giovedì 28 febbraio 2019
Hellboy, un nuovissimo trailer (anche in versione red band) del film con David Harbour e Milla Jovovich
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Brothers: Peter Dinklage e Josh Brolin saranno fratelli nella nuova commedia scritta da Etan Cohen.
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Dragonball Super: Broly
Si inizia nel passato rispetto agli altri film e alla serie tv, prima della nascita di Goku. Il pianeta Vegeta è sottomesso da Freezer, comandante di un'intera flotta di astronavi gigantesche. Dalla principale, più grande di tutte, in mezzo a tutti i Saiyan, scendono gli alleati di Freezer. Re Vegeta sta in una camera con delle incubatrici piene di bambini: un servo gli fa vedere suo figlio e il suo potenziale latente. Poi il re nota un bambino che non conosce, che non è il figlio dei nobili imperiali, e chiede al servo perché lo tengono in quella sala. Il servo gli risponde che ha un potenziale latente altissimo, più di quello di suo figlio, allora re Vegeta si arrabbia e spedisce il bambino su un pianeta alieno completamente disabitato da umani e popolato di mostri. Il padre non appena lo scopre lo raggiunge dandosi insieme al pargolo alla vita selvaggia e solitaria. Poi si ritorna al tempo presente. Goku e Vegeta si allenano su un'isola mentre Bulma e il dio della distruzione prendono il sole. Poi a Bulma arriva una chiamata di Trunks che la avvisa che le Sfere del Drago sono state rubate dai dei ladri dell'esercito di Freezer. Per fortuna ne aveva solo sei e gli mancava l'ultima che è al Polo Nord. Subito su un aereo: la combriccola si reca al Polo Nord. Intanto il padre e il bambino ormai cresciuto e diventato adulto, che erano stati spediti sul Pianeta deserto pieno di mostri, lanciano un segnale dell'esercito di Freezer e qualcuno li trova e li porta da Freezer visto il potenziale latente del figlio, di nome Broly, che è incalcolabile: alto più di quello di Vegeta e di Goku. Freezer li recluta e li porta al Polo Nord. Broly però è controllato dal padre dato che quando diventa uno Ozaru (potere dei sayan di diventare scimmia gigantesche) perde la memoria, quindi ha un collare elettrificato al collo telecomandato dal padre che può dargli scosse elettriche fino a farlo tornare normale e immobilizzarlo. Al Polo Nord Broly si scontrano con i guerrieri di Freezer: ci saranno combattimenti epici, nel più arduo Vegeta e Goku faranno una fusione, diventando Gogeta. Broly diventerà uno Ozaru in forma umana, Freezer assumerà la sua forma finale, il padre di Broly morirà e il drago Shenron verrà evocato. Broly tornerà a vivere sul suo pianeta insieme ai suoi amici che l'hanno salvato, aiutato perfino da Goku con la promessa di poterlo invitare ogni tanto per allenarsi insieme. La parte degli effetti visivi durante gli scontri di lotta dei personaggi è quella più spettacolare e coinvolgente per un pubblico minorenne: tavole figurative simili a riquadri di fumetti manga con punte di colore, esplosioni di raggi e fulmini, tonalità accese estremizzate nell'intensità riempiono lo schermo e lo fanno sconfinare fuori dai margini dello schermo; il suono prende parte attiva all'azione deflagrando nelle orecchie degli spettatori. Drammaturgicamente pungente la riflessione sul desiderio di essere diversi da quello che si è: Freezer che desidera essere più alto di cinque centimetri e, quando gli viene chiesto perché solo cinque centimetri una volta che si può realizzare quello che si vuole, Freezer risponde che così sembrerà naturale. Ugualmente Bulma desidera diventare più giovane di cinque anni: stessa domanda, perché non di più, stessa risposta, perché troppo sembrerebbe finto. Forte il tema della paternità vissuta in maniera totalizzante, come scelta di vita assoluta ma in cambio del potere assoluto sul discendente. Un cartone giapponese con la portata, in minuscola parte, di un testo buddista sulla vecchiaia e sulla saggezza.
(DRAGON BALL SUPER: BROLY); Regia: Tatsuya Nagamine; sceneggiatura: Akira Toriyama; musica: Norihita Sumitomo; distribuzione: Koch Media; origine: Giappone, 2018; durata: 100'
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Midsommar: il poster ufficiale del nuovo horror di Ari Aster, regista dell'acclamato Hereditary
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Hail Satan?: il trailer del documentario che mostra la vita quotidiana dei satanisti
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Ethan Hawke e Noomi Rapace raccontano la Sindrome di Stoccolma: il trailer di Stockholm
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Martin Scorsese vuole The Irishman in tutti i cinema: Netflix capitolerà?
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Nuovo trailer italiano per X-Men: Dark Phoenix
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The Vanishing — Il mistero del faro
Succede veramente poco in The vanishing – Il mistero del faro. Talmente poco che il soggetto, nelle logiche di un più classico film hollywoodiano, potrebbe esaurirsi a qualche rigo da far leggere in fretta a produttori a caccia di storie. Ma non è l'azione quella che interessa al regista del film.
Siamo nei mari che superano in volata le coste scozzesi. Su un'isola abbastanza sperduta, cominciano il loro turno tre guardiani di un faro. Lasciano la terraferma per sei mesi e, per tutto il tempo, a far loro compagnia, oltre a un cane, c'è solo l'orizzonte sconfinato, la scogliera frustata dalle onde e il verde acceso delle poche piante affamate di vento.
Si fanno compagnia reciprocamente a suon di canzoni accompagnate dal violino, mentre il più giovane sconta una cattiva fama che si è costruito non sa neanche bene lui come sulla terraferma, il più vecchio si porta dentro un rimpianto nei confronti della moglie morta e quello di mezzo pensa alla famiglia.
La loro routine è colta con sguardo piano, attento al senso del paesaggio che, come nei film muti del cinema svedese (anche se a dirla tutta, questo film è di produzione scozzese e di regista danese), si fa personaggio e controcanto alle emozioni e ai pensieri di questa piccola umanità.
Anzi lo sguardo è tanto piano che quasi non ci si accorge delle cose che succedono: una perdita di mercurio che blocca il faro, lasciando il mare sguarnito di luce per un periodo pericolosamente lungo, uccelli che vanno a morire nel poco terreno coltivato davanti casa.
Simboli, evidentemente, di una perdita di orientamento, dello smarrirsi di una direzione che coinvolge tutto, le parti meccaniche del faro come il senso innato degli animali e che, presto, riguarderà anche la sfera morale dei personaggi.
A far da catalizzatore a questa bomba emotiva sempre sul punto di esplodere il ritrovamento, inaspettato, del rottame di una barca, di un corpo apparentemente senza vita e di una cassa che si scoprirà piena d'oro e oggetto delle mire di altri uomini in barca intorno all'isola.
La reazione di ognuno all'inaspettata possibilità di ricchezza porta alla catastrofe. Una catastrofe che non è dei fatti, anche se il sangue scorre, ma delle coscienze.
Dopo un inizio lento da thriller, con graduale accumulo di tensione, la narrazione sfocia in una riflessione accorata sul concetto di colpa. I personaggi, immersi fino al collo nelle contraddizioni di una situazione estrema, si confrontano così con i fantasmi del proprio passato e con le ombre lunghe che, dall'avidità, si prolungano fino al futuro.
Nel continuo ripetersi tra loro che sono, in fondo, delle brave persone, gli antieroi di questo antiracconto ridefiniscono ogni volta il senso di un agire assurdo che sfugge alla loro stessa comprensione. Il loro percorso è così su una china che precipita inesorabilmente verso il mare. Cominciano a discenderla senza neanche volerlo e poi si trovano in volo verso il precipizio consapevoli prima di tutto del senso di un loro peccato originale.
Così la cappelletta dell'isola, nella sua stupenda astrazione, spazio vuoto in cui raggomitolarsi in un tentativo di comunicazione col divino (che resta pur sempre altro, come certificato dalla metafora della radio rotta e giammai riparata), sposta il discorso verso il metafisico pur restando ancorato alla fisicità di azioni e personaggi.
Interessante film, questo The vanishing – Il mistero del faro. Pregevolissimo nel cast, eccellente nell'atmosfera evocata dalla fotografia. Avrebbe avuto bisogno forse solo di un passo maggiormente convinto della propria autorialità per diventare quel thriller di spessore che qualche volta sfiora, ma non afferra mai per davvero.
(The Vanishing); Regia: Kristoffer Nyholm; sceneggiatura: Celyn Jones, Joe Bone; fotografia: Jørgen Johansson; montaggio: Morten Højbjerg; musica: Benjamin Wallfisch; interpreti: Gerard Butler (James Ducat), Peter Mullan (Thomas Marshall), Connor Swindells (Donald McArthur), Søren Malling (Locke); produzione: Kodiak Pictures, Mad As Birds, G-BASE; distribuzione: Notorious Pictures; origine: Regno Unito, 2018; durata: 107'
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mercoledì 27 febbraio 2019
Croce e Delizia
Due famiglie in villeggiatura si incontrano apparentemente per caso. I gruppi sono socialmente ben definiti: da una parte una media borghesia intellettuale, dall'altra meno abbienti "pescivendoli". Al centro, per chiudere il "quadretto": i promessi sposi. La domanda che pone il film è: riusciranno i nostri a sposarsi o la loro unione scatenerà una disputa fra le parti?
