venerdì 31 maggio 2019
Robert Pattinson sarà Batman, è ufficiale!
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Michele Riondino, Alessandro Roja, Violante Placido, Libero De Rienzo e Sveva Alviti nel trailer di Restiamo amici
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Nastri d'Argento 2019: sul blu carpet splendono le star del cinema italiano
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Il Cardellino: Il Trailer ufficiale in italiano del film dal romanzo di Donna Tartt
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Luca Marinelli debutta a Hollywood con Charlize Theron. E Netflix
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Rocketman: Elton John non smette di mandare recensioni a Taron Egerton
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L'Attimo Fuggente: sono passati 30 anni… avete reso straordinaria la vostra vita?
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Il Fantafestival si rinnova ancora e torna dal 10 al 16 giugno
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Godzilla 2, Millie Bobby Brown e la scena d'azione tagliata
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Isabelle: in anteprima il trailer e il poster italiani dell'horror psicologico con Adam Brody e Amanda Crew
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Quiz Cinema: la saga d'animazione fantasy di Dragon Trainer in 10 domande
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Domino: anteprima esclusiva del poster italiano del thriller di Brian De Palma con Nicolaj Coster-Waldau
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Claudio Cupellini porta al cinema "La terra dei figli" di Gipi
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Le regine del crimine: il primo trailer italiano del mob film al femminile dal fumetto della Vertigo Comics
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Dopo Rocketman Madonna è il nuovo obiettivo di Dexter Fletcher, il re Mida dei film musicali
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Paul Walker e Denise Richards giovanissimi nel trailer della versione restaurata di Tammy & the T-Rex
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Batman, Nicholas Hoult insidia ancora Robert Pattinson: nulla è sicuro
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Onward: il primo trailer del nuovo film Pixar!
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giovedì 30 maggio 2019
Biancaneve: la Disney ha scelto Marc Webb per dirigere la versione in live-action
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MIA Market 2019: le date dell'appuntamento per i leader dell'industria audiovisiva
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Rocketman: la tracklist della colonna sonora del biopic su Elton John nei cinema da oggi
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Rambo 5: ecco il primo teaser trailer!
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Godzilla II: King of the Monsters: ecco una featurette video che presenta i Titani
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Nastri d'Argento 2019: Il Traditore in testa alle candidature con 11 nomination
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Pets 2, Alessandro Cattelan: "Devi lasciare che i figli affrontino dei rischi"
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Il Traditore: Tommaso Buscetta nella realtà e nella finzione
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Tre piani di Nanni Moretti: su Instagram prime immagini video dal set del nuovo film del regista romano
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47 Meters Down: Uncaged, il trailer del nuovo shark-movie di Johannes Roberts
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Top Gun 2 è roba da far girare la testa, parola di Jon Hamm
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31 maggio, Roma: Nino Graziano Luca alla Sapienza per la lezione “Corpo e cerimoniale”
Il prossimo 31 maggio, Nino Graziano Luca sarà alla Sapienza in veste di docente, per tenere l'interessante lezione Corpo e cerimoniale, all'interno del corso di alta formazione Galatei e Buone Maniere – Percorsi nel Costume, organizzato dal dipartimento SARAS (Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo della Facoltà di Lettere e Filosofia).
La società contemporanea è attraversata da profonde trasformazioni e processi di innovazione che incidono a livello politico, economico, culturale e sociale riscrivendo continuamente la vita quotidiana del soggetto nello spazio dei flussi della cosiddetta networked society. In particolare, la straordinaria intensificazione della connettività viene costantemente sperimentata nelle pratiche quotidiane degli individui fino a rendere oggi quasi indistinguibile il dominio delle interazioni comunicative dalle altre attività della vita professionale, familiare, personale.
Di fatto, come individui, siamo immersi nel flusso della comunicazione, abilitata da tecnologie digitali sempre più pervasive, immersive e trasparenti. Tuttavia, queste innegabili potenzialità espressive e connettive alla nostra portata non sempre procedono di pari passo con una effettiva capacità nell'abitare con competenza all'interno di una realtà globalizzata, sempre più multilingue e multiculturale. La capacità di gestire e riorganizzare la relazione con l'alterità, di costruire e decostruire la differenza culturale, di definire gli spazi sociali, le appartenenze e i flussi, sembra costituire oggi, in particolare per le nuove generazioni, una competenza fondamentale nell'aprire o chiudere opportunità sia a livello professionale che personale.
In questo senso l'etichetta e il galateo tornano ad essere oggi uno strumento strategico, fortemente valorizzato nei più diversi contesti sociali: la riscoperta delle buone maniere da adottare nei contesti relazionali rappresenta, infatti, una risorsa preziosa che consente all'individuo di adattarsi al cambiamento e di anticipare e prevenire le incomprensioni comunicative e di individuare percorsi di negoziazione dotati di senso. Il corso di alta formazione in Galatei e Buone Maniere, promosso dal Dipartimento SARAS in partnership con l'Accademia Italiana Galateo, intende fornire le competenze teoriche e pratiche necessarie per muoversi con disinvoltura in qualunque contesto professionale e relazionale. L'impostazione del corso intende valorizzare tanto la dimensione storico culturale dell'etichetta e del galateo, quanto le più recenti riflessioni sul multiculturalismo e la mediazione interculturale, con un approccio alla comunicazione non solo come strumento ma come fine (comunicazione come condivisione). I partecipanti acquisiranno le competenze necessarie per approcciarsi correttamente al mondo del lavoro attraverso lo studio e l'acquisizione di un'ampia gamma di conoscenze che includono il linguaggio del corpo, le buone maniere, l'aspetto, le abilità interpersonali, il protocollo ufficiale e il galateo internazionale. Questa tipologia di competenze è particolarmente richiesta nelle aziende che operano a livello internazionale, nella filiera della moda, nella gestione degli eventi, nell'ambito della consulenza di immagine e del personal coaching.
Tra gli altri docenti che hanno tenuto i corsi: Raffaele Curi, Samuele Briatore, Barbara Ronchi della Rocca, Fabiana Giacomotti.
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Onward: le prime immagini del nuovo film Pixar
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Star Wars Galaxy's Edge, l'inaugurazione di un parco a tema a Disneyland
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Ella Purnell è la figlia di Dave Bautista in Army of the Dead di Zack Snyder
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mercoledì 29 maggio 2019
Quel giorno d'estate
(mymonetro: 3,04)
Consigliato: Assolutamente Sì
Regia di Mikhael Hers. Con Vincent Lacoste, Isaure Multrier, Stacy Martin, Ophélia Kolb, Marianne Basler, Jonathan Cohen, Greta Scacchi, Claire Tran, Nabiha Akkari, CJ Parson.
Genere Drammatico - Francia, 2018. Durata 106 minuti circa.
David vive a Parigi di lavoretti saltuari per sbarcare il lunario e rimandare le responsabilità. Orfano di padre e abbandonato dalla madre diversi anni prima, la sua famiglia sono la sorella e la nipotina. Sandrine, insegnante di inglese, alleva Amanda da sola, veglia sul fratello e aspetta solo di innamorarsi di nuovo. Tra un bicchiere di vino e una conversazione in bicicletta il loro ménage procede sereno.
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L'angelo del crimine
(mymonetro: 2,92)
Consigliato: Sì
Regia di Luis Ortega. Con Lorenzo Ferro, Chino Darín, Mercedes Morán, Daniel Fanego, Luis Gnecco, Peter Lanzani, Cecilia Roth, Malena Villa, Sofía Inés Torner, Marcelo Cancemi.
Genere Biografico - Argentina, Spagna, 2018. Durata 119 minuti circa.
Buenos Aires, 1971. Giovane, spavaldo, coi riccioli biondi e la faccia d'angelo, Carlos entra nelle case della gente ricca e ruba tutto ciò che gli piace. L'incontro a scuola con Ramón, coetaneo dal quale è attratto, segna il suo ingresso in una banda di criminali, con la quale compie altri furti e soprattutto il suo primo omicidio, di fronte al quale rimane assolutamente impassibile. Fino alla morte dell'amato Ramón e oltre, Carlos proseguirà indisturbato le sue attività criminali, uccidendo ancora e talvolta facendo ritorno dai genitori come un figlio qualsiasi. Verrà arrestato dopo un colpo andato a male e l'assassinio di un complice.
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Pallottole in Libertà
(mymonetro: 3,56)
Regia di Pierre Salvadori. Con Adèle Haenel, Pio Marmaï, Vincent Elbaz, Audrey Tautou, Damien Bonnard, Hocine Choutri, Christophe Tek, Norbert Ferrer, Octave Bossuet, Martin Pautard.
