L'avrete già letto: da un paio di giorni in Italia non esiste più la censura cinematografica, però mai come in questo caso semplificare può dare adito a equivoci. La firma apposta dal ministro Dario Franceschini sull'apposito decreto non è infatti un "liberi tutti", ma sancisce un approccio differente alla classificazione dei film in base alla fascia d'eta degli spettatori. In primis, il decreto riguarda i film distribuiti in sala, perché per quanto riguarda il sempre crescente mercato dello streaming, rimarrà valido il sistema del parental control già in atto.
La fine della censura cinematografica in Italia: in che senso?
Con "censura" s'intende l' "intervento sulla libertà degli artisti": in parole povere, non si potrà più impedire a un film di essere distribuito senza tagli, o addirittura vietarne la circolazione tout court e imporne il sequestro. Stupisce constatare come, dati alla mano raccolti per la mostra Cinecensura, i casi siano molto più numerosi dei più famosi e ricordati Ultimo tango a Parigi e Totò che visse due volte: pare che dal Dopoguerra a oggi, su un totale di 34433 lungometraggi esaminati, a ben 725 film italiani e stranieri sia stata negata la circolazione, e che nel caso di quasi 10100 opere siano stati imposti tagli. Significativi furono per esempio anche i tagli a Totò e Carolina di Mario Monicelli o il processo a Salò o le 120 giornate di Sodoma, anche se nel corso degli anni l'entrata a gamba tesa è andata via via sostituendosi a una pianificazione preventiva dei prodotti stessi, un modo di procedere che la riforma sembra assecondare. In cosa differirà la nuova "Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche" dalla sua vecchia incarnazione?
Autoclassificazione e autoregolamentazione in luogo della censura al cinema
La nuova Commissione, rinnovata ogni tre anni, sarà composta da psicologi, studiosi, sociologi, pedagogisti, esperti di cinema, magistrati, avvocati, educatori, ambientalisti e rappresentanti delle associazioni di genitori. L'organo non può imporre tagli e non può più vietare l'uscita di un film. Avrà il compito di valutare se l'autoclassificazione proposta da produttori e distributori sul proprio lavoro corrisponda ai criteri delle nuove fasce di pubblico istituite: per tutti, vietato ai minori di anni 6, vietato ai minori di 14 anni (ma vedibile da chi ha compiuto 12 anni, in compagnia di un genitore), vietato ai minori di 18 anni (ma vedibile da chi abbia compiuto 16 anni in compagnia di un genitore). Se le categorie vi ricordano qualcosa, è probabile che vi arrivi l'eco della suddivisione gestita negli States dalla Motion Pictures Association of America, cioè General Audiences-Parental Guidance Suggested-Parents Strongly Cautioned (il famoso PG13)-Restricted-Adults Only. La promozione dei film dovrà usare loghi e icone riferiti sia a tali categorie sia alla tipologia di contenuto del film, con indicazioni riguardanti la presenza o meno di uso di armi, turpiloquio, violenza o sesso. Da questo punto di vista, c'è un evidente somiglianza con i sistemi di classificazione dei videogiochi, gestiti in Europa dal PEGI (USK in Germania) e negli States dall'ESRB.
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