Si sbaglierebbe a leggere il film come una contrapposizione tra "buoni" e "cattivi". Simone Godano, il regista del film, coadiuvato al meglio dagli interpreti Fabrizio Bentivoglio, Alessandro Gassman e tutto il resto cast, ha piuttosto l'ambizione di voler porre al centro del discorso il tema dell'accettazione dell'alterità, intesa, nello specifico, come "diversità" di orientamento sessuale. Peccato, quindi, che, nel risultato finale ci sia, forse, qualche moralismo di troppo che mal si accorda con il tentativo di di sincera descrizione dei tempi moderni costruita tra le quattro mura della villa sul litorale romano.
Interessante, comunque, il ritorno di un'attrice come Jasmine Trinca ad un interpretazione più fuori dalle righe rispetto alle prove precedenti: qui torna a fare un cinema "sempliciotto" o gigionesco (nel senso migliore del termine), delineando bene la parte della figlia dell'intellettuale Fabrizio Bentivoglio.
A parte i dati tecnici, il film mette davvero tanta carne a cuocere: il tema dell'omosessualità e della sua accettazione nel consesso sociale, lo scontro di classe (implicito sempre nelle commedie a sfondo etnico: genere di cui è esponente, forse, impropriamente questo Croce e Delizia), l'omofilia e l'accettazione di sé e della propria identità non solo sessuale. In più l'idea dell'unità familiare, il nido del focolare, visto in questa sede come il primo scoglio da superare per far valere le ragioni della propria alterità.
Delle reazioni forti vengono messe in scena sullo schermo (si pensi alla scena in cui Scicchitano, con la tinta platino, urla, viene alle mani, per poi svenire) come veri e propri piani di sabotaggio del matrimonio che restano comunque ingrediente fondamentale dei film di genere.
Interessante quello che rivela il regista Simone Godano: “Volevo raccontare le reazioni emotive dei vari personaggi dopo aver scoperto questo amore tardivo e l'incontro tra la figlia di un intellettuale e il figlio di un pescivendolo. Mi piace che ad un certo punto entrino in ballo dei forti sentimenti all'interno di questa storia e ti dimentichi che stiamo parlando di un amore tra due uomini”.
Questo ci aiuta, in conclusione, a capire l'intento di tutto il cast artistico di fare del film un vero e proprio inno di valori in un'epoca infame come questa, senza retoriche spicciole o ritornelli di temi sdoganati. Con tutti i limiti del caso.
(Croce e Delizia); Regia: Simone Godano; sceneggiatura: Giulia Steigerwalt; fotografia: Daniele Ciprì; montaggio: Gianni Vezzosi; musica:Andrea Farri; interpreti: Alessandro Gassmann, Jasmine Trinca: Penelope, Fabrizio Bentivoglio, Filippo Scicchitano, Lunetta Savino, Anna Galiena, Rosa Diletta Rossi e Clara Ponsot; produzione: Groenlandia, Picomedia, Warner Bros Italia; distribuzione: Warner Bros Italia; origine: Italia, 2019; durata:100'; webinfo: [http://www.close-up.it/ Proposta di voto: 2,5/5
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Domani è un altro Giorno
(mymonetro: 3,50)
Regia di Simone Spada. Con Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Anna Ferzetti, Andrea Arcangeli, Jessica Cressy, Barbara Ronchi, Marta Bulgherini, Massimo De Santis, Stefano Fregni, Paolo Giovannucci, Paola Squitieri, Pietro Ragusa, Elena Lietti, Fabrizio Sabatucci, Blas Roca-Rey, Fabrizia Sacchi, Pietro De Silva, Renato Scarpa.
Genere Commedia - Italia, 2019. Durata 100 minuti circa.
Tommaso e Giuliano sono due amici per la pelle. Uno vive in Canada, l'altro a Roma. Uno è taciturno, l'altro esuberante. Uno ha paura dell'aereo, l'altro è capace di improvvisare un'andata e ritorno per Barcellona in giornata. Quando Giuliano, malato gravemente, prende una decisione irreversibile, Tommaso supererà la paura di volare e andrà a trovarlo a Roma per passare insieme quattro giorni di amicizia e condivisione. I due non sono soli: con loro c'è l'inseparabile cane Pato.
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Croce e Delizia
(mymonetro: 2,50)
Regia di Simone Godano. Con Alessandro Gassmann, Jasmine Trinca, Fabrizio Bentivoglio, Filippo Scicchitano, Lunetta Savino, Anna Galiena, Rosa Diletta Rossi, Clara Ponsot, Giandomenico Cupaiuolo.
Genere Commedia - Italia, 2019. Durata 100 minuti circa.
Carlo è un vedovo cinquantenne con due figli e due nipoti. Proprietario di una pescheria nella provincia laziale, ha cresciuto la famiglia nel rispetto del prossimo e nella convinzione che gli altri debbano essere di trattati con correttezza. Tony è un divorziato sessantenne con due figlie, una nipotina e un burrascoso passato erotico e sentimentale. Fa il mercante d'arte, è ricchissimo e viziato, e ha sempre anteposto le proprie necessità a quelle della famiglia. A sorpresa, Carlo e Tony si innamorano, e per comunicarlo a figli e nipoti scelgono (uno dei due ob torto collo) di trascorrere una vacanza a Gaeta, riunendo il parentado.
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The Vanishing - Il Mistero del Faro
Regia di Kristoffer Nyholm. Con Peter Mullan, Gerard Butler, Connor Swindells, Søren Malling, Ólafur Darri Ólafsson, Gary Lewis, Ken Drury, Roderick Gilkison, Emma King, John Taylor.
Genere Drammatico - Gran Bretagna, 2018. Durata 101 minuti circa.
A 20 miglia dalla costa scozzese, su un'isola disabitata arrivano tre guardiani del faro per il loro turno di sei settimane. Quando Thomas, James e Donald riescono ad abituarsi al loro lavoro e alla routine sull'isola, succede qualcosa di inaspettato e misterioso. Una barca che appare in lontananza potrebbe essere la risposta alle loro domande mentre la loro stabilità mentale comincia a vacillare. I tre cominceranno a lottare l'uno contro l'altro cercando di sopravvivere alle paranoie sempre più forti.
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C'era una volta il Principe Azzurro
(mymonetro: 3,00)
Regia di Ross Venokur. Con Wilmer Valderrama, Demi Lovato, Nia Vardalos, Sia, Ashley Tisdale, Avril Lavigne, John Cleese, Chris Harrison, Dee Bradley Baker, Carlos Alazraqui, Tara Strong, Jim Cummings, Tom Kenny, Steve Aoki, Cory Edwards, Stephen Apostolina, Eric Lopez, Michelle Ruff, Shelly Shenoy.
Genere Animazione - USA, Canada, 2018. Durata 90 minuti circa.
Alla nascita, il principe Filippo viene marchiato dall'Incantesimo del Fascino ad opera della perfida Nemesi Mal D'Amore, rifiutata in gioventù dal Re padre del neonato. Filippo è "condannato" a sedurre qualunque essere di sesso femminile incontri lungo la sua strada: basta uno sguardo perché tutte cadano ai suoi piedi. Ma il principe non sa che cosa significhi il vero amore, e per scoprirlo dovrà sottoporsi alla Grande Prova: un viaggio durante il quale dovrà superare tre Sfide Impossibili. Al termine, se non sarà riuscito a superare la Prova, a 21 anni morirà bandendo per sempre l'amore da tutto il suo regno.
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La Casa di Jack
(mymonetro: 4,00)
Consigliato: Sì
Regia di Lars von Trier. Con Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman, Siobhan Fallon Hogan, Sofie Gråbøl, Riley Keough, Ed Speleers, David Bailie, Ji-tae Yu, Osy Ikhile.
Genere Thriller - Danimarca, Francia, Germania, Svezia, 2018. Durata 155 minuti circa.
Usa Anni '70. Jack è un ingegnere psicopatico con tendenze ossessivo-compulsive. Dopo aver ammazzato una donna che gli aveva chiesto soccorso per strada si convince di dover continuare ad uccidere per raggiungere la perfezione. Ogni suo omicidio deve essere un'opera d'arte, sempre più complessa e ingegnosa. Inizia così una partita a scacchi con la polizia lunga dodici anni, condotta dal più astuto e spietato omicida seriale.
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E' ufficiale: Aquaman2 arriverà in sala nel dicembre 2022
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Un Film, un Drink: "C'era una volta in America", il sapore del gin e Sergio Leone
Inauguriamo una mini-rubrica su CloseUp dedicata al bere di qualità con "Un Film, un Drink": ricette di cocktail inedite di grandi barman e barlady italiani che si sono ispirati per noi a un loro film del cuore. Tutti da provare, ricordando sempre di Bere Responsabilmente! Si parte subito in quarta, con il Maestro Sergio Leone!