Genere Commedia - Francia, 2018. Durata 108 minuti circa.
Yvonne è un'ufficiale di polizia della Costa Azzurra. Un giorno scopre che Santi, il suo defunto marito, conduceva una doppia vita. La scoperta sconvolge la sua esistenza ma il collega Louis le consiglia di mantenere il segreto su un uomo che tutti considerano un eroe. Intanto Antoine esce dal carcere dopo aver trascorso otto anni dietro le sbarre per un errore commesso da Santi.
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Selfie
(mymonetro: 3,50)
Consigliato: Sì
Regia di Agostino Ferrente.
Genere Documentario - Francia, Italia, 2019. Durata 76 minuti circa.
Alessandro e Pietro sono due sedicenni che vivono nel Rione Traiano di Napoli dove, nell'estate del 2014 Davide Bifolco, anche lui sedicenne, morì ucciso da un carabiniere che lo inseguiva avendolo scambiato per un latitante. I due sono amici inseparabili. Alessandro ha trovato un lavoro da cameriere in un bar mentre Pietro, che ha studiato per diventarlo, cerca un posto da parrucchiere.
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New Mutants esce dal limbo! Riprese aggiuntive entro l'anno, uscita in sala nell'aprile 2020
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Star Wars: nuove voci incontrollate sui veri genitori di Rey
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Il Cardellino: il primo trailer del film tratto dal romanzo di Donna Tart
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Boy George: dopo Freddie ed Elton, un film anche per il cantante dei Culture Club
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In Fabric: il trailer dell'elegante e ironico horror di Peter Strickland su un... vestito assassino
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Nastri d'argento 2019: anticipazioni e premi speciali
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1 giugno: “Io sono Sofia” di Silvia Luzi in onda su RAI3 in seconda serata
“Io sono Sofia”, un film scritto e diretto da Silvia Luzi e prodotto da Gioia Avvantaggiato per GA&A Productions andrà in onda, sabato 1 giugno 2019, su RAI3 in seconda serata.
Il film, che si avvale della direzione della fotografia di Luca Bellino, del montaggio di Piero Lassandro e del suono in presa diretta di Emanuele Amanullah Giunti, con il montaggio del suono e mix di Giancarlo Rutigliano, racconta la storia vera di Sofia, 28 anni, una donna nata maschio. Una storia prodotta dagli stessi genitori della protagonista, una madre che si sforza di capire e che non trova le parole, una famiglia essa stessa in transizione . Sofia ha tenuto nascosti il proprio corpo e natura per anni, fino alla scelta coraggiosa di rendere pubblico il suo percorso e di condividerne il tormento. Io sono Sofia è un racconto che nasce dalla necessità di uscire allo scoperto, è una storia intima che si rivolge a chi ancora quel coraggio non lo ha trovato e a tutti coloro che stanno lottando per vedere riconosciuta la propria natura e i propri diritti. Sofia parla in prima persona e le sue parole sono insieme esortazione e invettiva. Un incoraggiamento a raccontarsi, ma anche un monito alle famiglie che non vogliono vedere e alle istituzioni che non sanno proteggere. Attraverso una narrazione schietta ed appassionante, Sofia si mostra come era e com'è diventata, senza filtri. Il suo corpo diventa il nostro corpo, il travaglio della sua famiglia diventa il nostro specchio, il nostro timore, la nostra transizione. Sofia ci regala la sua amarezza, la sua presa di coscienza e quella lotta quotidiana che è sotto i nostri occhi, nelle nostre case. E infine, mentre affronta la sua ultima grande battaglia, questa giovane donna ci guarda, ci parla e, forse, ci insegna: ''io sono questa, io sono Sofia''.
LA PRODUZIONE – GA&A PRODUCTIONS
Da 29 anni nel panorama cinematografico e televisivo internazionale, la GA&A Productions combina l'attività di produzione e distribuzione su scala nazionale ed estera. Specializzata nel factual, spazia tra i tanti topic dell'attualità, della storia e delle scienze, dal current affair all'entertainment, dalle produzioni seriali al documentario di creazione per la sala. Tra i film prodotti con partner stranieri: "LEONARDO - L'UOMO CHE SALVÒ LA SCIENZA" per Thirteen Productions/WNET, France 5/Program 33, SBS, mentre per emittenti italiane: "WORKTROTTER" (12 x 30') per RAI 4.
Durata: 83'
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Narni, 31 maggio: torna grazie a Eros Bosi il Narnia Terror Night
L'appuntamento del Narnia Terror Night, annuale evento dedicato ai film horror indipendenti, per l'edizione 2019 non ci sarà da aspettare l'autunno come tutti gli anni ma il 31 maggio. E' stato organizzato in anticipo dall'organizzatore Eros Bosi, regista trentenne ternano, per soddisfare la richiesta del cast del suo nuovo film Il richiamo della strega, che presenterà proprio al Narnia Terror Night. I film in programmazione sono :
Ipocondria zombie di Antonio Caiazzo(Ottaviano, Napoli)
Lei aveva i capelli biondi di Giorgio Salomone (Palermo)
Nel buio di Davide Cancila (Prato)
Ninfe di Isabella Torre (Roma)
Aria di Brando De Sica (Roma)
Il richiamo della strega di Eros Bosi (Terni)
Notte nuda di Lorenzo Lepori (Montecatini terme, Pistoia)
L'appuntamento è per venerdi 31 maggio alle ore 21:00 al cinema Mario Monicelli di Narni (Terni) e l'ingresso costerà 5 euro. I film che verranno proiettati sono tutti dei cortometraggi,eccetto Notte nuda di Lepori. Ci saranno anche delle presentazioni dei trailer di altre pellicole horror indipendenti come : Spook Hotel di Lorenzo Buscaino, Herbert west-Re animator di Ivan Zuccon, Stomach di Alex Visani, Nuns di Giovanni Aloisio, Curse of the blind dead di Raffaele Picchio e The last heroes-Gli ultimi eroi di Roberto D'antona.
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Rocketman: il pubblico del Troubadour si scatena sulle note di Crocodile Rock!
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I 40 anni di Mad Max celebrati dal festival di Sitges
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Rambo 5, Sylvester Stallone: "Succedono cose brutte, in tanti si fanno male"
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Luca Guadagnino difende Woody Allen dagli attacchi, giudicati "godimento perverso e primordiale"
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Godzilla II - King of the Monsters
Regia di Michael Dougherty. Con Kyle Chandler, Vera Farmiga, Millie Bobby Brown, Ken Watanabe, Ziyi Zhang, Charles Dance, Sally Hawkins, Aisha Hinds, O'Shea Jackson Jr., Anthony Ramos, Bradley Whitford, Thomas Middleditch.
Genere Azione - USA, 2019. Durata 131 minuti circa.
In questa nuova storia vedremo il tentativo eroico dell'agenzia cripto-zoologica Monarch e dei membri che la compongono, di affrontare una batteria di mostri dalle dimensioni impressionanti, tra i quali il possente Godzilla, che si scontrerà con Mothra, Rodan e la sua nemesi estrema, King Ghidorah dalle tre teste. Quando queste antiche super specie - ritenute fino ad allora soltanto delle leggende - torneranno alla vita, combatteranno per la supremazia mettendo a rischio l'esistenza della razza umana.
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Annabelle 3: ecco il secondo trailer ufficiale!
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martedì 28 maggio 2019
Avengers Endgame: Mark Ruffalo condivide un commovente videotributo all'MCU
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Cannes 2019 - Atlantique
È stata di sicuro una scommessa quella di mettere in Concorso un film così particolare e certo non perfetto come Atlantique, opera prima dell'attrice e autrice Mati Diop, che oltre ad essere figlia del musicista Wasis Diop, è la nipote del regista senegalese Djibril Diop Mambéty (1945-1998), uno dei massimi autori del cinema africano moderno, pur avendo realizzato solo due importanti lungometraggi e tre mediometraggi tra cui lo straordinario La Petite vendeuse du Soleil, uscito postumo nel 1999. Era quindi con una certa attesa e curiosità che si attendeva al varco il debutto della Diop che risultava essere non solo la prima donna di colore a essere inserita in un Concorso sulla Croisette ma anche con un'opera prima, quindi messa a confronto con una pletora di grandi filmaker molto affermati. Insomma una figlia d'arte che in più esibiva le stigmate di un esplicito “politicamente corretto”.
