Il candidato elettale Gary Hart (interpretato magnificamente da Hugh Jackman), ha la bellezza di John Kennedy, la purezza di sguardo di Martin Luther King, una passioncella per le ragazze giovani in comune con Bill Clinton. Una integrità morale esaltata a valore costitutivo della linea politica del candidato a presidente degli Stati Uniti d'America Hart si trasforma nella lama nel fianco che, per quanto l'uomo politico tenti di estrarre come fosse una spina qualunque, gli stronca l'avvenire (e la carriera). Nelle prime sequenze la macchina da presa si muove con piano sequenza e la traccia audio è composta da voci sovrapposte, tipiche della cinematografia Altmaniana (forse un omaggio alla serie tv degli anni Ottanta girata da Altman per Tanner 88) su una moltitudine di giornalisti in attesa davanti a un palazzo del potere: lo spettatore ha difficoltà a seguire le voci, a scegliere un personaggio, a sezionare nell'inquadratura un pezzettino su cui concentrarsi. Il regista Jason Reitman dice di aver voluto raccontare una storia con una decina di personaggi principali, dall'andamento lineare, una storia politica, il racconto fedele di una campagna elettorale, una storia di giornalismo (un momento prima che l'approccio etico si frantumi in compromessi e gossip), una storia di famiglie: ci è riuscito. La molteplicità diviene cifra stilistica e presto l'occhio si abitua a seguire più uomini che si muovono, mangiano, discutono con enfasi, prendono decisioni, viaggiano in aereo, rilasciano interviste, provocano scandali. Tutti si mettono in discussione: il giovane giornalista nero che, durante un attacco di panico per una turbolenza in aereo, viene tranquillizzato da Hart, che gli regala Tolstoj per comprendere l'Unione Sovietica (e il ragazzo forse ne trae una più importante lezione sulla morale e sul tradimento); la volontaria con scrupoli morali che intrattiene la buona amante; il giornalista un po' nero che coglie al balzo l'opportunità di un salto di carriera. Nel 1988 siamo, gli Stati Uniti e il mondo intero, sull'orlo di un baratro: Reagan, il presidente attore, è uscente, c'è la possibilità (viene dato vincente dai sondaggi) di essere sostituito da un democratico che crede nell'America ma anche nel cambiamento. Hart però è anche un uomo che ama le donne, senza darlo a vedere, con una discrezione in Italia ormai sconosciuta nella politica: quel che dei paparazzi riescono a cogliere è solo la presenza di una donna nella sua abitazione di Washington. Da un piccolissima indiscrezione scoppia la bomba. La retorica e la moralità politica non suppliscono il bigottismo legato alla sacralità della famiglia americana. Hart si deve dimettere. Quello scandalo è lo spartiacque che ha condotto il mondo, successivamente, allo scempio della televisione-verità, dei reality, della assoluta esplosione di potenza condizionante dei social network. La visione di questo film è consigliata a un pubblico giovane (quella gioventù che il candidato democratico dichiara essere l'unico traino valido per un vento di cambiamento in America), nella speranza che gli entri nelle vene e ne sveli il significato di profondo valore etico, sociale e politico. Negli adulti sopra i trenta lascia un'amarezza difficile da digerire.
(The front runner); Regia: Jason Reitman; sceneggiatura: Matt Bai, Jay Carson, Jason Reitman; fotografia: Eric Steelberg; montaggio: Stefan Grube; musica: Ron Simonsen; interpreti: Hugh Jackna, Vera Farmiga, Alfred Molina, J.K. Simmons, Sara Paxton; produzione: BRON Studios, Right of Way Films; distribuzione: Warner Bros.; origine: Stati Uniti, 2018; durata: 113'
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