A Fare Critica, il festival dedicato alla critica teatrale e cinematografica, ideato e diretto da Gianlorenzo Franzì, che si è concluso sabato 23 febbraio, Close-Up ha avuto il piacere di incontrare e dialogare con Daniele Luchetti, autore tra i più raffinati e autobiografici del cinema italiano, ha firmato pellicole straordinarie come, tra le altre, Mio fratello è figlio unico (2007), con Riccardo Scamarcio ed Elio Germano; Anni felici (2013), con Kim Rossi Stuart; Io sono tempesta (2018), con Marco Giallini.
Dal 14 marzo, uscirà in sala con la sua ultima fatica, Momenti di trascurabile felicità, tratto dall'omonimo romanzo di Francesco Piccolo e interpretato, tra gli altri, da Pif e distribuito da 01 Distribution;
Siamo in un Festival di Critica, quindi permetta una domanda un pò provocatoria: se fosse un critico, come giudicherebbe la carriera di Daniele Luchetti?
Daniele Luchetti: «Mmh, per fortuna non sono in grado di farlo, anche perchè sarebbe un grave errore lavorare, pensando a quello che potrebbe piacere ai critici; devi ubbidire solo alle leggi interne del tuo mezzo espressivo. É un errore grave quello di lavorare pensando agli altri. Il processo creativo é talmente delicato e corruttibile che, da spettatori, ci accorgiamo di tutto, vedendo i film degli altri, quindi per mantenere una certa “pulizia”, bisogna dimenticare l'immagine di se stessi che si vuole far passare. Un film é un qualcosa che si realizza volontariamente ma, anche involontariamente...e se questo aspetti lo si accetta, si é un pò più liberi. Ho visto molti colleghi nazionali e non, ingessarsi sulla propria carriera, ma questo é un ragionamento che si può fare solo a fine carriera.»
Cosa ci può dire del suo ultimo lavoro, “Momenti di tracurabile felictà”, di prossima uscita?
D.L.: «É tratto da una collezione di spunti e aneddoti di Francesco Piccolo. Ho lavorato con l'autore per costruire una narrazione intorno a questi lavori, dato che ne sono sprovvisti. Ci sarà Pif nel ruolo di protagonista. É una sorta di commedia che richiama molto lo stile di Frank Capra. C'é una strana commistione di sensibilità dentro il film...»
Con pellicole quali “Il primo re” e “La paranza dei bambini” (giusto per citarne due tra le più recenti), crede che il cinema italiano si stia indirizzando verso la riscoperta di uno stile autoriale spesso messo in secondo piano?
D.L.: «Ma credo che questo sia un momento davvero buono, con tanti esordienti, tanti giovani che cominciano a esporre le proprie idee. Credo sia merito anche delle scuole di cinema che stanno sfornando molti talenti interessanti. Io stesso, essendo insegnante di regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, quest'anno ai David di Donatello, avevo la possibilità di votare ben quattro miei studenti...é una cosa impressionante! Chi esordisce oggi ha, per lo meno, l'ambizione di realizzare un cinema personale, d'autore, anche con meno paura di sbagliare...e molti sbagliano, per fortuna!»
Qual'é il suo giudizio sulla critica nell'epoca ipercientica di internet? Quanto é importante questo tipo di comunicazione, si presume, autorevole?
D.L.: «Io credo che, da una parte, sono diminuiti i film che necessitano di un'operazione critica, come se fosse un genere che si é estinto. Oggi il pubblico é più alfabetizzato e i film sono più diretti, leggibbili, perché é cambiata molto la formazione culturale dei registi: fino agli anni Settanta e Ottanta, il regista era una figura ideologizzata, con una grande formazione critica alle spalle, essendo esse uno strumento fondamentale per conoscere il cinema. Oggi la conoscenza del cinema é molto più diretta e, quindi, che bisogno c'é di andare a leggere un libro o prepararsi culturalmente sul film che si vuol vedere? Anche la critica era uno strumento che doveva spingere alla visione di un film.
Oggi viviamo in un mondo in cui l'ideologia politica, per esempio, non fa più parte della vita quotidiana, quindi spesso non si usa più il cinema per fare relazione, perché c'é un'immediatezza che ha trasfigurato un pò questo scambio culturale.»
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