Nella tana dell’orso
Il regista Alejandro Iñárritu ha scelto di girare la lotta tra il personaggio di Hugh Glass e l’orso in piano sequenza, una tecnica che prevede una singola ripresa continua, senza stacchi o interruzioni. Una scelta stilistica che il regista aveva già ampiamente sfruttato in Birdman (2014). In questo caso il piano sequenza ha l’obiettivo di amplificare la tensione e di immergere completamente lo spettatore nella drammaticità del momento.
La macchina da presa segue Leonardo DiCaprio in tempo reale, catturando ogni istante della sua lotta per la sopravvivenza: viene aggredito, sbattuto a terra e trascinato nella neve, mentre la camera non si ferma mai.
Ciò che rende davvero unica questa scena è che, nonostante il suo realismo, l’orso che vediamo sullo schermo non è mai esistito davvero. Ad interpretarlo è un attore in tuta motion capture. Si tratta di una speciale tuta dotata di sensori che tracciano con precisione ogni movimento del corpo, i quali vengono poi trasmessi su un modello digitale. È la stessa tecnologia utilizzata per dare a vita a Gollum ne Il Signore degli Anelli e ai personaggi di Avatar.
Grazie a questi sensori, ogni movimento dell’attore è stato registrato e successivamente trasformato digitalmente in un orso. L’attore ha, dunque, sollevato, trascinato e interagito fisicamente con DiCaprio, seguendo una coreografia precisa al millimetro, studiata per apparire improvvisa e brutale, ma, in realtà, perfettamente coordinata con i movimenti della macchina da presa.
Il risultato è un capolavoro visivo in cui ogni dettaglio, dall’intensità dello scontro alla credibilità dell’animale digitale, è frutto di un equilibrio perfetto tra regia, recitazione e tecnologia. Il lavoro di post-produzione ha poi permesso di fondere realtà e finzione con una naturalezza impressionante, facendo sembrare l’orso una minaccia terribilmente reale.
Un set ai limiti della sopravvivenza
Ma questa sequenza è solo uno dei tanti momenti che testimoniano l’ambizione estrema del progetto del regista messicano. Revenant è stato girato tra le foreste del Canada e dell’Argentina, utilizzando esclusivamente la luce naturale. Una scelta radicale voluta da Iñárritu per conferire al film un realismo visivo assoluto, ma che ha imposto alla produzione sfide logistiche estreme. Ogni giorno, la troupe aveva a disposizione soltanto 90 minuti per girare, sfruttando l’unica finestra di luce adatta alle riprese.
Un Oscar, ma a quale prezzo?
Tra le difficoltà sul set, Leonardo DiCaprio ha raccontato più volte quanto sia stato estremo calarsi nei panni di Hugh Glass. Per tutta la durata delle riprese ha indossato addosso pelli d’alce e d’orso che pesavano oltre 40 chili, trascinandosi nella neve con febbre alta o bronchite, spesso a temperature che raggiungevano - 40 gradi. Niente era finto: la tosse che si sente nel film è vera, così come la fatica e il dolore che si leggono sul suo volto. Non c’erano scorciatoie: ogni disagio è stato trasformato in realismo. Una trasformazione totale che ha richiesto non solo forza fisica, ma anche un’intensità interpretativa rara. Il risultato è stata una performance talmente potente e viscerale da meritargli, finalmente, l’Oscar come miglior attore protagonista nel 2016.
Anche il resto del cast, in particolare Tom Hardy, ha dovuto misurarsi con uno dei set più ostili e fisicamente provanti mai affrontati a Hollywood. Ma è proprio grazie a questa dedizione collettiva, alla coerenza stilistica e all’uso di tecnologie d’avanguardia che Revenant ha saputo distinguersi come un’opera visivamente e narrativamente straordinaria.
Una fusione perfetta tra natura selvaggia, performance estreme e cinema d’autore, che ha riscritto i confini del realismo sul grande schermo.
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