matilda è una donna super cazzuta, è una che se vuole adesso ti butta in mare, e quest’anima duplice di Matilda era esattamente quello che cercavamo per Elisa, e quindi, appena abbiamo visto Matilda, abbiamo detto: 'lei è Elisa, l'abbiamo trovata'".



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