Ma dimentichiamo di tutto ciò per un attimo e concentriamoci su questo film sincretico i cui notevoli pregi a noi appaiono maggiori dei suoi non piccoli difetti. Intanto partiamo dall'inizio spiazzante che sembrerebbe essere quello di un opera alla Ken Loach: ci troviamo nel cantiere di un grattacielo monstre a Dakar dove un gruppo di operai parecchio incazzati protestano perché non vengono pagati gli stipendi da mesi e si sospetta che padrone sia scappato con la cassa. Già da questo primo evento che sradica l'immaginario occidentale ancora abituato a pensare l'Africa come un posto in cui “il tucul è una capanna dove il negro fa la nanna” e non come in effetti è un luogo di un capitalismo rampante e selvaggio, Atlantique rivela la sua prima e vera ragione d'essere. Quello cioè di essere un film sull'emigrazione e lo sfruttamento esemplificato e costruito su una impossibile storia d'amore tra un giovane muratore, Suleiman, e la bella e giovane figlia di una famiglia islamica tradizionalista, Ada, ovviamente promessa sposa ad un ricco della zona. Stante la situazione senza speranza, il ragazzo decide di partire, avventurandosi su una barca con altri disperati e compagni di sventura per cercare dal Senegal di raggiungere l'Europa. E come poi sapremo nel corso della narrazione, i fuggiaschi sono purtroppo tutti morti nel naufragio dell'imbarcazione stessa.
A quanto ha dichiarato la stessa regista, l'ispirazione di questa che è l'idea di partenza del film, risale al suo secondo corto documentario, Atlantiques (2010), premiato al Festival di Rotterdam, in cui si raccontavano le vicende autentiche di un ragazzo che aveva provato a scappare per mare dalla madrepatria. Tuttavia, nel lungometraggio il seguito del plot, sino ad un certo momento di pretto taglio realista sia nell'uso di attori non professionisti (per altro molto convincenti) sia in quello di situazioni e ambienti realistici, ci riserva una sorpresa: i morti in mare si reincarnano negli “jinn”, le creature citate dal Corano che incarnano entità soprannaturali, intermedie fra mondo angelico e umanità, per lo più però di carattere maligno. E questi demoni ritornano a Dakar per vendicarsi del male fatto loro in vita.
Si susseguono allora nel film una serie di fatti che non appartengono alla logica del reale come ad esempio il letto di nozze di Ada e del ricco pretendente che inspiegabilmente prende fuoco appena dopo le nozze, oppure la possessione delle donne dei muratori del grattacielo in costruzione di Dakar che, trasformatesi in delle specie di zombie, si presentano a riscuotere il debito dei loro uomini mai stati pagati. Ed è qui a questo punto che scatta allora un'indagine di polizia – la parte meno convincente di tutto il film – che ci condurrà ad un finale a sorpresa.
Per apprezzare veramente il lavoro della Diop bisogna dimenticare gli intoppi e alcune goffaggini di sceneggiatura, il paradosso dello scontro tra l'impianto realista iniziale, la bella, fantasmagorica descrizione dell'ambiente, dei personaggi e di un amore disperato, e l'elemento magico-religioso del finale con la sua catarsi. Bisogna leggere dentro Atlantique la denunzia di una situazione insostenibile e apprezzarne il sommesso grido di dolore qui narrato su una gioventù costretta all'emigrazione (e talvolta alla morte) per potere affermare e nutrire se stessa; bisogna aderire con affetto e con un ingenuo atto di fede ad una fiaba utopica, piena di luci e colori (molto bella la fotografia di Claire Mathon), a cui è forse, se non impossibile, credere.
La Giuria del Festival di Cannes evidentemente si è lasciata sedurre da queste sirene, tanto da insignire al film in modo abbastanza esagerato il prestigioso “Grand Prix”. Troppa grazia ma ciò non ci impedisce di guardare all'opera di debutto della Diop con simpatia e rispetto, augurandoci che possa essere anche distribuita in Italia.
(Atlantique); Regia: Mati Diop; sceneggiatura: Mati Diop, Olivier Demangel; fotografia: Claire Mathon; montaggio: Ael Dallier Vega; interpreti: Abdou Balde, Amadou Mbow, Aminata Kane, Babacar Sylla, Diankou Sembene, Ibrahima Mbaye, Ibrahima Traore, Mame Bineta Sane, Nicole Sougou; produzione: Cinekap, Frakas Productions, Les Films du Bal; origine: Belgio, Francia, Senegal, 2019; durata:104' .
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Nel terzo Spider-Man la Sony potrebbe inserire Venom!
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Edgar Wright inizia le riprese dell'horror Last Night in Soho
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Aladdin, Mena Massoud emozionatissimo ha dimenticato di presentarsi a Will Smith
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John Wick ne ha fatti fuori più di Jason Voorhees e Michael Myers messi assieme
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DVD - CG Entertainment distribuisce in home video 'Bugie Rosse', il Basic instinct italiano
Dal 30 maggio 2019 torna in dvd nei negozi specializzati e in tutti gli store digitali, distribuito da CG Entertainment (www.cgentertainment.it), Bugie rosse, la discussa pellicola scritta e diretta da Pierfrancesco Campanella, definita – nel periodo della sua uscita sul grande schermo – a metà strada tra Cruising con Al Pacino e i film di Dario Argento. In realtà, si tratta di un thriller erotico molto spinto, un micidiale mix di sesso a tinte forti e cruda violenza, dove si mescolano perversioni di tutti i tipi a un'avvincente storia gialla, carica di tensione, mistero e colpi di scena. In un certo senso lo si può quasi considerare la risposta italiana a Basic instinct, il sensuale film con Michael Douglas e Sharon Stone che l'anno prima aveva sbancato i botteghini mondiali.
Trailer:
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Restiamo Amici: Alessandro Roja, Libero De Rienzo e Michele Riondino nel poster esclusivo del film
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The Elevator: il teaser trailer del thriller psicologico dal 20 giugno al cinema
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Annunciata la selezione del FIDLab 2019 di Marsiglia
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Carlo Verdone di nuovo sul set: al via le riprese di Si vive una volta sola, il suo nuovo film
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La Famiglia Addams: primo trailer in italiano del nuovo film di animazione
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Hellboy, David Harbour ha le sue idee sulle ragioni del flop
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Koma: il trailer dello spettacolare sci-fi russo
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Il giorno più bello del mondo di Alessandro Siani arriva al cinema il 31 ottobre
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lunedì 27 maggio 2019
Cannes 2019 - Parasite
Sin dal suo interessante film di debutto, realizzato nel 2000, Barking Dogs Never Bite, Bong Joon-ho si è imposto come uno dei registi di punta della New Wave coreana iniziata nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso e ormai morta e seppellita. E già da una dichiarazione programmatica di allora, dimostrava di avere le idee piuttosto chiare su quelli che erano in suoi obbiettivi di fondo: «uno scontro fra il quotidiano e la fantasia, elementi di genere e cose tipicamente coreane – questa è la caratteristica del cinema che vado cercando».
Molta acqua è passata sotto i ponti da quella lontana affermazione di poetica ma Bong, in fondo, non ha cambiato l'idea di partenza e il nucleo vitale di un cinema che vuole coniugare la qualità ad un appeal popolare. Certamente nella sua non fittissima filmografia – sette lungometraggi + alcuni short e episodi in vent'anni di carriera - ha alternato lavori all'apparenza piuttosto diversi: da polizieschi come Memories of Murder (2003, bellissimo) a horror di fantasy come The Host (2006); da film drammatici come Mother (2009) a opere di grande impegno produttivo internazionale tipo il fantasy Snowpiercer (2013) o alla meno interessante favoletta Netflix di Okja, anch'esso presentata sulla Croisette due anni fa. Tutti film, però, che a parte l'ultimo, forse il suo film più stereotipato e meno personale, contengono sempre in filigrana elementi sovversivi applicati ad un profondo sguardo satirico sulla società contemporanea.
In specifico, con questo Gisaengchung (Parasite) il nostro regista è tornato nella sua forma migliore per poter scandagliare beffardamente il proprio paese e i propri compatrioti. La formula adottata, quella della commedia familiare dai sottotoni politici, ci è sembrata, con tutte le differenze possibili e immaginabili, la stessa che aveva permesso anche al collega giapponese Kore'eda Hirokazu in Manbiki kazoku (Un affare di famiglia) di vincere la Palma d'oro nel 2018. Bong ha fatto il bis.
