Ci sono artisti che non hanno bisogno di presentazione, anche se è bene ricordarli e celebrarli sempre, soprattutto come esempio alle nuove generazioni che si avvicinano al cinema e in molti casi non hanno ben chiari i ruoli che in un fm, che resta in ogni caso un'opera collettiva, contribuiscono a renderlo indimenticabile. Due autentiche glorie nazionali, vincitrici di tre premi Oscar a testa, sono ad esempio Dante Ferretti, scenografo (prevalentemente ma non solo al cinema), e la moglie Francesca Lo Schiavo, arredatrice o, come dicono gli americani, set decorator. Insieme hanno condiviso oltre 50 anni di vita pubblica e professionale, lavorando coi più grandi registi del cinema mondiale e diventando sinonimo di eccellenza italiana. Il Museo del Cinema di Torino, che li ha ospitati per una vivace Masterclass nella pre-inaugurazione della mostra Movie Icons. Oggetti di scena da Hollywood, li ha insigniti del premio Stella della Mole.
Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo: chi sono i due artisti che il mondo ci invidia
Di carattere non potrebbero essere più diversi, eppure sono complementari. Sornione e autoironico, Dante Ferretti è anche un po' svagato (nei suoi racconti abbondano i "non ricordo", secondo noi non per colpa di quelli che ama definire i suoi "60 anni più IVA", ma perché ha fatto talmente tante cose che ci vorrebbe un cervello elettronico per ricordarle tutte) mentre Francesca Lo Schiavo è precisa e puntuale e ricorda tutto. Nelle interviste amano raccontare dei loro battibecchi a casa, specialmente riguardo alla dieta che lei gli ha imposto, ma rivelano di non aver mai litigato sul lavoro, dove sono, sempre stati in completa sintonia. Ferretti parte da Macerata, dopo gli studi d'arte, per perseguire il suo sogno del cinema. Inizia, come tutti, come assistente, sui set del cinema italiano e firma la sua prima scenografia come responsabile di reparto nel 1969, per Medea di Pasolini. Lavora poi con Elio Petri (La classe operaia va in paradiso e, anni dopo, Todo Modo), di nuovo con Pasolini per Il Decameron, Il fiore delle mille e una notte, I racconti di Canterbury e Salò, oltre che per altri registi del cinema italiano, tra cui Marco Ferreri, Liliana Cavani e Luigi Comencini.
Del 1978 è l'incontro con Federico Fellini, per cui "Dantino", come lo chiama il maestro riminese, firma le maestose scenografie di Prova d'orchestra, La città delle donne, E la nave va, Ginger e Fred e La voce della luna. Poi, con Le avventure del Barone di Munchausen, i cui mondi fantastici ricrea per Terry Gilliam a Cinecittà, arriva la prima candidatura all'Oscar assieme a Lo Schiavo e l'attenzione del cinema internazionale. Martin Scorsese - che lo ha conosciuto sul set de La città delle donne - lo chiama per L'età dell'innocenza (la moglie non aveva all'epoca il permesso per lavorare in America ed è costretta a malincuore a rinunciare alla trasferta) e poi, assieme a Lo Schiavo, per altri 8 film, da Casinò a Hugo Cabret (la mostra Movie Icons ha in esposizione il celebre automa). Il primo Oscar arriva per loro, quando ormai non se lo aspettavano più, alla terza candidatura nel 2005, per The Aviator di Scorsese. Due anni prima Ferretti aveva convinto il regista, che avrebbe voluto ambientare in una New York ormai sparita la storia di Gangs of New York, a girarlo interamente a Cinecittà. Per farlo, racconta, ricorse a un escamotage: Scorsese viaggiava col suo aereo privato e dette loro un passaggio fino a Ciampino. Dal momento che era quasi ora di pranzo, Ferretti propose al regista di mangiare in un ottimo ristorante di fronte a Cinecittà, e una volta pranzato, gli fece fare un tour guidato personalmente degli Studios e del backlot sulla Tuscolana, convincendo il regista e la produzione, dal momento che quell'impressionante ricostruzione sarebbe comunque costata meno che girare in America.
Dopo aver lavorato anche con Neil Jordan per Intervista col vampiro, nel 2008 arriva per questo fantastico duo il secondo Oscar per il cupo musical di Tim Burton Sweeney Todd. Il terzo è del 2012, per un altro film di Scorsese, Hugo Cabret. A loro agio sia con le ambientazioni d'epoca che con i mondi inesistenti e fantastici, raccontano ad esempio che in questo caso Scorsese, pur dando loro come sempre assoluta fiducia e libertà di creare, desiderava un feeling anni Trenta. Francesca Lo Schiavo racconta anche che a uno stadio già avanzato della preparazione, la produzione decise che il film sarebbe stato in 3D (ricorderete che era la moda del momento) e questo la costrinse a ripensare tutti gli oggetti, che con questa tecnica risultano molto più piccoli, e perciò sono stati fatti ricostruire apposta, inclusi i giocattoli presenti nella bottega di Meliès, in dimensioni 3 volte superiori agli originali. Lo Schiavo elogia poi la genialità del marito nel suo dono per le proporzioni: i suoi bozzetti rispecchiano sempre in maniera estremamente precisa la dimensione dei set. Entrambi, poi, non dimenticano di ringraziare gli artisti e gli artigiani che danno concretezza alle loro idee. Il premio Stella della Mole assegnato dal museo del cinema di Torino non avrebbe potuto andare a due artisti migliori, che speriamo di vedere ancora a lungo all'opera, magari di nuovo in un film italiano. Per saperne di più sulla loro straordinaria carriera, esiste in ogni caso la bella autobiografia di Dante Ferretti, "Immaginare prima. Le mie due nascite, il cinema, gli Oscar", uscita nel 2022 per Jimenez editore.