martedì 8 settembre 2020

Hopper/Welles: Dennis Hopper e Orson Wells a confronto al Festival di Venezia

Novembre 1970. Orson Welles era tornato in America, a Los Angeles, per girare quello che sarebbe diventato il suo ultimo film, The Other Side of the Wind, rimasto a lungo incompiuto e completato solo di recente, con una prima mondiale che si tenne proprio al Venezia nel 2018.
Quel film raccontava di un regista di nome Jake Hannaford, alter ego dello stesso Welles, di un film che cercava di girare e della corte di collaboratori, amici, protégé e adulatori che si portava appresso. Tra i tanti personaggi coinvolti in quel film, la maggior parte dei quali nei panni di loro stessi, c’era anche Dennis Hopper, fresco dello straordinario successo di Easy Rider e alle prese col difficile montaggio di The Last Movie.
Evidentemente incuriosito dal giovane collega, Welles decise di fare una lunga chiacchierata con Hopper e di riprenderla, forse la scusa di inserire parte di quella conversazione nel film (e difatti, quando Hopper si rivolge a lui, lo chiama Jake, come il protagonista di The Other Side of the Wind). In realtà, quella di Welles è una vera e propria, e lunga, intervista fatta al giovane collega, che torchia impietosamente per vincere ritrosie e dirimere contraddizioni, parlando di cinema, arte, politica, impegno vita vissuta e moltissime altre cose.
Un'intervista che ora è diventata un film intitolato Hopper/Welles, presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2020.
“Hopper si trovava in New Mexico, al montaggio, e Welles lo convocò per una conversazione,” ha spiegato Filip Jan Ryzma, che ha prodotto il film così come il precedente The Other Side of the Wind. “Con Easy Rider Hopper era diventato l’alfiere di un nuoco cinema, della nascente New Hollywood. Per lui Welles come un modello, e Orson era evidentemente incuriosito da lui.

Probabilmente, spiega Ryzma, nelle intenzioni del vulcanico Welles c’era quella di utilizzare il materiale girato con Hopper in vari modi, e lo conferma anche un setting studiatissimo, a partire da un’illuminazione ottenuta con luce naturale, e da uno stile di ripresa - voluto dallo stesso Welles, come si sente all’inizio del film - che non si preoccupa di far entrare i ciak in campo quando una delle due macchine da presa in 16mm che sono state utilizzate finisce la pellicola e deve cambiarla. “Abbiamo amato tantissimo il materiale grezzo di questa conversazione,” ha detto il produttore. “Una conversazione che è riproposta intatta, sia per il suo interesse che per la grande intimità che ne emerge. L’unico vero aggiustamento che abbiamo fatto è stato dare più rilevanza alla voce di Welles rispetto al girato originale,  modulandola per far sentire al meglio la sua presenza. Vedendo il film ti senti come Hopper si è probabilmente dovuto sentire, messo all’angolo da questo gigante del cinema che lo incalzava senza tregua su ogni argomento. Si tratta di un documento storico molto interessante, in cui emergono le tante fragilità di un Hopper che non abbiamo mai visto così lucido e sincero. Ma,” aggiunge, “nel film entrambi rivelano moltissimo di loro stessi, con un Welles che si sforzava di essere hip per mettere l’interlocutore a suo agio, e Hopper tentava di fare l’intellettuale per impressionarlo.”

Sono ovviamente interessantissime le discussioni fatte in Hopper/Welles sul cinema; in particolare sul montaggio, con un Hopper che rivela quanto fosse difficile per lui rinunciare a parti del suo girato, e Welles che, pur definendo i montatori “cutters”, tagliatori, dichiara di essere il primo a eliminare senza pietà cose cui sul set aveva tenuto molto, per il bene del film: “per i filmmaker vederlo sarà come fare un workshop,” ha commentato Ryzma.
Ma colpisce la grande rilevanza che hanno, a cinquant’anni di distanza, i discorsi cui Welles costringe Hopper sul ruolo del regista, e dell’artista in particolare, relativamente al dibattito politico, al suo prendere o meno posizione esplicitamente coi film e con le dichiarazioni. “Quando ho rivisto il primo montato, a un anno e mezzo da quando ci eravamo fermati, quel che era accaduto negli Stati Uniti e nel mondo mi ha fatto rendere conto di quanto fosse attuale quella conversazione su quei temi,” ha detto il produttore.
Resta da chiedersi come prenderà Jane Fonda alcune frasi di Hopper contenute nel film, non certo lusinghiere nei confronti di quella che era diventata nota come Hanoi Jane, che il regista di Easy Rider - forse anche per via dei contrasti avuti con la famiglia Fonda dopo il coinvolgimento di Peter nel suo film d’esordio - accusa implicitamente (ma nemmeno troppo) di ipocrisia.



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