Qui però siamo a Seul e i nuclei familiari sono moltiplicati, sono due (anzi tre, e ci taciamo come mai) in rapporto simbiotico ma anche di lotta per la sopravvivenza tra di loro: mentre la prima famiglia dei Ki-taek è molto affiatata ma disoccupata, campa (se campa) malamente e alla giornata, l'altra, invece, quella dei Park è milionaria e si confronta con i futili problemi dell'alta società e del denaro. La svolta avviene quasi subito nel momento in cui il primogenito Ki-woo riesce, tramite un amico universitario e una certa astuzia truffaldina, a diventare il tutore della giovanissima, viziatina figlia dei ricconi. Il ragazzo riuscirà poi a far assumere in vari ruoli e con una serie di colpi d'ingegno tutto il resto della famiglia, permettendo così che si infilino da semi padroni in una reggia dorata e agognata, quella della affluente società dei consumi. Tuttavia dopo che l'obbiettivo dei “Parassiti” sembra riuscito, inizia una serie esilarante e inarrestabile di imprevisti e colpi di scena che non è giusto rivelare per non guastare allo spettatore il divertimento nato da questa paradossale e inconsueta lotta di classe dove i poveri si sbranano per poter conquistare il privilegio di poter restare all'ombra dei ricchi. Sino ad un finale ispirato alla surrealtà ma anche ad una nota di tragedia.
Facendo a meno di moralismi o di superflui incunaboli didattici, Bong, allora, tramite una sceneggiatura ottimamente oliata e calibrata in modo esemplare (se non in qualche piccolissimo momento di stasi), ci consegna una spiazzante, spregiudicata commedia sull'attuale società coreana innervata da momenti di grande ilarità e da colpi di scena piuttosto divertenti. Come seguendo l'insegnamento del grande Billy Wilder, la regia è votata al servizio ancillare dell'efficacia del risultato finale, al pari della fotografia e dell'eccellente cast degli interpreti. In attesa che si veda anche in Italia grazie a “Academy Two” (mio Dio, attenzione al doppiaggio), a Cannes il film ha ricevuto un accoglienza trionfale dal pubblico del Festival (che forse conta poco), oltre al non indifferente riconoscimento della Giuria che gli ha voluto tributare la Palma d'oro in un Concorso di grande livello, di certo trai migliori del passato recente.
(Gisaengchung); Regia: Bong Joon-ho; sceneggiatura: Bong Joon-h, Han Jin-won; fotografia: Kyung-pyo Hong; montaggio: Jinmo Yang; interpreti: Song Kang-ho, Lee Sun-kyun, Cho Yeo-jeong, Choi Woo-shik, Park So-dam; produzione: Bong Joon-ho, Kwak Sin-ae Jang, Young-hwan per Barunsun E� origine: Corea del Sud 2019; durata:132' .
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Cannes 2019 - Mektoub My Love: Intermezzo
Chi scrive fu tra coloro che da Venezia osannarono Mektoub, My love: Canto I, dove fu presentato in concorso nel 2017, capitolo iniziale della supposta trilogia di cui Mektoub, My Love: Intermezzo, inserito nel concorso ufficiale del 72° Festival di Cannes, dovrebbe essere il centrale, prima dell'imminente Canto II, attualmente ancora in lavorazione. In parecchi si restò incantati dalla freschezza e dalla qualità di un racconto cinematografico capace di descrivere con un realismo prossimo al prodigio, la comunità vacanziera di Sète, località marittima sulla costa meridionale della Francia, con evidenti riferimenti alla biografia personale del regista, Abdellatif Kechiche. Se al termine di Canto I avevamo lasciato i ragazzi sbronzi e felici dopo una sfrenata notte in discoteca, pretesto per inneggiare alla bellezza dei loro corpi (in particolare le ragazze, sulle cui forme Kechiche indulge con la macchina da presa insinuando nello spettatore più sprovveduto un più che vago sospetto di voyeurismo) e alla loro percezione diluita dei tempi della vita, in questo Intermezzo li ritroviamo un paio di mesi dopo, sul finire dell'estate, nella stessa discoteca, e per quasi l'intera durata del film, ovvero tre ore su circa 210 minuti.
Se tuttavia in Canto I la dilatazione e la sospensione temporale rispetto alle consuete scansioni narrative producevano un effetto di trascinante stordimento (quello cui ci si lascia andare quando si va in discoteca per ballare e sballarsi, e magari imbastire qualche inciucio erotico) in Intermezzo qualcosa non funziona a dovere. Va ricordato che siamo nel 1994, e Amin, giovane tunisino nobile d'aspetto come un principe arabo, osserva quanto gli accade intorno con gli occhi che furono gli stessi con cui Kechiche indagava da ragazzo il mondo e la realtà di quegli anni, assai diversa da quella molto più problematica della cronaca contemporanea, fatalmente segnata dai fatti dell'11 settembre 2001 e dal contrasto ideologico e religioso che continua ad inquinare le relazioni tra l'Occidente e il mondo islamico. La spontaneità e la naturalezza degli sguardi, dei gesti e dei discorsi della comitiva di ragazzi e ragazze, filmati in pedana o in spiaggia, scorrevano sullo schermo insieme alle immagini del precedente capitolo della trilogia con sorprendente autenticità. Guardarli guardarsi, parlarsi e ondeggiarsi addosso al ritmo battente della musica techno, produceva l'effetto di una beatitudine immanente, cui ci si affezionava nel mentre del suo divenire, imbambolati ad ammirare, con la complicità dell'obiettivo scrutatore di Kechiche, la procacità dei corpi, spavaldi monumenti alla bellezza della giovinezza. Di tutto questo in Intermezzo non v'è quasi più traccia: le rare conversazioni sono, salvo un paio di casi, un bla bla faticoso da seguire per banalità e inerzia. Lo scopo di estendere allo spettatore seduto in sala, dunque impossibilitato a partecipare alle danze, e anzi forzatamente silenzioso e immobile, il medesimo piacere fisico provato dagli attori e dalle attrici del film, fallisce naufragando miseramente nell'inedia di una visione ravvivata, ma solo per gli interessati (dunque spettatori uomini ed eterosessuali, vale a dire NON l'intera comunità di una platea cinematografica), dalle insistenti inquadrature di natiche e cosce muliebri che si dimenano scatenate dalla musica senza che avvenga davvero qualcosa che possa fornire motivo di appassionarsi. Sono i ‘tempi vuoti' del cinema, che possono funzionare così come risultare estranei e distanti, in virtù di quel patto tra il regista e il suo pubblico che preveda l'abilità dell'uno di conquistarsi la paziente disponibilità all'attenzione dell'altro; un patto che stavolta pare funzionare soltanto con una fetta del pubblico maschile, incantato dalle indiscutibili avvenenze delle notevoli fanciulle che si agitano intorno alle pertiche delle lap dance, e disposto, perciò, ad abbassare il livello di guardia di un giudizio che invece non dovrebbe comunque prescindere da determinati criteri critici. Nessuno scandalo, dunque, né reprimende di natura moralista, ma solo, ed esclusivamente, molta noia.
Infine, l'ormai celebre sequenza del cunnilingio: venti minuti e passa di sesso orale consumato nelle toilette della discoteca tra Tony e la splendida, giunonica Ophélie. Kechiche ha affermato la propria intenzione di fare un cinema ‘libero', probabilmente comprendendo in questo schema ‘aperto' anche la scelta dei ‘vuoti' di cui si parlava più sopra. Ma nel riprendere il sesso, specialmente nel caso in cui non venga praticato per finta ma nella piena consapevolezza di un autentico piacere reciproco che prescinda dalla presenza di una cinepresa, si verifica quel fenomeno tutto particolare che coinvolge inevitabilmente tre soggetti distinti: il regista, gli attori, e lo spettatore, catturato non solo emotivamente ma anche fisicamente per via dell'eccitazione erotica; nel caso della pornografia (dunque non certo il caso di questa sequenza), avviene che gli attori non siano, almeno da un certo punto in poi, dei veri e propri ‘attori recitanti', perché in loro prevale via via la naturalità di un eros autentico che supera, quando non annulla, ciò che è alla base dell'arte della recitazione, ovvero la finzione; mentre il regista, notoriamente ideatore e organizzatore dei gesti, dei toni e dei movimenti di scena degli attori, viene indotto a farsi da parte dall'incremento della foia erotica che li porta ad agire senza seguire altro che la propria animalesca istintività; lui invece deve limitarsi a ‘guardare' la scena diventando mero e semplice tramite per lo spettatore; lo spettatore, che di questo trittico è certo l'elemento più problematico, stimolato da quanto sta vedendo, sfoga, o almeno vorrebbe sfogare nella masturbazione la propria eccitazione sessuale, e raggiunto l'orgasmo, il più delle volte smette di guardare oltre. L'imbarazzo, dunque, suscitato dalla visione della sequenza del cunnilingio in Mektoub, My Love: Intermezzo, non nasce neanch'esso da considerazioni di tipo scandalistico o moralistico, al di là – ma qui si entra nello scomodo territorio delle cronache e del gossip dei set cinematografici – della reazione dell'attrice che rivedendosi sullo schermo ha abbandonato la proiezione di gala nel Grand Théâtre Lumière; nasce invece, almeno nel cuore e nello sguardo di chi è abituato a cercare nel cinema niente altro che ‘il cinema', dal progressivo venir meno, con il salire della tensione erotica, della qualità dello sguardo di chi sta ‘guardando' la scena con la cinepresa, cioè della ‘regia', alla quale lo spettatore si affida come un lettore che durante la lettura di un libro segue il filo delle parole, riga per riga, pagina per pagina: senza la regia, il cinema dov'è?
