giovedì 28 maggio 2020

Bar Giuseppe

A seguire Magari di Ginevra Elkan, da oggi in esclusiva e visionabile gratuitamente su RaiPlay, per la serie il #ilcinemanonsiferma, Bar Giuseppe di Giulio Base, presentato in anteprima nell'autunno scorso alla Festa del Cinema di Roma.

Ipercodificazione, per anticipare un giudizio sommario, così si potrebbe definire il difetto principale di cui soffre il film – tutto sommato: più che dignitoso – di Giulio Base. Si descrive una vicenda che, fatte le dovute differenze e tenuto conto che ci muoviamo nell'ambito di un assai più tradizionale e frequente rapporto fra un uomo anziano e una donna giovane (e non viceversa), potrebbe esser considerata una variante di Douglas Sirk (All That Heaven allows) e soprattutto di Rainer Werner Fassbinder (La paura mangia l'anima) ma che vuole invece trasformarsi, in modo quasi meccanico, in una vicenda evangelica (Base è laureato, oltreché in Storia del Cinema, anche in Teologia).

Il Giuseppe, di cui al titolo, gestisce un bar e al contempo una stazione di benzina adiacente a una superstrada nella provincia barese. Un non-luogo trasformato in un luogo, in un luogo abitabile e di aggregazione, non solo di passaggio quindi. Che così sia lo si capisce anche dal tempo e dallo spazio che a questo luogo dedica il regista, auratizzandolo più e più volte con sontuosi movimenti della macchina da presa, e colori che nemmeno Edward Hopper. Ma il film si apre in modo tragico e repentino con la morte della moglie di Giuseppe, forse, chissà, colei che aveva fornito un importante contributo a render quel luogo abitabile. E il protagonista, sepolta la moglie amata, deve decidere che fare. Chiudere l'attività e venderla, come vorrebbero i due figli (che volentieri si dividerebbero i ricavi), uno tossico e l'altro fornaio di paese, malgrado l'apparenza neanche troppo pacioccone? Oppure riprenderla in mano? Giuseppe decide così, e organizza un casting per assumere qualcuno da cui farsi aiutare. Malgrado le riserve della clientela abituale non esattamente accogliente con i migranti, anzi piena espressione del mood imperante nell'Italia di oggi, è proprio Bikira, una profuga africana su cui cade la scelta. E Bikira – attenzione, attenzione – in swahili significa “vergine”, come ci viene detto in modo esplicito. Se poi, quando mettiamo piede nella casa del silenziosissimo Giuseppe (una masseria a walking distance dal bar trasformata di fatto in un loft, e distante dunque dal paese, a marcare la distanza anche antropologica di Giuseppe dal resto della comunità), scopriamo che il protagonista si diletta di falegnameria, ecco che lo spettatore comincia a intuire l'allegoria. Quando poi dal semplice rapporto di lavoro si passa a una solidarietà amicale e da lì all'amore e, fra lo scandalo dei figli e della comunità tutta, al matrimonio, beh… Per tacere di quanto accade nella parte conclusiva del film, che non riveleremo, e cioè una soluzione che, per completare l'allegoria, non risulta proprio credibile, in un film alla fine intriso di realismo.

Detto ciò, evidenziamo, però, anche degli aspetti positivi di Bar Giuseppe : la regia e la fotografia sono, rispetto alla norma del cinema italiano diciamo così di provincia, molto vistose e spesso convincenti (talvolta un po' barocche); le riflessioni sulla relazioni interetniche e intergenerazionali non troppo ideologiche; il protagonista (Ivano Marescotti), che nei 95 minuti del film pronuncia un numero di parole corrispondenti a occhio e croce a una pagina scarsa di sceneggiatura, di straordinaria bravura, nei silenzi e nei gesti. Un silenzio che non è dovuto alla mancanza di capacità espressive, ma che appare una scelta deliberata di opposizione al chiacchiericcio, anche perché Giuseppe – barista e falegname – è anche un uomo colto, come dimostrano i molti libri presenti nel loft. Fra questi, la macchina da presa a un certo punto inquadra il "Meridiano" di Jack Kerouac. Chissà, forse, in passato l'ultra-settantenne è stato un hippie, ciò che potrebbe contribuire a spiegare la sua vicinanza interetnica e, un tempo si sarebbe detto, terzomondista alla vergine Bikira.

(Bar Giuseppe); Regia: Giulio Base sceneggiatura:Giulio Base; fotografia:Giuseppe Riccobene; montaggio:Diego Capitani ; interpreti: Ivano Marescotti (Giuseppe), Virginia Diop (Bikira), Nicola Nocella (Nicola), Michele Morrone (Luigi), Vito Mancini (Baffo); produzione: One More Pictures, Rai Cinema origine: Italia 2019; durata: 95'.



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