DRINK: C'ERA UNA VOLTA IN AMERICA
(ispirato al film “C'era una volta in America”, di Sergio Leone, 1984)
BARMAN: Federico Leone
INGREDIENTI:
60ml VII Hills Italian Dry Gin
infuso istantaneo di popcorn tostato
20ml limone fresco
10ml sciroppo di sale
Top birra italiana
Bicchiere: Coppa
PREPARAZIONE:
Versare il gin VII Hills su pop corn tostati, in modo da acquistarne sapore con una infusione istantanea, aggiungere succo di limone fresco, sciroppo di sale , shakerare il tutto e versare il contenuto all'interno del bicchiere, ghiaccio e top di birra per terminare il drink.
ISPIRAZIONE:
C'era una volta in America, ultimo capolavoro del regista Sergio Leone che ha richiesto 10 anni di preparazione e dove sicuramente ha impiegato tutta la sua passione per il cinema è un film che nella sue quasi 4 ore ti tiene incollato alla poltrona e viene voglia di rivederlo più volte nel tempo. Quale miglior modo di celebrarlo, inserendo in questo drink gli elementi principali che identificano un'Italia che va al cinema per ammirare il capolavoro del Maestro. VII Hills vuole omaggiare la passione e l'arte del cinema italiano di un tempo che tutto il mondo ci invidia e che spesso vuole onorare.
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"Dragon Ball Super: Broly" è il film dei record
Dragon Ball Super: Broly è senza dubbio il film dei record. In Giappone è stato il film della licenza che ha incassato di più in assoluto; oltreoceano ha raccolto oltre 30 milioni di dollari solo negli Stati Uniti che, uniti ai 71 raccolti nel resto del mondo, hanno fatto arrivare il totale di incassi a 101 milioni di dollari. Il più alto per un Anime e per un lungometraggio della serie Dragon Ball.
Il fenomeno, che ha invaso tutto il mondo, da Est a Ovest, travalicando culture e abitudini molto diverse, sta arrivando anche in Italia e i fan sono già letteralmente impazziti ancor prima dell'uscita al cinema di domani, giovedì 28 febbraio
Le anteprime pubblico, organizzate nella settimana del 20 febbraio, hanno registrato il tutto esaurito a poche ore dall'apertura delle prenotazioni.
Nelle 7 proiezioni in anteprima che si sono tenute in alcuni cinema selezionati dei circuiti The Space e UCI nelle giornate del 20, 21 e 22 febbraio, oltre 2.500 persone hanno letteralmente invaso i cinema. Il tutto esaurito si è registrato in tutte le anteprime di Dragon Ball Super: Broly, da nord a sud d'Italia.
Durante una di queste esclusive anteprime i fan hanno unito le forze per lanciare una potentissima Kamehameha insieme ai doppiatori italiani del film e ai molti cosplayer intervenuti:
Preparati per l'evento dell'anno, sblocca la lente Snapchat (http://bit.ly/DBSB_SbloccoLenteSnapchat) e #Brolyzzati anche tu insieme a i tuoi amici. Dragon Ball Super: Broly dà appuntamento a tutti il 27 febbraio in 9 cinema The Space* per godersi la versione originale sottotitolata e il 28 febbraio, per tutti i fan che lo vorranno vedere in italiano, in tutti i cinema italiani.
SINOSSI
Un pianeta distrutto, una potente razza ridotta in cenere. Dopo l'esplosione del Pianeta Vegeta, tre Saiyan furono dispersi nello spazio, costretti a diversi destini. Mentre due di loro hanno trovato casa sulla Terra, il terzo, cresciuto dal padre che gli ha instillato un ardente desiderio di vendetta, sviluppa una potenza incredibile. Il momento per questa vendetta è finalmente arrivato! I tre destini si incroceranno in una battaglia che scuoterà l'intero Universo!
Son Goku è tornato ad allenarsi duramente per poter affrontare i nemici più potenti che le galassie hanno da offrire, e Vegeta non è da meno. Ma quando improvvisamente i due si troveranno di fronte un ignoto Saiyan, scopriranno una forza atroce e devastante.
A proposito di Anime Factory
Anime Factory è l'etichetta di proprietà di Koch Media che racchiude il meglio dell'offerta Anime, cinematografica e home video, della società.
Nato nel maggio 2015 con il nome di Anime al Cinema, il brand ha consolidato nel tempo la sua identità fino ad affermarsi come uno dei punti di riferimento per i fan del genere. A distanza di tre anni, complice un'offerta sempre più ampia e una presenza sul mercato di riferimento sempre più forte, Anime al Cinema cambia casa per diventare vera e propria Factory, fucina di prodotti di altissima qualità.
Anime Factory diventa, così, l'anima orientale di Koch Media, la sua identità legata all'animazione giapponese. I grandi classici del passato che tornano rimasterizzati, che per la prima volta arrivano sul grande schermo o in edizioni limitate e da collezionisti, titoli inediti che non hanno mai raggiunto il grande pubblico italiano pur rappresentando vere e proprie icone in ambito Anime e Manga. Tutto questo, unito alla grande qualità delle lavorazioni, è la mission di Anime Factory.
Sotto l'etichetta Anime Factory, Koch Media si appresta a portare sul mercato cinematografico e home video titoli del calibro di Dragon Ball Super: Broly – Il film, UFO Robot Goldrake, Jeeg Robot d'Acciaio, Mazinga Z e Il Grande Mazinga, Lupin III, Lamù la ragazza dello spazio, Gigi La trottola, Ken il Guerriero, C'era una volta...Pollon.
Per ulteriori informazioni, visitare il sito https://www.animefactory.it/
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Nasce il MOFF - Mobile Film Festival riservato a smart-metraggi realizzati con smartphone o tablet
Al via la I^ edizione del MOFF – Mobile Film Festival, organizzato da The Business Factory, e riservato a smart-metraggi realizzati esclusivamente con smartphone o tablet, della durata massima di 90 secondi. I video realizzati potranno essere consegnati “come girati” o ridotti a durata attraverso il montaggio. Lo smart-metraggio realizzato deve essere originale e pensato, nella sua sceneggiatura, dalla persona fisica che lo realizza. Potranno essere muti o parlati, realizzati in qualsiasi lingua, a colori o in bianco e nero, con o senza partecipazione di attori. Ogni partecipante potrà inviare fino ad un massimo di 3 smart-metraggi.
La selezione ufficiale dei video in concorso sarà fatta dall'Organizzazione sulla quale saranno chiamati a votare sia il pubblico che una Giuria (in fase di composizione) che vedrà coinvolti personaggi del mondo del cinema, della televisione, della comunicazione, della creatività.
Il pubblico esprimerà il proprio voto attraverso i “like” sulla piattaforma Youtube, sui Social Network Instagram e Facebook (rispettivamente nei canali ufficiali MOFF). Il Festival decreterà le seguenti categorie vincitrici:
· Miglior Smartmetraggio (Giuria)
· Migliore Regia (Giuria)
· Migliore Sceneggiatura (Giuria)
· Migliore interpretazione Maschile (Giuria)
· Migliore interpretazione Femminile (Giuria)
· Migliore Smartmetraggio (Pubblico)
Il concorso terminerà il 30 luglio, data ultima per l'invio del materiale richiesto.
Per consultare l'intero regolamento: www.moff.online
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Focus su Marocco al 67/mo TRENTO FILM FESTIVAL
Il Trento Film Festival ha svelato il Paese ospite della sezione “Destinazione…” e il nuovo manifesto della 67. edizione della rassegna, che si svolgerà a Trento dal prossimo 27 aprile al 5 maggio. Il Paese ospite 2019 della Sezione “Destinazione…” sarà il Marocco.
Autore del nuovo manifesto della rassegna è l'artista spagnolo Javier Jaén.
«Il manifesto di quest'anno – dichiara la direttrice del festival Luana Bisesti – vuole esprimere l'immagine della montagna come uno dei luoghi privilegiati della Terra per la contaminazione a trecentosessanta gradi tra culture diverse, uno spazio d'incontro senza confini caratterizzato da un linguaggio comune, appunto quello della montagna, che avvicina e rende possibile, quasi istintivamente, la conoscenza e il rispetto tra popoli diversi. In quest'ottica s'inseriscono le straordinarie montagne del Marocco, Paese ospite della sezione “Destinazione…”, emblemi di un patrimonio culturale ricchissimo, frutto di millenni d'incontri e relazioni tra culture e civiltà diverse: berberi, arabi, francesi e persino comunità ebraiche hanno, infatti, sedimentato le proprie tracce in un paese che sta tracciando la sua strada verso la modernizzazione».
Il Marocco Paese ospite dell'edizione 2019
Dopo avere esplorato territori e culture in ogni altro continente, con un successo crescente di pubblico, la sezione “Destinazione...” guarda per la prima volta all'Africa e all'altra sponda del Mediterraneo
“Destinazione… Marocco” metterà al centro questo paese africano dalla storia antica, sul cui territorio civiltà molto diverse tra loro si sono intrecciate, lasciando il proprio segno su un mosaico culturale caleidoscopico, in continua trasformazione. La magia del Marocco ha affascinato per secoli i viaggiatori, con i suoi paesaggi incantati, dai colori contrastanti e cangianti.