Naturalmente la questione è sottile, e senza scomodare lo ‘specifico filmico', sull'argomento sono stati versati tanti e tanti fiumi di inchiostro che non c'è, in queste righe, la pretesa di dare lezioni a nessuno; ma davvero chi scrive non è riuscito ad intuire nelle pur consapevoli e precise scelte creative dell'autore, quella natura di ‘film sperimentale' che molti, a Cannes, hanno affermato di ravvisare in questa seconda puntata della mini-saga di Kechiche, e si augura che il prossimo, finale episodio di Mektoub, My Love torni alle altezze e ripeta la piena riuscita dell'iniziale Canto I.
(Mektoub, My Love: Intermezzo); Regia: Abdellatif Kechiche; sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalia Lacroix; fotografia: Marco Graziaplena; montaggio: Luc Seugé; interpreti: Shaïn Boumedine, Ophélie Bau, Salim Kechiouche; produzione: Quat'sous Films, Pathé; origine: Francia, Italia 2019; durata: 210'
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Game of thrones (Stagione 8) - Teste di Serie
«Cosa diciamo al dio della morte?»
«Non oggi!»
dialogo tra Melisandre e Arya Stark
Un'epopea planetaria
Finalmente l'inverno è arrivato. E anche la resa dei conti e, con essa, la fine di un viaggio durato ben otto stagioni: appassionanti, deludenti, travagliate, sorprendenti.
Perché se si vuol conferire un merito indiscutibile a Game of thrones – Il trono di spade nella versione italiana, serie-punta di diamante della HBO dal 2011 a oggi – è quello di aver catturato milioni di curiosi e averli trasformati in un esercito di fan accaniti, pronti a dar battaglia a ogni minimo dettaglio fuori fuoco, a cominciare dalle primissime divagazioni che hanno allontanato la trasposizione televisiva dalle sontuose pagine scritte da George R. R. Martin, fino a culminare con un'esagerata – quanto naturale – marea montante emotiva, pronta a sommergere e inghiottire ogni tentativo di lucida analisi in riferimento all'opera stessa. Perché pur sempre di un'opera televisiva si sta parlando, anche se colossale dal punto di vista produttivo e di messa in scena, nonché così ambiziosa da tramutarsi, nel corso degli anni, in un autentico evento di portata globale.
Prima o poi, dunque, tutti i nodi erano destinati a sciogliersi, poiché di moltissimi intrecci siamo stati testimoni e per colpa loro qualcuno è riuscito a cambiare perfino il proprio umore; Game of thrones nasce, dopotutto, come un prodotto esplicitamente a sfondo politico, solo mascherato da epopea fantasy – ben distante dalla poetica del fantasy classico a cui ci ha abituato Il signore degli anelli, solo per citare il migliore -, serie televisiva ormai entrata nell'olimpo della serialità, che ha saputo miscelare con vigore dramma, horror, romanzo di formazione e scimmiottare – ben più di qualche volta – gli elementi cardine della preistorica struttura della più mondana delle soap-opera – il primo episodio della prima stagione non termina forse con la scoperta scandalosa da parte del personaggio che in futuro siederà sull'ambito trono di spade, di due fratelli colti in flagrante nel compimento di un atto incestuoso, e per questo motivo spinto da uno dei due giù da una torre e costretto alla paralisi per il resto della sua esistenza?
Tuttavia il pregio più beneamato dell'intera serie ideata da David Benioff e D. B. Weiss risiede(va) nella sua sincera imprevedibilità e sregolatezza, accompagnate da un monito che poco ha lasciato a speranzosi tentativi di rassicurazione – perché «tutti gli uomini devono morire», o no? -, ma che col passare del tempo e l'alternarsi delle stagioni ha accusato dei momenti di flessione che non solo hanno contribuito ad afflosciare l'ipnotica prepotenza di una sceneggiatura costruita per scioccare, ma hanno altresì in qualche modo tradito quella stessa fiducia che lo spettatore più esigente nutriva nello show più violento e impertinente degli ultimi venti anni di televisione.
L'ultima stagione
Avevamo lasciato la settima stagione ammirando la perfida regina Cersei (Lena Headey) mentre sacrificava tra le fiamme infernali dell'Altofuoco mezza Approdo del Re; ammutoliti e con gli occhi sgranati, rapiti nel bel mezzo della furiosa battaglia dei bastardi; ghignando mentre Arya Stark (Maisie Williams) completava la sua missione da oscuro mietitore e rabbrividendo all'epifania nera di Sansa Stark (Sophie Turner), mentre dava in pasto ai feroci mastini il crudele e folle Ramsay Bolton (Iwan Rheon) e mostrava quanto approfonditamente avesse appreso gli insegnamenti di Lord Baelish (Aidan Gillen); infine, estasiati e impazienti, dopo quel cannibalesco assaggio di resa dei conti tra l'esercito dei morti e i nostri amati “eroi”.
Cosa aspettarsi dall'ottava e ultima stagione? Fiumi in piena di sangue, certo; dipartite eccellenti, come minimo; colpi di scena che solo il più maniacale avrebbe potuto prevedere. Del resto, a questo ci ha abituato – brevi scivoloni a parte - Game of thrones. Il timore maggiore portava a chiedersi come potessero gli sceneggiatori racchiudere e sbrogliare ogni singolo intreccio in appena sei episodi, seppure da un'ora e venti minuti l'uno. C'era la necessità di condurre verso un ideale ricongiungimento Jon Snow (Kit Harington), la regina dei draghi Daenerys Targaryen (Emilia Clarke) e l'ormai sempre lucido e assetato di giustizia Tyrion Lannister (Peter Dinklage) con il resto del comparto di protagonisti, e sono bastati due episodi: narrativamente fluidi e dotati del giusto respiro, introspettivi senza forzare la mano verso cadute di stile, addirittura pregni della giusta dose di mistero e romanticismo.
Solo in seguito si sarebbe lasciato campo aperto al momento più atteso da otto anni a questa parte, ben più atteso dello svelamento finale su chi sarebbe riuscito a sedere sul trono di ferro: la battaglia contro il signore della notte e la sua armata di morti si è rivelata un piccolo capolavoro di regia, un blockbuster da un'ora e venti minuti al vetriolo, glicerina pura per gli amanti dell'epica e i figli mai domi della battaglia al fosso di Helm; oscurità - tanta e avvolgente e famelica - ad ammantare fuoco e luce, tra tempeste di neve, latrati infernali e grida di dolore; e poi il dramma di Sandor Clegane (un monumentale Rory McCann), impietrito dalla paura, lui, il guerriero più insensibile e mordace di Westeros; il coraggio di Arya e la sua risulutiva ambizione, profetizzata da una rapida folata di vento a scompigliare i capelli bianchi e morti di un generale della notte; ma, a conti fatti, di morti eccellenti nemmeno l'ombra, neppure un barlume di quella cinica scrittura desiderata più di quanto i morti viventi desiderano la carne dei vivi. E lì si è adagiata di nuovo Game of thrones, annunciando un gran finale più pragmatico e meno invasivo di quanto il più morboso degli spettatori sperasse, non per questo, certo, meno ponderato, ma pur sempre destinato a vangare un solco tra amanti appagati e altri delusi.
Sconfitta la morte, restava Cersei e quel trono maledetto. Ma in che modo la regina di Approdo del Re avrebbe potuto minacciare la sopravvivenza di un esercito in grado perfino di annientare un'orda indemoniata di morti viventi?
