venerdì 8 aprile 2022

Metal Lords, la recensione: il coming of age "metallaro" in streaming su Netflix

Mettiamola così. Ai metallari, o a quelli che comunque il metal lo ascoltano e lo apprezzano, anche saltuariamente, questo Metal Lords piacerà di sicuro.
Ma sarei pronto a scommettere un soldino sul fatto che anche quelli che invece il genere (musicale) non lo frequentano, alla fine del film saranno lì sorridenti a fare un moderato head banging di fronte ai protagonisti che suonano un pezzo intitolato “Machinery of Torment”.
Che, nella realtà, è stata scritta dallo sceneggiatore del film Dan Weiss (quello del Trono di Spade, metallaro incallito), da Tom Morello (mitologico chitarrista dei Rage Against the Machine e produttore del film) e dal produttore musicale Carl Restivo.

La formula di Metal Lords è tanto semplice quando azzeccata: prendere lo scheletro di base di certi coming of age americani, quelli che vedono protagonisti nerd ed emarginati vari nelle high school statunitensi e renderlo ancora più estremo facendo di questi protagonisti non solo figure genericamente ai margini del sistema sociale scolastico, ma ai margini soprattutto perché metallare. O, magari, metallare perché ai margini.
Kevin (Jaeden Martell), infatti, questa cosa del metal non è che l’abbia capita benissimo, ma si è adattato con grande successo a fare il batterista perché Hunter (Adrian Greensmith), che invece dal metal è ossessionato, e che si è comprato dischi, strumenti e tutto l’armamentario possibile coi soldi del papà chirurgo estetico assente, è l’unico amico che ha. L’unico che l’abbia mai difeso da bullismi e imitazioni.

Fatto sta che i due, coppia un po’ improbabile, dove Hunter funge da leader un po’ isterico e insicuri, decidono di riscattarsi agli occhi della scuola, e forse di sé stessi, partecipando alla battaglia delle band, e vendicarsi di fighetti che suonano alt-pop e jocks di varia natura.
Per farlo come si deve, però, avrebbero bisogno di un bassista, che però non si trova. Kevin avrebbe trovato Emily (Isis Hainsworth): una violoncellista, una ragazza appena arrivata dalla Scozia con problemi di gestione della rabbia e depressione (“ho troppa poca serotonina nelle sinapsi”, dice lei), di cui peraltro si è anche innamorato. Ma per Hunter una ragazza e un violoncello non sono abbastanza metal, e i problemi iniziano a nascere anche tra i due amici.

Non parte a cannone, Metal Lords. Diciamo pure che si concede una intro strumentale canonica e non particolarmente trascinante (sebbene la presentazione del personaggio di Emily faccia molto ridere), ma trova presto una complessità armonica che, grazie all’unione tra scrittura, recitazione (i tre ragazzi sono davvero bravi, soprattutto Hainsworth) e poi ci sono anche cammei come quello di Joe Manganiello e partecipazioni come quelle di Brett Gelman, l’untuoso padre di Hunter) e regia, che è firmata da Peter Sollett, quello del sottovalutatissimo Nick e Norah, qui meno efficace forse ma ugualmente dignitoso.
E se è vero che Metal Lords, in fin dei conti, non diventa mai davvero virtuosistico, è anche vero che secondo me è un pregio non da poco, perché dimostra come questo film, o chi l’ha realizzato, non si è mai innamorato di sé stesso al punto di diventare solipsistico, o di fare quella che spesso, musicalmente parlando, è una mera - per quanto magari notevole - esibizione di tecnica.

Al netto di qualche casuale ma superflua sottolineatura sui rischi di alcool e droga, e di un pelo di eccesso nella voglia di dimostrare di essere dalla parte dei buoni e al passo coi tempi per quanto riguarda i discorsi relativi alla salute mentale degli adolescenti, Metal Lords è capace di catturare quel senso di disagio, quella voglia di rivalsa e quella pulsione al cambiamento sovversivo (di sé prima che degli altri) che è spesso alla base del metal, e di tradurlo in dinamiche così lineari e sincere, prime tra tutte quelle tra Kevin e Hunter, i cui equilibri sono sconvolti dall’arrivo di Emily, da risultare riconoscibilissime e spesso irresistibili. Specie se conditi dalle note dei Black Sabbath, degli Iron Maiden, dei Judas Priest e dei Metallica, o dalle citazioni di band come Lamb of God, Meshuggah, Opeth e Mastodon.
Poi certo, ci saranno i duri e puri che non perdoneranno al film e ai personaggi di accettare che il nome della band di Hunter e Kevin cambi da Skullfuckers a Skullflowers, anche metaforicamente parlando; ma, senza estremismi, va riconosciuto che quello di Sollett, Weiss e Morello è un film metal nelle sfumature e nell’intimo. Perché il metal non è solo quel che sembra, e anche i metallari hanno un cuore.



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