I titoli del programma cinematografico:
House in the Fields di Tala Hadid
Pastorales électriques di Ivan Boccara
Le ciel, la terre et l'homme di Caroline Reucker
Au nom du frère di Youssef Ait Mansour
Mimosas di Oliver Laxe
Renault 12 di Mohamed El Khatib.
Come abitudine “Destinazione...” volgerà lo sguardo anche al passato, con un classico del cinema marocchino moderno, recentemente restaurato dalla World Cinema Foundation grazie all'ammirazione di Martin Scorsese per il cineasta Ahmed El Maanouni: Alyam Alyam del 1978, lungometraggio recentemente riscoperto al festival “Il Cinema Ritrovato” di Bologna, è un'elegia per lo stile di vita rurale e le sue tradizioni. A completare il programma una selezione di cortometraggi dai migliori festival nordafricani e internazionali, ulteriori chiavi per scoprire l'unicità del territorio marocchino, le storie e le culture delle sue genti.
Amici fragili: cinque film recenti per riflettere su alberi e boschi, dopo la disastrosa tempesta di fine ottobre 2018
Il festival non poteva ignorare il disastro che ha colpito le nostre montagne, con milioni di alberi abbattuti dal maltempo: un programma speciale, in collaborazione con Fondazione Dolomiti UNESCO, porterà i boschi nel cuore della 67. Edizione.
I titoli del programma cinematografico:
Le Temps des forêts (Francia, 2018) di François-Xavier Drouet;
Bamboo Stories (Germania/Bangladesh, 2019), in anteprima italiana, del pluripremiato regista del Bangladesh ma attivo da anni in Germania, Shaheen Dill-Riaz;
Wildland (Stati Uniti, 2018) di Alex Jablonski e Kahlil Hudson, in anteprima italiana;
Walden (Svizzera, 2018) del regista, artista e coreografo Daniel Zimmermann;
Acid Forest (Lituania, 2018) della filmmaker e artista Rugilė Barzdžiukaitė (che rappresenterà la Lituania alla Biennale Arte 2019).
Facebook: www.facebook.com/trentofestival
Instagram: @trentofilmfestival
Twitter: @trentofestival
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Philip Gröning inaugura il Lucca Film festival e Europa Cinema 2019
Il regista e sceneggiatore tedesco Philip Gröning inaugurerà l'edizione 2019 del Lucca Film Festival e Europa Cinema dal 13 al 21 aprile con la prima italiana del suo ultimo film “My brother's name is Robert and he is an idiot”, in contemporanea al museo MAXXI di Roma.
Durante il festival Gröning riceverà il Premio alla Carriera dell'edizione 2019 e terrà un masterclass dedicata al suo lavoro nel mondo dell'industria cinematografica.
Il regista tedesco sarà uno degli illustri giurati del Concorso di Lungometraggi del festival che presenterà 14 film in prima italiana. Sarà omaggiato con una retrospettiva completa che ripercorrerà la sua carriera anche documentaristica.
Si arricchisce così il red carpet della nuova edizione del festival che insieme a Joe Dante e Mick Garris sono tra le prime tre star internazionali annunciate. “Gröning – hanno spiegato gli organizzatori - è uno di quei registi che ci ha colpito per la diversità e varietà di interessi, di generi trattati e che potrà raccontarci l'intera filiera cinematografica, sempre più complessa e punteggiata, che vive una sua complessità: dalla distribuzione alla produzione fino alla regia; il confronto tra cinema di finzione e cinema documentario, due sfere che sempre di più segnano un confine che Gröning ha ben superato”.
“Per aver saputo raccontare il mondo cinematografico dal documentario alla fiction, in tutta la sua filiera, con personaggi ai margini e con storie vere – ha spiegato Nicola Borrelli, presidente del Lucca Film Festival e Europa Cinema – unendo tradizione e contemporaneità, intercettando quel filone sperimentale per cui il festival è nato. Gröning è per noi il regista che meglio sintetizza cosa vuol dire assegnare e ricevere il Premio alla Carriera del Lucca Film festival e Europa Cinema 2019”.
L'omaggio del festival traccerà la carriera del regista tedesco, appassionato cinefilo ma anche produttore “indipendente” che ha spaziato dai film di finzione ai documentari, a lavori altamente sperimentali. Per girare il suo documentario Il grande silenzio ha trascorso sei mesi di permanenza presso il monastero della Grande Chartreuse, sulle Alpi francesi, a circa trenta chilometri da Grenoble. Tra gli ultimi lavori, nel 2013, il film La moglie del poliziotto, presentato in concorso alla 70ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dove si aggiudica il Premio speciale della giuria di cui l'anno dopo sarà membro. Oltre a essere professore di regia all'IFS di Colonia, Gröning ha ricevuto anche il prestigioso incarico di professore d'Arte Contemporanea presso l'Accademia di Belle Arti di Monaco, carica raramente assegnata a un filmmaker, sottolineando la sua peculiare posizione trasversale tra il cinema e l'arte contemporanea.
Il Lucca Film Festival e Europa Cinema, presieduto da Nicola Borrelli, è tra gli eventi di punta delle manifestazioni organizzate e sostenute dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. Banca Generali e Banca Pictet sono i Main Sponsor della manifestazione e le mostre sono prodotte con il sostegno di Societe Generale. Il festival si avvale inoltre del supporto di Fondazione Banca del Monte di Lucca, Lucar S.p.A, Martinelli Luce, Wella, Alleanza Assicurazioni S.p.A, Luccaorganizza, Il Ciocco S.p.A, Cantina Campo alle Comete, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Regione Toscana, Fondazione Sistema Toscana, Comune di Lucca, Comune di Viareggio della collaborazione e co produzione di Provincia di Lucca, Teatro del Giglio di Lucca, Fondazione Giacomo Puccini e Puccini Museum - Casa Natale, Fondazione Carlo Ludovico Ragghianti, Fondazione UIBI, Università degli Studi di Firenze, Accademia di Belle Arti di Carrara, CNA Cinema e Audiovisivo Toscana, Istituto Luigi Boccherini e Liceo Artistico Musicale e Coreutico Augusto Passaglia. Si ringraziano anche Federazione Italiana Teatro Amatori (FITA), Lucca Comics & Games, la Direzione Regionale di Trenitalia, Unicoop Firenze, Confcommercio delle Province di Lucca e Massa Carrara, il Corso di Laurea in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell'Università di Pisa e Photolux Festival per la collaborazione.
Il Lucca Film Festival e Europa Cinema è un evento a cadenza annuale di celebrazione e diffusione della cultura cinematografica. Attraverso proiezioni, mostre, convegni e concerti – spaziando dal cinema sperimentale al mainstream – il festival riesce a coinvolgere ogni anno un pubblico sempre più ampio. Nel corso delle edizioni il Festival è riuscito a distinguersi tra i tanti mediante programmazioni audaci, ma al contempo attentamente studiate; è stato capace di omaggiare personalità affermate del mondo del cinema, di riscoprirne altre e “scommettere” su di nuove. A coronare il tutto contribuiscono le belle cornici di Lucca e Viareggio, città in cui il festival si è ormai imposto diventando un appuntamento atteso ed imperdibile in Italia e in Europa.
Lucca Film Festival e Europa Cinema
segreteria@luccafilmfestival.it; www.luccafilmfestival.it
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Il futuro in bilico [libro]
Quali cereali preferisci? Puffs o Frosties? Chi ha visto il film interattivo Black Mirror: Bandersnatch si è trovato davanti a tale quesito come prima domanda a cui rispondere per poter continuare a vedere il film e veicolare in tal modo la struttura e l'intreccio stesso della narrazione. Grazie al telecomando lo spettatore può così sentirsi in sala montaggio artefice e co-protagonista dell'evoluzione della storia e provare, come nei videogames, un senso di potere e controllo di e su un mondo di cui, fino a pochi istanti prima, ignorava completamente l'esistenza. Basta poco però per scoprire l'amara verità che si cela dietro questa ir-realtà e porsi la famigerata e poco enigmatica domanda: “ma siamo noi ad avere il controllo del telecomando o sono Loro che utilizzano le nostre scelte per condizionare e influenzare la nostra vita?” E soprattutto: “chi sono questi Loro?”
Se vi interessa approfondire questi argomenti e avere maggiori strumenti per poter analizzare temi di grande attualità, un testo molto interessante è Il futuro in bilico. Il mondo contemporaneo tra controllo, utopia e distopia, saggio edito da Meltemi e scritto da Elisabetta Di Minico. Il libro infatti riflette sulla distopia, ossia sul “luogo cattivo”, tanto nella finzione letteraria, fumettistica e cinematografica, quanto nei percorsi storici e socio-politici degli ultimi 150 anni. Attraverso lo studio di opere fondamentali come 1984, Il mondo nuovo, Fahrenheit 451, Kallocaina, Il racconto dell'ancella e V per Vendetta, il testo “sfrutta” la distopia e la fantascienza per svelare provocatoriamente i sistemi di violenza e controllo e i processi di manipolazione e repressione che caratterizzano la società contemporanea, sia in contesti totalitari/autoritari, sia in realtà democratiche.