Non ce n'è stato bisogno, perché Bienoff e Weiss hanno trasmutato il dolore, il raccapriccio e la sofferenza – quindi il solo plot-twist a questo punto necessario a dare un senso a otto stagioni di trepidante attesa – dal personaggio-maligno-Cersei al personaggio-ambiguo Daenerys, lasciando la storia nelle mani inerti dei pochi buoni rimasti e negli occhi increduli degli spettatori. Mentre la regina dei draghi radeva al suolo tutta Approdo del Re, giustiziando senza motivo migliaia di innocenti, in molti hanno gridato allo scandalo, mentre altri sono rimasti lì ad ammirare quel flusso ininterrotto di distruzione, ammaliati, Cersei compresa.
L'ultimo, spaventoso – perché finale – episodio ha semplicemente sciolto ogni legaccio che teneva ancora in piedi storia e rispettivi protagonisti. Certo è che, in relazione a quanto visto nell'intera ultima stagione, le scelte di Bienoff e Weiss non sono errate o poco congrue, semmai la naturale prosecuzione di quanto mostratoci: doversa la dipartita di Daenerys, doverosa la “cacciata” di Jon Snow, naturale la partenza di Arya, già prevista la regenza di Sansa a Grande Inverno e più che motivata la scelta di affidare il trono a Bran (Isaac Hempstead-Wright) – del resto era lui l'obiettivo primario del signore della notte, l'unico essere in grado di detenere e amministrare saggezza.
Le ire divampanti dei fan delusi non trovano riscontro se correlate direttamente e unicamente alla sola scelta in merito al trono di Westeros; semmai si potrebbero indirizzare – chi ritenesse opportuno – alla stesura dell'intera ultima stagione e già questo meriterebbe un discorso a parte, maggiormente giustificato. Ma, ancora una volta, alla luce di quanto visto, non si poteva assistere a un finale narrativamente più idoneo.
Altresì, non convincono in certi frangenti le tempistiche con le quali vengono narrati gli eventi. Pare evidente come una sola e ultima stagione, seppur da sei episodi da un'ora e venti minuti l'uno, non siano stati totalmente in grado di innervare il giusto respiro in riferimento alla compenetrazione tra tempo della storia e tempo del racconto. Così, certi passaggi appaiono eccessivamente sbrigativi o vien da sé che si finisca con l'abusare di strutture temporali ellittiche: vengono gestite con superficialità alcuni avvenimenti, su tutte la cattura e la fuga di Jamie Lannister (Nikolaj Coster-Waldau) dall'avamposto dei buoni e l'ormai epocale esplosione di rabbia di Daenerys, un attimo prima della distruzione di Approdo del Re; infine, gli ultimi due episodi risentono in maniera generale di una percettibile, frettolosa e scarna scrittura, tenuta in piedi, bisogna ribadirlo, da una regia davvero sopra le righe – dopo la battaglia contro l'armata di morti, va menzionata la lunga sequenza finale della distruzione di Approdo del Re, affogata in un mare di fuoco, grida lancinanti e primi piani immersivi quasi ossessionanti.
Non esiste nessun finale in grado di soddisfare tutti, figuriamoci per Game of thrones, che ha da sempre diviso i propri sostenitori, perchè abituati e desiderosi di essere scioccati, perché affamati di giustizia o, molto più semplicemente, di una grande storia che rendesse molto più vera e viscerale la violenza e i giochi politici, più di quanto siamo abituati o portati ad assorbire.
Forse una chiusura così serve per infondere quel briciolo di speranza che rende umani anche una regina assassina in fuga e ancora innamorata di un amore impossibile, una madre dei draghi corrosa dalla mancanza di affetto da parte della sua gente e tutti quei figli reietti del caos e del destino, che mai troveranno pace in vita loro, se non relegati ai confini del mondo. Alla fine, non resta che affidarsi alla saggezza di un animo buono e innocente, alla speranza di una generazione futura; alle pagine di un libro e non all'acciaio delle spade.
Del resto, dopo il più rigido degli inverni, arriva sempre la primavera.
VOTO ALL'ULTIMA STAGIONE: 3,5/5
VOTO ALL'INTERA SERIE: 4/5
(Game of thrones); genere: fantasy, drammatico, horror, avventura; showrunner: David Benioff, D.B. Weiss, George R. R. Martin (soggetto); stagioni: 8 (conclusa); episodi ottava stagione: 6; interpreti: Kit Harington, Emilia Clarke, Peter Dinklage, Maisie Williams, Sophie Turner, Lena Headey, Nikolaj Coster-Waldau, John Bradley, Iain Glen, Alfie Allen, Rory McCann, Carice van Houten, Jerome Flynn, Conleth Hill, Kristofer Hivju, Gwendoline Christie, Jacob Anderson, Nathalie Emmanuel; produzione: Television 360, Grok! Television, Generator Entertainment, Startling Television, Bighead Littlehead; network: HBO (U.S.A., 14 aprile-19 maggio 2019), Sky Atlantic (Italia, 22 aprile-27 maggio 2019); origine: U.S.A., 2019; durata: 80' per episodio; episodio cult ottava stagione: 8x03 - The long night (8x03 - La lunga notte); 8x05 - The bells (8x05 - Le campane)
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Sulla mia pelle vince il Nastro dell'Anno 2019
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Rende (CS), 28 maggio: presentazione del film "Il profumo della signora in nero" al Cinema Santa Chiara
"IL PROFUMO DELLA SIGNORA IN NERO" (Italia 1974) DI FRANCESCO BARILLI IN PROGRAMMA MARTEDÌ 28 MAGGIO ALLE 21 AL CINEMA SANTA CHIARA DI RENDE PER LA RASSEGNA "L'ORA DEL LUPO" CURATA DA UGO G. CARUSO E ORAZIO GAROFALO
Non poteva mancare un thriller italiano degli anni settanta a "L'ora del lupo", la rassegna curata da Ugo G. Caruso e Orazio Garofalo al Cinema Santa Chiara di Rende prima della chiusura stagionale prevista per fine giugno. Ed infatti, per questo terzultimo appuntamento, Caruso volendo rimanere fedele alla scelta di titoli in qualche modo "unici", anomali, a se stanti, ha pensato ad un titolo probabilmente di minore risonanza nella memoria del grande pubblico, distrattamente precipitato dalla critica nel pozzo della serie B ma, per contro, molto ammirato dai cultori del genere per la sua anomalia ed inclassificabilità. "Il profumo della signora in nero" di Francesco Barilli, in programma martedì 28 Maggio alle ore 21 è infatti più un mistery dalle suggestioni esoteriche che un thiller o un horror tipico di quelle stagioni, anche se per talune ragioni è apparentabile certamente a quei prodotti. Il film che già nel titolo contiene una citazione da "Il profumo della dama in nero" di Marcel L'Herbier, del 1931, suggerisce anzichè mostrare, evoca piuttosto che materializzare situazioni truculente allora molto frequenti anche perchè ben ripagate dal botteghino. Il regista, Francesco Barilli, nipote del celebre musicologo Bruno Barilli, colto dandy parmense prestato al cinema quale alter ego del concittadino Bernardo Bertolucci nelle vesti di protagonista di "Prima della rivoluzione", opterà poi per l'attività di regista, firmando quattro anni dopo un altro thiller psicologico, "Pensione paura" per darsi in seguito a film di vario genere, soprattutto documentari. Film particolare, come si diceva, questo di Barilli che non si appiattisce sugli stereotipi della copiosa produzione coeva fortemente rilanciata dal grande successo di Dario Argento e tenta invece una strada più personale all'interno di un genere che aveva reclutato improvvisamente un folto stuolo di epigoni. Sono infatti riconoscibili echi polanskiani nell'ambientazione condominiale che richiama "Rosemary's baby", capostipite del giallo paranoico-cospirazionistico e nella scelta della protagonista, la minuta, sensuale e nevratile Mimsy Farmer, tipologicamente affine a Mia Farrow, divenuta tra il precedente "Quattro mosche di velluto grigio" dello stesso Argento e il successivo "Macchie solari" di Armando Crispino l'eroina eponima del thriller italiano di quegli anni. Ma possiamo rintracciare suggestioni provenienti anche da un capolavoro come "A Venezia un dicembre rosso shocking" ("Don't look now" - UK 1973) di Nicolas Roeg o, per restare all'Italia, a "Cosa avete fatto a Solange?" di Massimo Dallamano e soprattutto a "La corte notte delle bambole di vetro" di Aldo Lado, entrambi dello stesso periodo. Tra gli elementi più rimarchevoli del film Caruso sottolinea l'ambientazione in una Roma estiva e luminosa eppure di notte deserta e minacciosa, l'ambientazione nel quartiere Coppedè dallo stile architettonico eclettico, già adottata dallo stesso Argento che vi ritornerà per "Inferno" e la presenza di un attore della statura di Mario Scaccia, capace di conferire quel giusto tocco di teatralità che impreziosisce il film.
