"Milioni di persone continueranno a vivere grazie a quello che hai fatto, Juliana. Un atto spontaneo di amore e speranza. Ecco su cosa ho scommesso"
Hawthorne Abendsen, l'Uomo nel Castello.
Nel mondo ucronistico immaginato da Philip K. Dick nel 1962 (La svastica sul sole), nel quale la Seconda Guerra Mondiale è stata vinta dall'Asse e gli Alleati sconfitti, il romanzo di uno scrittore di nome Hawthorne Abendsen, dal titolo La cavalletta non si alzerà più, racconta la storia capovolta di un mondo in pace, in cui la minaccia nazista-nipponica è stata debellata. Nella serie ideata e adattata per il piccolo schermo da Frank Spotniz, il misterioso e lunatico Abendsen non è un romanziere, bensì un creatore di pellicole. Dal romanzo nel romanzo, si passa al cinema nel cinema: un'operazione che basterebbe da sola per far innamorare chiunque di The man in the high castle, accattivante produzione Amazon, giunta alla sua seconda stagione.
Dopo aver conosciuto i protagonisti della storia nella prima stagione, paiono fin da subito evidenti le intenzioni di Spotniz di correre veloce con lo sviluppo di una lunga e intricata serie di eventi, che confluiranno nello scontro decisivo tra il governo nazista, quello dell'impero giapponese e i coriacei membri della Resistenza, ostinati a disintegrare le fondamenta del governo del terrore che corrode il mondo occidentale dalla fine della guerra. Ma quel che poteva essere strutturato come un semplicistico svolgimento lineare dei fatti, anticipati nella prima stagione, prende una piega inattesa e, a dirla tutta, corroborante: Spotniz decentra l'attenzione dai protagonisti Juliana Crain (Alexa Davalos) e Joe Blake (Luke Keintank), rendendo più omogenea e amplificando l'introspezione sui vari comprimari, con il risultato di cementare lo svolgimento narrativo (meno frammentario, rispetto alla prima stagione), riuscendo a sviluppare e completare con accuratezza sia il background, sia la struttura psicologica di questi. Spiccano le attenzioni rivolte alla maniacale cura dello status famigliare dell'Obergruppenfuhrer John Smith (ancora uno straordinario e famelico Rufus Sewell, con sguardo penetrante e zigomi felini) e della sua famiglia (le riunioni mondane della moglie Helen e il suo circolo di compagnia, la malattia del figlio Thomas, che spingerà Smith a compiere atti contrari alla politica del Reich, per salvaguardare la vita del figlio); di pari passo, la struggente presa di coscienza del ministro del commercio giapponese Nobusuke Tagomi (Cary-Hiroyuki Tagawa, riflessivo e impeccabile fin nei più piccoli movimenti), che per una manciata di episodi compie addirittura un viaggio spirituale al di fuori della realtà, ritrovando quel mondo immaginario (il mondo che ha seguito il reale corso della Storia) che lo aveva illuminato e nel quale riesce a rompere gli indugi e risolvere alcune questioni con quel passato sul quale non può più intervenire; cresce e trova il suo posto nel mondo anche Frank Frink (Rupert Evans), ex marito di Juliana, che crede morta, il quale decide di entrare a far parte della Resistenza, assurgendo a ruolo chiave per le operazioni di ribellione in controtendenza con i giochi di potere orditi tra Reich e Impero. In mezzo a questi personaggi-pilastri ambigui e ormai incapaci di sottrarsi agli ingranaggi narrativi messi in funzione da Spotniz, si muovo a piccoli passi comprimari che avevano trovato meno spazio nel corso della prima stagione, a cominciare dalla strana coppia Ed McCarthy/Robert Childan (DJ Qualls/Brennan Brown), prima costretti a collaborare con la yakuza, poi in fuga dalla minaccia atomica che grava su San Francisco, e l'impertubabile ispettore capo Kido (Joel De La Fuente, uno dei migliori attori dell'intero cast), che scopriamo personaggio dotato di una sensibilità inaspettata, dubbioso sulle scelte del governo imperiale e ostinato a dissipare l'alone di mistero che circonda le pellicole realizzate dall'Uomo nel Castello, giungendo a patti addirittura con l'Obergruppenfuhrer John Smith.
La seconda stagione di The man in the high castle si distingue per un accentuato effetto onirico, causato dai viaggi spirituali e meditativi del ministro Tagomi e dalla presenza quasi costante dell'Uomo nel Castello (Stephen Root), il quale è ancora avvolto da un'aura di profondo misticismo: come riesce a produrre le preziose pellicole, chi è in realtà e come conosce tutti gli avvenimenti futuri che, Juliana su tutti, rivivono alla perfezione in sintonia con quanto visto nei film?
Così questa seconda stagione sfugge maggiormente ai toni pacati e inquietanti da calma prima della tempesta, per gettarsi a capofitto nel bel mezzo dell'azione: dalla cospirazione ai vertici del Reich per detronizzare Hitler, ai piani della Resistenza, fino alla minaccia incombete di un attacco atomico su San Francisco, The man in the high castle si rinnova e si conferma prodotto di alta qualità, sicuramente non privo di qualche difetto strutturale, per un uso non impeccabile delle ellissi temporali, nonchè le ingenui noncuranze di certi raccordi narrativi: come può l'ispettore Kido raggiungere i territori del Reich, senza che venga sottoposto a rigidi controlli che lo priverebbero della pellicola in suo possesso, nonostante sia in stato di fermo da parte della polizia nazista? E perchè i viaggi trascendentali del ministro Tagomi vengono archiviati da lui stesso con eccessiva noncuranza, rimandandone la totale compresione? Pare ovvio come alcuni passaggi incerti, inerenti soprattutto alla figura del misterioso Uomo nel Castello troveranno spiegazione già dalla prossima stagione, ma c'era da aspettarsi una ben più profonda immersione nel sottotesto in chiave mistery che lo show offre.
Nonostante questi aspetti, The man in the high castle è uno show che si presta a essere divorato dall'inizio alla fine, dimostrando ancora una volta quanto la potenza immaginifica del cinema come strumento didattico possegga ancora oggi quel potere tanto conturbante, quanto salvifico da cui tutti, oppressi e oppressori, continuano a sentirsi irresistibilmente attratti.
(The man in the high castle); genere: ucronia; sceneggiatura: Frank Spotniz, Philip K. Dick (romanzo); stagioni: 2 (rinnovata); episodi seconda stagione: 10; interpreti: Alexa Davalos, Rupert Evans, Luke Kleintank, DJ Qualls, Joel de la Fuente, Cary-Hiroyuki Tagawa, Rufus Sewell, Brennan Brown, Callum Keith Rennie, Bella Heathcote, Sebastian Roché, Stephen Root; produzione: Amazon Studios, Scott Free Productions, Electric Shepherd Productions, Headline Pictures, Picrow; network: Amazon video (U.S.A., 16 dicembre 2016), Inedita (Italia); origine: U.S.A., 2016; durata: 60' per episodio; episodio cult seconda stagione: 2x08 – Loose lips
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