Citando fin da subito nell'introduzione la sentenza orwelliana (“Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato”), Il futuro in bilico ci mette immediatamente in guardia e, partendo da lontano, ci racconta come celebri autori e scrittori ci hanno rivelato il futuro dietro cui però si nasconde nient'altro che l'analisi del nostro eterno presente. Su piani paralleli che si intrecciano, assistiamo così allo sviluppo del tema prima dell'utopia con Thomas Moore nel ‘500, e poi all'evoluzione/involuzione della distopia, termine coniato dall'economista John Stuart Mills nel 1868, che negli anni si è guadagnata sempre più spazio diventando un genere a sé e con sempre maggiore appeal anche ai danni della faccia “buona” della stessa medaglia quale è l'utopia.
Tutta questa rappresentazione diventa così un'infinita metafora universale e senza tempo in cui trovano però spazio temi quotidiani e circoscritti che toccano i desideri e le paure dell'uomo. E così negli anni anche la politica si appropria di questi orizzonti e cavalca, forse più istintivamente che consapevolmente, tali temi assoggettandoli ai propri fini. “La politica soffre di una “sindrome da utopia”: gli elettori sono facile preda di buoni sentimenti e retorica commovente, che promette tempi migliori, giustizia, sicurezza, concetti e ideali incontestabili dalla quasi totalità della popolazione. L'utopia, però, ormai lo sappiamo è “un non luogo”. Gli slogan adottati, che coinvolgono per risonanza e impatto emotivo, se analizzati meglio, risultano inconsistenti ed estremamente semplicistici. […] Ma la banalità e la vaghezza del significato invece di pregiudicare l'efficienza di slogan e frasi fatte, amplifica e favorisce la loro insinuazione nella mente collettiva della società. E il pubblico cede facilmente alle effimere lusinghe delle belle parole”.
Il passo dall'utopia promessa alla distopia diventa così molto breve. “Per conservarsi, le democrazie mascherano la realtà con quelle che Chomsky chiama “necessarie illusioni” e presentano una versione migliorata di se stesse e delle loro azioni, edulcorando i giochi e il desiderio di potere, le macchinazioni e le manipolazioni”. Si arriva poi così al passaggio successivo che fotografa in pieno la rappresentazione moderna, un passaggio fondamentale a cui Elisabetta Di Minico dedica un capitolo molto interessante, “Controllo e propaganda dalle parole alle immagini”, in cui si afferma come una società dominata dal medium, che sia tv, cinema, pubblicità o social media, viene costruita sull'unidimensionalità dell'uomo e sull'annullamento del pensiero critico, dialettico e del contraddittorio.
Sono questi gli scenari comuni in cui si formano e sviluppano le storie utopiche/distopiche, siano esse i grandi classici degli autori cult della Sci-fi o le più recenti narrazioni, film e serie tv. Scenari quasi sempre apocalittici e da cui difficilmente si può tornare indietro e che sprofondano in un abisso che spaventa, “tendenza immanente e traumatica di una realtà che ha paura di guardarsi allo specchio”.
Il futuro in bilico è un testo intenso e complesso, un saggio che sintetizza un importante aspetto socio-politico-economico dell'attualità ma soprattutto un manuale utile per una letteratura e narrazione sempre più in voga e ambita e che rischia di essere fin troppo profetica. Ma l'arte in quanto tale ha sempre una missione salvifica, per cui “l'utopia può diventare distopia, ne abbiamo le prove. Ma le azioni di un popolo davvero consapevole di essere responsabile del presente e del futuro potrebbero però dimostrare che è vero anche il contrario”.
Autore: Elisabetta Di Minico
Titolo: Il futuro in bilico. Il mondo contemporaneo tra controllo, utopia e distopia
Editore: Meltemi
Dati: 422 pp. bn, brossurato
Anno: 2018
Prezzo: 28,00 €
Isbn: 9788883538384
webinfo: [Scheda libro sul sito Meltemi> http://www.meltemieditore.it/catalo...]
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Fare Critica - Intervengono Giovanni Veronesi e Sergio Stivaletti
Lamezia Terme, 25 febbraio.
A chiudere la prima edizione di Fare Critica, il festival dedicato alla critica teatrale e cinematografica e diretto da Gianlorenzo Franzì, è stato l'incontro con i registi Giovanni Veronesi e Sergio Stivaletti, tenutosi sabato 23 febbraio presso il Chiostro San Domenico.
Gli artisti, confrontandosi con i critici Gian Luca Pisacane e Anton Giulio Mancino, hanno ripercorso la loro carriera artistica e il rapporto con la critica cinematografica, spesso molto complesso. Ad aprire il dibattito è stato Giovanni Veronesi che ha fatto subito riferimento al grande Mario Monicelli, per lui un vero e proprio maestro: «Monicelli, proprio come hanno fatto i miei genitori, non mi ha insegnato a vivere ma a morire. Mi hanno insegnato a vivere quel pezzo di vita finale di cui tutti hanno tanta paura.»
D'altronde, «i maestri sono un po' come i tuoi genitori», ha proseguito Sergio Stivaletti, facendo riferimento a quell'inevitabile rapporto di «amore e odio» che caratterizza certi rapporti. «I miei maestri sono stati Dario Argento e Lamberto Bava, e spesso abbiamo litigato. Quando i registi non capiscono e non hanno i tuoi stessi desideri sul film, capita che ci si arrabbi».
Forse, è stato proprio questo che ha portato l'artista – noto soprattutto per il suo lavoro di effettista – a passare negli anni dietro la macchina da presa. Anche il suo ultimo film Rabbia furiosa - Er canaro (2018), infatti, è nato proprio dall'esigenza «di fare qualcosa in più che mettere in scena degli effetti speciali, ma scavare a fondo nei personaggi.»
Un tentativo che è stato ben accolto dalla stampa: «Il riscontro con la critica è stato ottimo, credo abbiano apprezzato il mio lavoro anche alla luce del momento particolarmente difficile che vive oggi il cinema di genere.»
Stivaletti, poi, ha cercato di spiegare qual è secondo lui il ruolo della critica cinematografica dal punto di vista dell'artista: «Credo che la sua funzione sia quella di approfondire gli aspetti che un autore non riesce a cogliere e comprendere fino in fondo perché troppo coinvolto.»
Più complesso, invece, è il rapporto di Veronesi con la critica che, con una certa amarezza, ha raccontato di come spesso sia stato «attaccato sul piano personale». Nessun rancore nelle sue parole, solo un velo di disillusione forse e un po' di tristezza per alcuni suoi film che non sono mai stati compresi, come Per amore, solo per amore (1993): «Era la storia laica di Giuseppe e Maria e nessun critico ha saputo cogliere il fatto che in questo film avessi voluto inserire quell'elemento sacro che è in ciascuno di noi». Ma «quando si supera la soglia dei cinquant'anni, ci si rassegna a queste cose», ha concluso il regista e sceneggiatore.
A chiudere la serata, è stata la proiezione del film Sex cowboys (Adriano Giotti, 2016) alla presenza del regista e dell'attrice protagonista Nataly Beck'S.
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Ecco il trailer italiano di Peterloo, il film storico di Mike Leigh
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Captive State: ecco il trailer italiano del nuovo film di fantascienza di Rupert Wyatt
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Domani è un altro giorno: la recensione del film con Marco Giallini e Valerio Mastandrea
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Il nuovo Hellboy di Neil Marshall e David Harbour debutterà in Italia l'11 aprile in prima mondiale
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Sommar: ecco il teaser del nuovo film di Ari Aster dopo Hereditary
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Ancora Auguri per la tua Morte
Regia di Christopher Landon. Con Jessica Rothe, Ruby Modine, Israel Broussard, Suraj Sharma, Sarah Yarkin, Rachel Matthews, GiGi Erneta, Charles Aitken, Steve Zissis.
Genere Horror - USA, 2019. Durata 100 minuti circa.
Ryan si sveglia in auto, dove sappiamo che va a dormire quando al compagno di stanza Carter serve privacy in camera. Infatti Ryan lo ritrova insieme a Tree nel giorno dopo il compleanno di lei, ossia quello successivo al loop temporale in cui era rimasta misteriosamente incastrata nel precedente capitolo. Questa volta però è Ryan a ritrovarsi aggredito da un assassino mascherato e a risvegliarsi di nuovo al mattino dello stesso giorno, dopo essere stato ucciso. Tree, grazie alla propria esperienza, capisce cosa sta succedendo e prende in mano la situazione, scoprendo che i loop temporali sono causati da una macchina costruita da Ryan e altri due scienziati in erba nel laboratorio della high school. Quando questa viene attivata Tree si ritrova nuovamente nel giorno del proprio compleanno, ma le cose sono diverse da come le ricorda.
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Dragon Ball Super: Broly - Il Film
(mymonetro: 2,50)
Regia di Tatsuya Nagamine. Con Vic Mignogna, Christopher Sabat, Chris Ayres, Jason Douglas, Mario Bombardieri, Gianluca Iacono, Federico Zanandrea, Luca Ghignone, Alessandro Zurla, Elisabetta Cesone, Maurizio Trombini, Marco Balzarotti, Masako Nozawa, Kôichi Yamadera, Sean Schemmel, Sonny Strait, Emily Neves, Monica Rial, Kara Edwards, Alexis Tipton.