La trama in sintesi è la seguente: Silvia Hacherman, giovane direttrice e assidua lavoratrice d'un laboratorio di chimica, è stata costretta a convivere, per molto tempo e sin da quand'era bambina, con il trauma d'avere causato la morte della madre Marta. Il ricordo dell'accaduto s'è ormai offuscato e la ragazza sembra riuscire a condurre una vita serena e piena di soddisfazioni, sia in ambito lavorativo che dal punto di vista affettivo. Una sera, nel corso d'una cena a casa d'amici, Silvia, accompagnata dal fidanzato Roberto, rimane colpita da una discussione di Andy, professore africano di sociologia, riguardo al culto delle messe nere, a suo dire ancora attive in Africa. L'argomentazione del professore, apparentemente folkloristica e tranquilla per qualunque altra persona, resta talmente impressa a Silvia da farle ritornare alla mente alcuni momenti infantili, in particolare la morte e il ricordo della madre, vestita di nero e intenta a spruzzarsi del profumo davanti allo specchio. La situazione precipita e da quel momento iniziano ad accadere fatti inquietanti... Un film sicuramente da recuperare per quanti amano il genere gotico o il brivido nelle sue molteplici declinazioni.
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Il Traditore: è il pubblico italiano a premiare il film di Bellocchio con Favino
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Rocketman: Jamie Bell è Bernie Taupin "Questo film è più di un biopic, è un viaggio!"
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Dal 10 giugno al cinema "Generazione Diabolika", opera prima di Silvio Laccetti
Arriva nelle sale dal 10 giugno con Movieday il documentario Generazione Diabolika, opera prima di Silvio Laccetti, che ripercorre la storia inedita di un locale romano mitico, il Diabolika appunto, che nel giro di pochi anni è diventato un vero e proprio fenomeno di costume esportato poi su scala nazionale e internazionale.
Un coraggioso esordio che punta a raccontare uno spaccato sociale e generazionale attraverso la storia di un locale. Sullo schermo si alternano immagini di repertorio a interviste ai protagonisti di una lunga stagione che va dalla fine degli anni Novanta ai primi anni Dieci del Duemila. Una dietro l'altra, si succedono le testimonianze di personaggi come Vladimir Luxuria, Emanuele Inglese, Henry Pass e il giovanissimo Lou Bellucci, il vocalist romano morto prematuramente nel 2017.
Si parte da questa tragica vicenda per poi andare a scandagliare tutte le tappe fondamentali del fenomeno. Il Diabolika, infatti, non è stato un semplice locale ma molto di più. È grazie a questo che il genere musicale house è stato in grado di affermarsi, divenendo anche un terreno fertile di sperimentazione artistica. Nelle notti dello showbiz romano, animate dai dj Emanuele Inglese, Luigi Di Filippo (in arte D-Lewis), Paolo Bolognesi, Emix e Simone Lp, le sonorità classiche della musica house si mescolano a quelle dell'elettronica, creando un concept musicale singolare e capace di rinnovarsi costantemente.
Con la nascita di M2O, una radio neonata che nel giro di pochissimo tempo diventa un punto di riferimento per gli appassionati del genere, le serate del Diabolika cambiano forma. La radio sposa il progetto e ogni sabato sera trasmette la diretta di party esclusivi. Qui prestano la propria voce i vocalist Henry Pass e Lou Bellucci che concedono l'impronta di un racconto quasi “teatrale”.
Il successo è tale che il modello, dopo aver fatto il giro d'Italia, viene immediatamente esportato in tutta Europa.
Il sano bisogno di trasgressione incarnato dal Diabolika, però, coincide verso la fine degli anni Dieci del Duemila anche con la piaga sociale del consumo di droghe che dilaga sempre di più. Nell'ottica collettiva, le discoteche diventano il luogo simbolo della perdizione e dell'illegalità.
Così, all'apice del successo, inizia man mano il declino del Diabolika e di tutte le altre realtà neonate che pian piano si stavano diffondendo sempre di più. Ma quando il 15 settembre 2017 la notizia della morte di Lou Bellucci sconvolge il mondo della musica house, qualcosa cambia. E il 23 settembre prende vita uno dei più grandi tributi allo storico vocalist del Diabolika e a tutto ciò che questo locale ha rappresentato, rendendo necessaria un'indagine sociale e culturale su un'epoca di cui si conosce ancora troppo poco.
NOTE DI REGIA
«Generazione Diabolika è la storia di un movimento, di un vero e proprio fenomeno di costume che ha caratterizzato tutte quelle generazioni nate tra il 1985 e il 1995. Un racconto intimo, in cui la macchina da presa quasi scompare e l'incedere narrativo è alternato tra immagini di repertorio e interviste realizzate tutte in notturna.
Siamo partiti da un punto di vista privilegiato, avendo vissuto questo fenomeno e conoscendo ancor prima di iniziare la ricerca, la storia del Diabolika. Abbiamo voluto rendere questo racconto un'indagine sociale e culturale che ha visto la nascita e l'evoluzione di un genere musicale estraneo al circuito mainstream. Ma il film vuole essere anche un omaggio, un ricordo dal sapore nostalgico».
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Bong Joon Ho: chi è il vincitore della Palma d'oro del Festival di Cannes 2019 e dove vedere i suoi film
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Uscite al cinema, 27-30 maggio 2019
Sono otto i nuovi titoli in uscita al cinema tra il 27 e il 30 maggio, tra cui: il biopic sulla vita di sir Elton John, diretto da Dexter Fletcher, con protagonista Taron Egerton; il nuovo capitolo della saga mostruosa di Godzilla, diretto da Michael Dougherty; un nuovo documentario che svela la vita e il genio artistico di Caravaggio!
DENTRO CARAVAGGIO
Regia: Francesco Fei; Genere: Documentario; Data di uscita: 27 maggio.
Breve sinossi: Sandro Lombardi guidfa lo spettatore attraverso i molti luoghi “caravaggeschi”: da Roma a Napoli, fino in Sicilia, alla scoperta del genio artistico Caravaggio.
GODZILLA II – KING OF THE MONSTERS
Regia: Michael Dougherty; Genere: Fantascienza, azione; Cast principale: Kyle Chandler, Vera Farmiga, Millie Bobby Brown, Ken Watanabe, Sally Hawkins, Bradley Whitford, Zhang Ziyi, Thomas Middleditch, Charles Dance, O'Shea Jackson Jr., Aisha Hinds; Data di uscita: 30 maggio.
Breve sinossi: La Terra é minacciata dall'avvento di creature mostruose. Spetterà a Godzilla, difendere il trono di re dei mostri...
L'ANGELO DEL CRIMINE
Regia: Luis Ortega; Genere: Drammatico, thriller; Cast principale: Lorenzo Ferro, Chino Darín, Daniel Fanego, Mercedes Moran, Cecilia Roth, Luis Gnecco, Peter Lanzani; Data di uscita: 30 maggio.
Breve sinossi: La vera storia di Robledo Puch, il più famoso serial killer dell'Argentina negli anni Ottanta...
PALLOTTOLE IN LIBERTÀ
Regia: Pierre Salvatori; Genere: Commedia; Cast principale: Adèle Haenel, Pio Marmaï, Audrey Tautou, Damien Bonnard, Vincent Elbaz, Hocine Choutri; Data di uscita: 30 maggio.
Breve sinossi: Yvonne é rimasta vedonva. MA solo dopo la dipartita dell'amato e stimato marito, scoprirà che l'uomo non era davvero chi faceva credere di essere...
PRIMULA ROSSA
Regia: Franco Jannuzzi; Genere: Drammatico; Cast principale: David Coco, Salvo Arena, Fabrizio Ferracane, Roberto Herlitzka, Maurizio Marchetti; Data di uscita: 30 maggio.
Breve sinossi: Una storia di dolore e sangue, ispirata alla vita di Ezio Rossi, ex-membro dei Nuclei Armati Proletari...
