mercoledì 2 settembre 2020

Venezia 77 - Oasis

Circola con un doppio titolo, sia in originale che nella versione internazionale (inglese) il secondo film del trentottenne regista serbo Ivan Ikic, il primo titolo – ci limitiamo ai titoli inglesi - è The Users, ovvero Gli utenti, il secondo è Oasis, ovvero Oasi. A Venezia, dove è stato presentato alle Giornate degli Autori si è preferito questo secondo.
I due titoli circoscrivono la dialettica su cui il film è impostato, quella fra sguardo documentario e fenomenologico da un lato e sguardo empatico che condivide o finisce per condividere i sentimenti, la sofferenza e soprattutto la consapevolezza dei protagonisti.

Articolato su tre capitoli, ciascuno intitolato a uno dei tre protagonisti, il film si regge su un triangolo amoroso e dunque potrebbe essere considerato un melodramma. Ciò che rende questo melodramma alquanto atipico è la location dov'esso si svolge, ovvero un istituto che ospita giovani (ragazze e ragazzi) con pesanti deficit mentali, che qui trascorrono monotonamente le loro giornate fra piccole faccende quotidiane (caricare le lavatrici, dare lo straccio, sciacquare stoviglie) e poco altro. In questo contesto desolato e disperante si stagliano le vicende di Maria, Dragana e Robert, tre pazienti. Le due ragazze s'innamorano di Robert, un ragazzo dall'aria fragile, di altezza inferiore alla media che nell'arco di tutto il film non dice neanche una parola. La contesa scatena una violenza che, in un film assolutamente laconico e francamente un po' troppo lungo (due ore esatte), incombe di continuo e talvolta esplode davvero, una violenza eterodiretta ma anche autolesionista, prova ne sia che il vero leitmotiv del film sono le cicatrici che tutti e tre i personaggi recano sui polsi e in vari momenti del film tanto, tanto sangue.
L'handicap mentale dei tre ragazzi non impedisce loro di capire l'assoluta ineluttabilità della situazione in cui si trovano, l'impossibilità di una via d'uscita, talché il tentativo di farsi fuori non può non indurre nello spettatore una sostanziale empatia. Che cos'altro dovrebbero/potrebbero fare?

I lunghi primi piani, gli scarsi movimenti di macchina, l'indugio su un "setting" dai colori lividi con prevalenza di verde costituiscono gli elementi formali più riconoscibili di questo film molto rigoroso che parte in due sensi da un documentario: da un lato Ikic era partito per girare un documentario e da lì ha sviluppato, anche con l'aiuto del Talent Campus berlinese, un film di finzione, dall'altro è il film stesso che, nella sequenza iniziale, recupera un documentario jugoslavo degli anni '60 dove si “celebra” la nascita "in the middle of nowhere" di istituti tipo quello nel quale, pochi secondi dopo, ci trasferiamo, nell'oggi.
Ad accentuare il lato documentario Ikic si è servito di ragazzi che in quegli istituti ci vivono davvero, gli utenti, per riprendere uno dei titoli, di cui si diceva all'inizio.

A cosa di riferisce l'altro titolo, ovvero Oasi? Che anche in un luogo così orrendo sboccia l'amore? Che anche in un luogo così orrendo vince, in fondo, il libero arbitrio, sotto forma di un affilato coltellino da cucina o di una scheggia di vetro? Più la seconda della prima.

(Oaza); Regia: Ivan Ikić; sceneggiatura:Ivan Ikić fotografia:Milos Jacimovic; montaggio:Dragan Von Petrovic; interpreti: Marijana Novakov (Marija), Tijana Markovic (Dragana), Valentino Zenuni (Robert); produzione: SENSE Production; origine: Serbia, Slovenia, Paesi Bassi, Francia, Bosnia ed Erzegovina, 2020; durata: 122'



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