Genere Animazione - Giappone, 2018. Durata 100 minuti circa.
Il re dei Saiyan Vegeta, preoccupato dalla potenza del nascituro Broly, superiore a quella del proprio figlio, spedisce Broly su un pianeta remoto e ostile, Vampa. Il padre di Broly, Paragus, lo segue su Vampa e lo addestra come un formidabile guerriero. 41 anni più tardi, dopo che Freezer ha distrutto il pianeta dei Saiyan, Broly e Paragus arrivano sulla Terra, per vendicarsi dei Saiyan superstiti.
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La casa di Jack: un clip in anteprima esclusiva del nuovo, provocatorio film di Lars von Trier
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Star Wars: Always, in cinque minuti la saga sintetizzata da Topher Grace, per hobby
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Non c'è pace per l'Oscar a Green Book: nasce una polemica tra un produttore e una giornalista
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martedì 26 febbraio 2019
Alejandro Gonzalez Iñarritu presidente di giuria a Cannes 2019
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Yahya Abdul Mateen II è il nuovo Candyman
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L'Ingrediente Segreto
(mymonetro: 3,30)
Regia di Gjorce Stavreski. Con Blagoj Veselinov, Anastas Tanovski, Aksel Mehmet, Aleksandar Mikic, Miroslav Petkovic, Dime Ilijev, Simona Dimkovska, Goran Stojanovski, Igor Angelov, Senko Velinov.
Genere Commedia - Macedonia, 2018. Durata 104 minuti circa.
Skopye, Macedonia. Vele lavora come meccanico in un deposito ferroviario dopo aver abbandonato gli studi: il fratello intelligente era Riki, il primogenito, morto in un incidente stradale insieme alla loro madre. A sopravvivere sono Vele e suo padre, malato terminale che soffre le pene dell'inferno perché il figlio minore non può comprargli i medicinali, sempre più costosi, che il disastrato sistema sanitario macedone non elargisce ai cittadini ("Non siamo mica in Svezia!"). Quando una gang criminale nasconde un pacchetto di marijuana su un vagone del deposito ferroviario, Vele se ne impossessa e recupera su Internet la ricetta per una torta alla cannabis che potrebbe essere di giovamento al padre. La ricetta funziona così bene che il padre non riesce a tenere l'entusiasmo per sè: in breve tutto il circondario viene a sapere delle virtù terapeutiche della "torta miracolosa" e identifica in Vele uno di quei guaritori cui gli abitanti di Skopye, abbandonati dallo Stato, si rivolgono. Non tarderà molto perché la gang criminale torni a reclamare il maltolto.
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In arrivo anche il remake di A letto con il nemico
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POKÉMON Detective Pikachu: nuove immagini del film nel Trailer Ufficiale in Italiano
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Totò che visse due volte restaurato dalla Cineteca di Bologna
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Domani è un altro giorno: la nostra videointervista a Marco Giallini, Valerio Mastandrea, Simone Spada e Anna Ferzetti
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Asterix e il mistero della pozione magica, una clip italiana con Rancorix ricordando i grandi nemici del Gallico
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Fratelli nemici: in esclusiva il poster italiano del poliziesco con Reda Kateb e Matthias Schoenaerts
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La Casa di Jack, ultimo film di Lars Von Trier, è solo per maggiorenni
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Anche l'horror ha i suoi Oscar: ecco i vincitori dei Fangoria Chainsaw Awards
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Luis Buñuel raccontato in un film di animazione
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Noi: un nuovo trailer internazionale del film horror di Jordan Peele
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lunedì 25 febbraio 2019
Iniziate le riprese del reboot di Jay and Silent Bob
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Per il sequel di A Quiet Place tornano John Krasinski alla regia e il cast originale
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La classe e la sfortuna di Glenn Close, eterna sconfitta agli Oscar
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Il Re leone, un nuovo teaser trailer e un nuovo poster per il remake Disney
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Green Book: Film vincitore del Premio Oscar 2019
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Fare Critica: Intervista a Sabrina Impacciatore
A Fare Critica, il festival dedicato alla critica teatrale e cinematografica, ideato e diretto da Gianlorenzo Franzì, che si è concluso sabato 23 febbraio, Close-Up ha avuto il piacere di incontrare e dialogare con Sabrina Impacciatore, poliedrica attrice cinematografica, teatrale e televisiva. È stata la prima donna a salire sul palco del concerto del Primo Maggio come presentatrice unica dell'evento. Ha lavorato per i più importanti registi alternando ruoli comici a quelli drammatici.
Nella sua carriera ha interpretato sia ruoli comici, che drammatici: a quale resta più affezionata? Quali trova più difficoltosi da preparare?
Sabrina Impacciatore: «Per me i ruoli sono come figli, quindi é difficile affermare quale ruolo abbia amato di più. Il processo é a monte: quando accetto di recitare in un film, lo faccio perché mi innamoro di un personaggio, o del regista, quindi i ruoli più difficili sono quelli che necessitano di essere costruiti...e io adoro immergermi in questo processo, soprattutto per i personaggi più lontani da me. Questo é ciò che ci hanno insegnato le vere, grandi attrici del nostro cinema...»
In questo periodo scombussolato dai deprecabili abusi sulle donne che lavorano nel mondo dello spettacolo, come giudica l'operato di movimenti di protesta, come #MeToo?
S.I.: «Sono convinta che sono fondamentali: ho vissuto per un brevissimo periodo a Los Angeles e lì é in atto un'autentica rivoluzione culturale. Lì le cose sono già cambiate, mentre in Italia non sta cambiando nulla, tutto é fermo. Viviamo in un Paese, purtroppo, in cui la culturale misogina é profondamente radicata, molto più che negli Stati Uniti. Questo seme che é stato piantato dovrà crescere e noi donne non dobbiamo assolutamente accontentarci.»
Cosa rappresenta per un attore il giudizio della critica?
S.I.: «La critica la seguo con affiatamento e curiosità, perchè amo così tanto il cinema, che mi piace e mi impegno ad avere un mio punto di vista su ciò che vedo. Ho sembra bisogno di confrontarmi. Ciò che della critica non approvo é che, a volte, non si accorge del lavoro degli attori, ed é un aspetto che, soprattutto in Italia, viene ignorato quasi totalmente. E questa é una mancanza che mi rattrista moltissimo. A volte mi viene l'impressione che i critici non sappiano nulla di recitazione e io, a volte, mi sento invisibile, per questo motivo.»
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Fare Critica: intervista a Daniele Luchetti
A Fare Critica, il festival dedicato alla critica teatrale e cinematografica, ideato e diretto da Gianlorenzo Franzì, che si è concluso sabato 23 febbraio, Close-Up ha avuto il piacere di incontrare e dialogare con Daniele Luchetti, autore tra i più raffinati e autobiografici del cinema italiano, ha firmato pellicole straordinarie come, tra le altre, Mio fratello è figlio unico (2007), con Riccardo Scamarcio ed Elio Germano; Anni felici (2013), con Kim Rossi Stuart; Io sono tempesta (2018), con Marco Giallini.
Dal 14 marzo, uscirà in sala con la sua ultima fatica, Momenti di trascurabile felicità, tratto dall'omonimo romanzo di Francesco Piccolo e interpretato, tra gli altri, da Pif e distribuito da 01 Distribution;
Siamo in un Festival di Critica, quindi permetta una domanda un pò provocatoria: se fosse un critico, come giudicherebbe la carriera di Daniele Luchetti?
Daniele Luchetti: «Mmh, per fortuna non sono in grado di farlo, anche perchè sarebbe un grave errore lavorare, pensando a quello che potrebbe piacere ai critici; devi ubbidire solo alle leggi interne del tuo mezzo espressivo. É un errore grave quello di lavorare pensando agli altri. Il processo creativo é talmente delicato e corruttibile che, da spettatori, ci accorgiamo di tutto, vedendo i film degli altri, quindi per mantenere una certa “pulizia”, bisogna dimenticare l'immagine di se stessi che si vuole far passare. Un film é un qualcosa che si realizza volontariamente ma, anche involontariamente...e se questo aspetti lo si accetta, si é un pò più liberi. Ho visto molti colleghi nazionali e non, ingessarsi sulla propria carriera, ma questo é un ragionamento che si può fare solo a fine carriera.»
Cosa ci può dire del suo ultimo lavoro, “Momenti di tracurabile felictà”, di prossima uscita?
D.L.: «É tratto da una collezione di spunti e aneddoti di Francesco Piccolo. Ho lavorato con l'autore per costruire una narrazione intorno a questi lavori, dato che ne sono sprovvisti. Ci sarà Pif nel ruolo di protagonista. É una sorta di commedia che richiama molto lo stile di Frank Capra. C'é una strana commistione di sensibilità dentro il film...»
Con pellicole quali “Il primo re” e “La paranza dei bambini” (giusto per citarne due tra le più recenti), crede che il cinema italiano si stia indirizzando verso la riscoperta di uno stile autoriale spesso messo in secondo piano?