QUEL GIORNO D'ESTATE
Regia: Mikhaël Hers; Genere: Drammatico; Cast principale: Vincent Lacoste, Isaure Multrier, Stacy Martin, Ophélia Kolb, Marianne Basler, Jonathan Cohen, Nabiha Akkari, Greta Scacchi, Bakary Sangaré, Claire Tran, Elli Medeiros, Zoé Bruneau; Data di uscita: 30 maggio.
Breve sinossi: La difficile quotidianità di David, costretto a lavori saltuari per sbarcare il lunario e la difficoltà di badare alla propria famiglia e cercare un suo posticino nel mondo...
ROCKETMAN
Regia: Dexter Fletcher; Genere: Biografico, drammatico, musicale; Cast principale: Taron Egerton, Bryce Dallas Howard, Richard Madden, Jamie Bell, Steven Mackintosh, Kamil Lemieszewski, Tate Donovan, Stephen Graham, Harriet Walter, Charlie Rowe, Gemma Jones, Tom Bennett, Kit Connor, Bern Collaço, Graham Fletcher-Cook; Data di uscita: 29 maggio.
Breve sinossi: Una vita da re del pop. Una vita da icona internazionale. Una vita estroversa, sfrenata, colorata. La vita di sir Elton John!
SELFIE
Regia: Agostino Ferrente; Genere: Documentario; Data di uscita: 30 maggio.
Breve sinossi: Le esistenze di alcuni giovani (e sfortunati) ragazzi nel rione Traiano di Napoli. Speranze e dolori, intrecciate in un unico destino...
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Akira in live action firmato da Taika Waititi uscirà nel maggio 2021
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Celebriamo i vincitori del Festival di Cannes (e qualche altro anniversario) con SimulWatch
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Freaks: il trailer dell'horror fantascientifico con Emile Hirsch
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Aladdin primo al boxoffice italiano del weekend, Il traditore è secondo
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domenica 26 maggio 2019
Il traditore
Sono diversi anni ormai che Marco Bellocchio ha deciso di prendere di petto la storia d'Italia. Non ci sono molti film altrettanto belli e originali come Buongiorno notte sul terrorismo italiano o come Vincere sul fascismo. Da qualche anno, però, si ha come la sensazione che abbia messo a disposizione il proprio capitale simbolico capace di garantire anche un budget decisamente importante, uno sforzo coproduttivo e una ricaduta distributiva decisamente notevole per fare dei film che di fatto sono un ibrido, dove la cifra stilistica del regista piacentino risulta per larghissime parti schiacciata da una reverenza nei confronti della fattualità, della cronaca o di una cronaca fattasi storia. Crediamo che proprio questo sia il caso de Il Traditore, l'unico film italiano presente in concorso a Cannes e che è stato accolto con favore, sia dalla critica che dal pubblico. Il protagonista, tutti ormai già lo sanno, è Tommaso Buscetta, il pentito di Cosa Nostra, sulla base delle cui confessioni è stato possibile a cavallo fra gli anni Ottanta e gli anni Novanta infliggere un colpo tremendo all'associazione criminosa siciliana. Chi è informato sulle tremende pagine della storia italiana di quegli anni, o chi ne è stato testimone tramite gli organi di stampa e la televisione, vedrà scorrere davanti a sé tutta una serie di eventi che già conosce: dal maxiprocesso alla strage di Capaci, dalla cattura di Riina al tentativo rivelatosi vano di individuare in Andreotti il mandante di almeno due omicidi, con un dosaggio fra re-enactement e footage a netto vantaggio del primo. Per intenderci: l'intervista di Santoro a Buscetta, rifatta con gli attori, mentre l'annuncio della morte di Falcone, della compagna e della scorta con materiali d'archivio del TG1 e la voce di Bianca Maria Piccinino, il vero Paolo Borsellino al funerale di Falcone, accompagnato dalla straziante richiesta/pretesa da parte di Rosaria Costa, moglie dell'agente Vito Schifani, nei confronti dei mafiosi: “Vi perdono ma inginocchiatevi”, anche questa scena tratta dai telegiornali, mentre appunto Andreotti viene recitato da un attore (e con lui i vari mafiosi e Falcone, in sostanza i protagonisti del film). Il vero Buscetta lo vediamo, ad esempio, solo nei titoli di coda mentre canta una canzone in spagnolo. Per il resto, anche questo già lo si sa, Buscetta è interpretato da Pierfrancesco Favino, forse il ruolo più importante, fin qui, di tutta la sua vita di attore, a pochi mesi dal suo cinquantesimo compleanno (ma prossimamente, anche questa notizia è circolata, lo vedremo anche interpretare Bettino Craxi). Non c'è dubbio che Favino ha studiato molto bene Buscetta, che i truccatori sono stati molto professionali, che è un buon attore, forse più bravo a recitare in portoghese con la sua terza moglie brasiliana che, lui romano, a recitare in siciliano, visto che in più di un caso sembra quasi sfiorare la caricatura e – soprattutto - visto che deve vedersela con uno straordinario Luigi Lo Cascio, nel ruolo - con un minutaggio incomparabilmente inferiore - di Salvatore Contorno, che ha la ventura di essere siciliano davvero e di dispiegare un talento (anche) comico, decisamente sensazionale. Ciò detto, il film comunica, va detto, sensazioni molto contraddittorie: da un lato, è inutile negarlo, è molto didascalico, nel senso letterale del termine perché è pieno zeppo di didascalie, date e nomi, uno di quei film, dei quali si è soliti dire che andrebbe fatto vedere nelle scuole, che è certamente un complimento perché è un modo per attestare a chi l'ha fatto una importante patente civica, ma questa patente di civismo rischia anche costantemente di costituire un limite perché finisce per attribuire al cinema una funzione nobilmente ancillare di (mero) contributo, civico appunto, alla costruzione della memoria. Sempre sul fronte dei limiti: non si può non menzionare una colonna sonora a dir poco invasiva, curata, per carità, da Nicola Piovani, ma pur sempre troppo invasiva, come del resto sono invasive le musiche non originali, nel corso delle quali Bellocchio attinge non raramente al melodramma, più specificamente a Verdi in una ideale ricongiunzione con I pugni in tasca, qui addirittura Buscetta/Favino entra nell'aula del maxiprocesso al suono di Va pensiero. Dall'altro lato, proprio partendo da questa scelta che desideriamo interpretare come paradossale e straniante (e non, lo speriamo vivamente, come pittoresco omaggio all'italianità, ad uso dei coproduttori e dei distributori), si potrebbe andare in cerca dei molti, anche se non moltissimi, segnali del fatto che questo film cronachistico-storico, assai probabilmente su commissione, è pur sempre stato girato da uno dei più importanti registi italiani viventi. E allora le cose più belle sono le scene oniriche, gli incubi e i sogni di Buscetta, ovvero le scene su cui la cronaca non ha nulla da offrire, e vivaddio c'è da inventare, da immaginare; poi la scena iniziale, debitrice certamente del Padrino ma comunque in linea anche con le numerose scene girate nei sontuosi e sordidi salotti dell'aristocrazia cardinalizia romana, le immagini allegoriche di animali; o ancora alcune sequenze del maxiprocesso di sapore quasi brechtiano.
Oltre alla a tratti livida fotografia di Vladan Radovic (soltanto qua e là un po' banalotta quanto antichizza seppieggiando gli anni'60: non se ne può più!) un altro merito del film è che – al di là delle dichiarazioni rilasciate a Falcone in cui Buscetta si erge a laudator temporis acti di quanto le azioni criminose della mafia rispondevano a un codice d'onore – alla fine il mistero profondo della psiche del personaggio, eroe e traditore appunto, resta tutto sommato inspiegato, esattamente come in un film di cinquant'anni fa, incomparabilmente più bello di questo, girato da un quasi coetaneo e quasi conterraneo di Bellocchio, che ci ha lasciato esattamente sei mesi fa.
(Il traditore); Regia: Marco Bellocchio sceneggiatura:Marco Bellocchio, Ludovica Rampoldi, Francesco Piccolo, Valia Santella; fotografia:Vladan Radovic; montaggio: Francesca Calvelli; interpreti: Pierfrancesco Favino (Tommaso Buscetta), Maria Fernanda Candido (Maria Cristina), Fabrizio Ferracane (Pippo Calò), Fausto Russo Alesi (Giovanni Falcone), Luigi Lo Cascio (Salvatore Contorno); produzione: IBC Films, Rai Cinema, Kavac Films origine: Italia-Francia-Germania-Brasile 2019; durata: 135'.
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