D.L.: «Ma credo che questo sia un momento davvero buono, con tanti esordienti, tanti giovani che cominciano a esporre le proprie idee. Credo sia merito anche delle scuole di cinema che stanno sfornando molti talenti interessanti. Io stesso, essendo insegnante di regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, quest'anno ai David di Donatello, avevo la possibilità di votare ben quattro miei studenti...é una cosa impressionante! Chi esordisce oggi ha, per lo meno, l'ambizione di realizzare un cinema personale, d'autore, anche con meno paura di sbagliare...e molti sbagliano, per fortuna!»
Qual'é il suo giudizio sulla critica nell'epoca ipercientica di internet? Quanto é importante questo tipo di comunicazione, si presume, autorevole?
D.L.: «Io credo che, da una parte, sono diminuiti i film che necessitano di un'operazione critica, come se fosse un genere che si é estinto. Oggi il pubblico é più alfabetizzato e i film sono più diretti, leggibbili, perché é cambiata molto la formazione culturale dei registi: fino agli anni Settanta e Ottanta, il regista era una figura ideologizzata, con una grande formazione critica alle spalle, essendo esse uno strumento fondamentale per conoscere il cinema. Oggi la conoscenza del cinema é molto più diretta e, quindi, che bisogno c'é di andare a leggere un libro o prepararsi culturalmente sul film che si vuol vedere? Anche la critica era uno strumento che doveva spingere alla visione di un film.
Oggi viviamo in un mondo in cui l'ideologia politica, per esempio, non fa più parte della vita quotidiana, quindi spesso non si usa più il cinema per fare relazione, perché c'é un'immediatezza che ha trasfigurato un pò questo scambio culturale.»
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10 giorni senza mamma è ancora primo al boxoffice italiano del weekend
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Oscar 2019: In Memoriam dimentica Stanley Donen, Dick Miller, Carol Channing e molti altri
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Rami Malek cade dal palco dopo aver ricevuto l'Oscar
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Oscar 2019: Lady Gaga e Bradley Cooper cantano Shallow da A Star Is Born
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Oscar 2019: Tin Fey e Amy Poehler regalano le uniche battute divertenti in una cerimonia fiacca senza conduzione
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domenica 24 febbraio 2019
Oscar 2019: un emozionatissimo Spike Lee salta in braccio a Samuel L. Jackson e legge un discorso politico
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Free Solo: il trailer del documentario premiato con l'Oscar 2019
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The Irishman: Netflix annuncia per l'autunno l'uscita (anche al cinema) del nuovo film di Scorsese con un teaser "cieco"
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Oscar 2019: il grande e ricco gioco dei premi giocato con astuta prudenza. E Netflix a Hollywood è ancora uno straniero
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Oscar 2019: I Vincitori
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Tintoretto - Un Ribelle a Venezia
Regia di Giuseppe Domingo Romano.
Genere Arte - , 2019. Durata minuti circa.
Tintoretto si ispirava per i disegni e le forme a Michelangelo, per i colori a Tiziano. Due nomi che hanno fatto la storia - non solo quella dell'arte - e che Jacopo Robusti, detto il Tintoretto perché figlio di un tintore di tessuti, ha studiato e frequentato, nel caso di Tiziano, in bottega. Quando l'allievo supera il maestro non è mai semplice: la competizione e la rivalità tra Tiziano e Tintoretto a Venezia crescono, facendo acuire la furbizia del più giovane che, per vincere i concorsi con lo scopo di decorare i luoghi più preziosi della sua città e lasciare il segno, anche a costo di farlo senza remunerazione di denaro, riesce a piazzarsi dove vuole.
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SimulWatch: guarda e commenta coi tuoi amici Austin Powers, I mercenari, L'appartamento
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REINVENTING HOLLYWOOD in paperback: Extra-credit reading and viewing
Brown Derby lunch menu.
DB here:
Reinventing Hollywood: How 1940s Filmmakers Changed Movie Storytelling came out about eighteen months ago in hardcover. Amazon and other sellers have been offering it at robust discounts. Now there’s a paperback, priced at $30, though that could also be discounted at some point. I hope these options put it within the range of readers interested in the period, in Hollywood generally, and in the history of storytelling in commercial cinema.
But of course time doesn’t stand still. Since I turned in the manuscript around Labor Day 2016 I’ve encountered some intriguing things that were more or less relevant to my research questions. (I’ve also found a few errors, most of them corrected in the paperback edition. Meet me in the codicil if you’re curious.) In this blog entry and some followups, I’ll discuss some films, books, and DVD releases that came out after I finished the book. They don’t force me to change my case, I think, but they’re things I wish I could have cited, if only in endnotes.
Prosperity helps the movies
Lobby, Loew’s theatre, Rochester, New York, 1940.
Apart from studies of single creators, film historians have often sought to go macro, to tie the films to a broader cultural context. Elsewhere on this site I’ve criticized claims that films directly reflect national character, zeitgeist, or a mood of the moment. There’s no denying that films bear the traces of the societies that make them. The question is how to understand that process—and how to explain it.
I vote for seeing cultural material as filtered through the constraints and choices of the institutions that filmmakers work in. Writers, directors, producers, and other participants (deliberately or unwittingly) pick out bits of cultural flotsam and reshape them. Buzzy ideas become plot premises. New technologies fulfill old functions. The newspaper-headline montages of the 1930s are replaced by shots of chyrons and cable news feeds today. Stereotypes become characters-sometimes unstereotypical ones. Not reflection, then, but refraction, with agents and social institutions recasting some trends that are out there.
But the macro level shapes cinema in another way: as a set of economic and technological preconditions. Around 1900, a society without a market economy and access to machine technology couldn’t have invented cinema. Before the smartphone, people living in certain countries lacked the infrastructure to access the Internet.
Historians sometimes distinguish between proximate causes—factors we can trace with some specificity—and distal causes, those more basic and pervasive preconditions that provide a background for the proximate causes. Along these lines, I wish I’d drawn on Robert J. Gordon’s 2016 masterwork, The Rise and Fall of American Growth.
Gordon proposes that the century from 1870 to 1970 saw five great clusters of technological innovations: electricity, urban sanitation, chemicals and pharmaceuticals, the internal combustion engine, and modern communication systems. Most became feasible at the end of the nineteenth century, but they took some years to develop, starting to disseminate through the US population from 1920 onward. They peaked, he claims, by 1970 but a significant threshold was crossed around 1940.
Thanks to the Great Depression, FDR’s recovery scheme, and the start of World War II, both the American economy and most American lifestyles improved dramatically. Home electricity, refrigerators, washing machines, radios, telephones, central heating, cheap clothing, sanitation (no more horse droppings on Main Street), the rise of life expectancy, and the fall of infant mortality transformed everyday life. Most of these improvements were tied to the growth of cities. As Gordon puts it:
Except in the rural south, daily life for every American changed beyond recognition between 1870 and 1940. Urbanization brought fundamental change. The percentage of the population living in urban America—that is, towns or cities having more than 2,500 population—grew from 25 percent to 57 percent. By 1940, many fewer Americans were isolated on farms, far from urban civilization, culture, and information.
Reinventing Hollywood emphasized the boom in movie attendance that took off around 1940. Surely American migration to cities fed into this.
The growth of the film industry in the early and mid-Forties parallels a surge in everyday circumstances as well. By 1950, 92 percent of households had a motor vehicle. Penicillin and streptomycin had begun to drastically reduce instances of pneumonia, rheumatic fever, syphilis, and tuberculosis, while a new vaccine eliminated polio. And the rural population continued to dwindle, particularly when people were lured by the fat paychecks in war-related industries.
Did the diffusion of the major consumer technologies through American society directly affect the form and style of the films? No. Just as the struggle with the Axis didn’t demand flashback structure or voice-over narration, neither did the economic forces in society at large. But they did provide a basis for a leisure economy in which filmgoing could flourish, especially when the war cut down rival entertainments and provided more discretionary income. I discuss these processes at some length in Reinventing. Likewise, radio technology didn’t automatically create new narrational devices like voice-over and auditory flashbacks. Radio’s creative artists chose to develop specific techniques to achieve immediate ends. The rise in American standards of living is not a proximate cause but a powerful precondition for the 1940s surge in innovative storytelling, I could have signaled that factor more strongly.
Hanging out
Hollywood Palladium Café.
If the bottom-up approach I tried out is to get anywhere, it needs to show that there’s a community of creators aware of what other folks are doing. Accordingly, the first chapter of Reinventing argues for the importance of Hollywood as bristling with social networks that facilitated cooperation within competition.
Formal organizations, which Kristin, Janet Staiger, and I traced out in our Classical Hollywood Cinema, include professional associations, supply firms, trade papers, and the Academy of Motion Picture Arts and Sciences. These served as clearing-houses for filmmaking information. Reinventing adds in the more informal ties among personnel on the job or outside work hours (partying, playing cards or polo). In that era of loanouts and independent production, people who socialized might wind up working together.
I mention a few Hollywood hangouts, but now I wish I’d done more with the night spots that sprang up in the 1930s, most notably the Hollywood Derby, the Cocoanut Grove, and the Trocadero.
Most of the watering holes lingered into the Forties, when new attractions like Ciro’s and the Mocambo were added to the list. There were some more risqué ones, like Club Zombie and Florentine Gardens, which advertised topless/ bottomless performers. And there was the vast Palladium café, with a dance floor that could accommodate 7500 people.
These and many more venues are featured in magnificent photos in Jim Heiman’s Out with the Stars: Hollywood Nightlife in the Golden Era. Yes, everybody is shown smoking cigarettes.
I did edge into this area by discussing Breakfast in Hollywood (1946) as a network narrative. It features Bonita Granville, Zasu Pitts, Spike Jones, Nat King Cole, Hedda Hopper, and, I’m told, the mothers of Gary Cooper and Joan Crawford. The movie was a spinoff of a current radio show that broadcast from Sardi’s before moving to a dedicated venue on Vine Street. An enormous sign promised “Glorified Ham and Eggs from Pan to Mouth.”
The minimal switcheroo
Reinventing Hollywood surveys flashbacks, subjectivity, voice-over, ellipsis, multiple-protagonist plots, and other techniques. They were taken up widely and explored in various directions.
But they weren’t brand-new. Apart from voice-over, of course, these storytelling strategies appeared fairly often in the silent era. And although the 1930s largely swerved away from these strategies, they did pop up occasionally. I discussed several examples, such as The Power and the Glory (1933), The Life of Vergie Winters (1934), Peter Ibbetson (1935), and the crazed Poverty Row item The Sin of Nora Moran (1933).
Tom Gunning reminded me of another important precursor. Confession (1937), a Warners melodrama starring Kay Francis, tells of a young woman becoming the prey of a suave but rapacious composer. When she leaves a supper club with him, he’s shot by the woman who has just performed a song. In the singer’s trial, she reveals that he seduced and abandoned her and that his target is her daughter. The court goes fairly easy on her.
The tale is told through some devices that would proliferate in the 1940s. Voice-over monologue to let us in on a character’s thoughts? Check, although it’s very minimal. Flashback to illustrate trial testimony? Check, although that was already a fairly common option from the silent era onward. And a replay of events that show us an event from different viewpoints? Check, although another trial drama, the RKO Ann Harding vehicle The Witness Chair (1936) had pursued the same strategy. (It can be found as far back as The Woman Under Oath (1919), as discussed in an earlier entry.)
What makes Confession more interesting, as Tom also told me, is that it’s a maniacally close remake of Willi Forst’s Mazurka (1935). Here Pola Negri plays the avenging discarded lover. Joe May was a very talented director, but in Confession, he was content to copy the original scene for scene, and sometimes shot for shot. A portion of the German version’s first shot is re-used in the beginning of the American film.
The courtroom is one of several sets that are more or less replicated. Again, the Mazurka shot is first.
Both versions include a replay of an earlier scene. In the first instance, the daughter is unaware that her mother hovers in the hall outside. In the replay, we’re attached to the mother watching the young woman with her adopted mother. The parallel Mazurka sequences are on the top, the Confession ones below.
May’s remake supports a couple of points I made in the book. One source of Hollywood’s 1940s narrative ambitions was foreign cinema. French, German, and British films were exploring these techniques in the 1930s, and some relevant titles got exported to the US. A few were remade, with The Long Night (1947), based on Carné’s Le Jour se lève (1939), being one of the most famous. At the same time, some European directors, like May, started working in Hollywood. Julien Duvivier, for example, leaped into the new US trends with Lydia (1941), Tales of Manhattan (1942), and Flesh and Fantasy (1943).
Hollywood endlessly recycles material, as the new Star Is Born shows. Remakes weren’t as common then as they are now, but they did exist. We might see them as part of the process that includes the switcheroo, the habit of varying an existing premise or gimmick with a change that makes the thing look fresh. I suppose the most famous switcheroo comes in His Girl Friday (1940), where the male protagonist of The Front Page (1931) becomes a woman. Neatly, the name Hildy Johnson works both ways. Even Lydia can be seen as a switcheroo on Duvivier’s own Carnet de bal (1937). Everything, as we know, is grist for the Hollywood mill.
Most broadly, popular entertainment exemplifies what I call the variorum impulse, the urge to tweak or twist existing materials and devices. The aim is to produce something new that’s at once novel and familiar. More on the Variorum in a later entry.
Bing and Bob
I’ve had reason to praise Gary Giddins elsewhere on this site, but I never got around to talking about the wonderful first volume of his biography of Bing Crosby. Now he’s come up with Bing Crosby: Swinging on a Star: The War Years 1940-1946. Of course he deals with the musical career in definitive fashion, but just as important for me is his in-depth coverage of Der Bingle’s movies.
Reinventing, alas, devotes no space to Going My Way (1944), but after reading Giddins’ fifty pages on the film’s production, with sharp excursions into McCarey’s working methods and the tug-of-war about billing in the credits, I wish I had. It’s of course an extraordinary movie, loosely plotted and irresistible in its gentle momentum.
McCarey sold Crosby on the part as if he were peddling a modern High Concept project: “You’re going to play a hep priest.” Giddins carefully traces how the film took the country by storm and led to Crosby’s new, extraordinarily powerful contract with Paramount.
Bing enters my book in Chapter 11, as partner to Bob Hope in the zany Road films. These, along with other Hope vehicles, exemplify for me the acute movie-consciousness we find throughout the 1940s. Of course silent films and early talkies were often set among moviemakers (one of my favorites is Boy Meets Girl, 1938). But the theme shifted into higher gear in the 1940s and early 1950s, when we got films that exhumed Hollywood’s history (The Perils of Pauline, 1947; Singin’ in the Rain, 1952) and comic films that made fun of cinematic conventions. The latter is most wildly illustrated in Hellzapoppin’ (1941), but we get comparable cinematic in-jokes in the Road movies.
Giddins leads us behind the scenes, showing how the Road scripts, tentatively approved by the Breen Office, would get pulled apart during shooting and naughty bits of impromptu got shoved in in.
The writers aimed not only to make scripts funny but also to bamboozle censors. As Bing and Bob crisscrossed the set between takes, like fighters going to their corners, they would receive whispered zingers from personal gagmen, each star looking to unbalance the other; the constant comic rigor roused players and crew. Breen had no knowledge of the ad libs or how scenes would play.
Giddins is constantly throwing crosslights on these films. He shows, for instance, that the “high-velocity raillery” of The Road to Zanzibar (1941) owes something to producer Paul Jones, who had worked on Preston Sturges’ comedies. “The pace of the dialogue between crooner and comedian is impeccable, unforced, and funnier than the actual lines.”
To greater or lesser degree Giddins plumbs all the fourteen films Crosby made in these years, weaving them into the spectacular radio, touring, and recording career of one of the most popular stars in American entertainment. There’s plenty of sadness to go around too.
I could go on and on, as you know. After I finished the book I discovered George S. Kaufman’s 1945 play Hollywood Pinafore; or, The Lad Who Loved a Salary. It uses Arthur Sullivan’s score for H.M.S. Pinafore to mock the movie capital. Here’s a sample featuring the gossip columnist Louhedda:
Somehow all the weekly checks/definitely hinge on sex./ One man fills another’s shoes./Hard to tell whose baby’s whose./ Many autographs annoy/ Ella Raines and Myrna Loy./Goldwyn claims that all our ills/ Can be traced to double bills.
Et cetera. A bit labored, but cute.
Next time: Reinventing Hollywood and Happy Death Day 2U.
Thanks to Tom Gunning, Dan Morgan, Ally Nadia Field, Jim Lastra, Richard Neer, Jim Chandler, Mike Phillips, and Gary Kafer, as well as those who attended my lectures at the University of Chicago in January.
The following errors are in the hardcover version of Reinventing Hollywood but are corrected in the paperback.
p. 9: 12 lines from bottom: “had became” should be “had become”. Yow.
p. 93: Last sentence of second full paragraph: “The Killers (1956)” should be “The Killing (1956)”. What a brain fart. Elsewhere on this site I discuss Kubrick’s heist film at some length.
p. 169: last two lines of second full paragraph: Weekend at the Waldorf should be Week-End at the Waldorf.
p. 334: first sentence of third full paragraph: “over two hours” should be “about one hundred minutes.” Sad!
We couldn’t correct this slip, though: p. 524: two endnotes, nos. 30 and 33 citing “New Trend in the Horror Pix” should cite it as “New Trend in Horror Pix.”
Whenever I find slips like these, I take comfort in this remark by Steven Sondheim:
Having spent decades of proofing both music and lyrics, I now surrender to the inevitability that no matter how many times you reread what you’ve written, you fail to spot all the typos and oversights.
Sondheim adds, a little snidely, “As do your editors,” but that’s a bridge too far for me. Instead I thank the blameless Rodney Powell, Melinda Kennedy, Kelly Finefrock-Creed, Maggie Hivnor-Labarbera, and Garett P. Kiely at the University of Chicago Press for all their help in shepherding Reinventing Hollywood into print.
UChi marketing guru Levi Stahl tweets: David Bordwell stops by the office but refuses to pose with his own book unless you also let him include Richard Stark’s Parker novels in the picture. It’s as close as I’ll get to greatness.
from Observations on film art https://ift.tt/2SZJm8b