Per chi appartiene alla mia generazione, Charles Aznavour non è stato solo un gigante della canzone e una colonna sonora imprescindibile della propria vita: per chi è stato adolescente negli anni Settanta le sue storie in musica, così malinconiche, a volte beffarde e ciniche, che raccontavano di spettri di amori trascinati senza dignità, tradimenti, rimpianti, rimasugli di affetto sotto lo squallore del quotidiano e dell'età, tristezze veneziane e molto altro, erano quadri di vita che non potevano non colpire l'immaginazione. All'epoca il piccolo chansonnier franco-turco-armeno era spesso ospite della (bella) tv italiana e avevamo imparato a conoscerlo e apprezzarlo. A volte, ricordo, parodiavamo le sue canzoni, segno di grande affetto riservato solo ai grandi.
Ma per i cinefili Aznavour era anche un sensibile, straordinario attore: il cinema francese (e non solo) non si è certo fatto sfuggire quel volto così particolare e arguto, ne ha apprezzato l'ironia e la saggezza antica dello sguardo, la mobile (e nobile) espressività. Ed è così che l'uomo che scriveva e cantava canzoni che erano come piccoli film, l'autore di una comédie humaine espressa con parole da straordinario narratore, parallelamente alla immensa carriera musicale ne ha avuto una cinematografica che comprende un'ottantina di titoli. Al cinema arriva fin da bambino, sul finire degli anni Trenta, con piccoli ruoli non accreditati e in seguito appare spesso anche nelle vesti di cantante, ma già nel 1959 il suo nome compare in La fossa dei disperati di Georges Franju e - in una parte maggiore - in Dragatori di donne di Jean-Pierre Mocky.
L'anno successivo però è François Truffaut a volerlo protagonista del suo secondo film, Tirate sul pianista, che il regista adatta da un giallo del 1956 dello scrittore americano David Goodis, "Non sparate sul pianista” (Down There). Charles Aznavour è il pianista Charlie Kohler, che suona in un locale sotto mentite spoglie dopo aver rinunciato a una brillante carriera per il suicidio della moglie e si trova minacciato dai gangster con la giovane cameriera di cui si è innamorato, a causa del fratello. La sua è una performance naturale, piena di sfumature, sensibile e toccante, che dimostra come sia in grado di sentire, anche come attore, le (dis)armonie dell'amore e della vita umana.
Nel 1963 arriva a Roma per fare la guida turistica, dopo la seconda guerra mondiale, in Esame di guida - Tempo di Roma, una commedia scritta da Diego Fabbri e portata al cinema da Denys De La Patellière. Lo affiancano noti attori italiani come Marisa Merlini, Fanfulla, Alberto Lupo, Mario Carotenuto, Gianrico Tedeschi e addirittura lo scrittore austriaco Gregor Von Rezzori. Con lo stesso regista l'anno dopo appare in Un taxi per Tobruk, mentre nel 1963 torna a lavorare con Mocky nella commedia osée Le vergini. L'anno successivo è protagonista di un frammento di Alta infedeltà, film a episodi di Mario Monicelli, Elio Petri, Franco Rossi e Luciano Salce. Appare nell'episodio firmato da Petri e intitolato Peccato nel pomeriggio, con Claire Bloom. Una “piccola, affettuosa satira del cinema di Antonioni, realizzata per divertimento”, come la definisce lo stesso regista.
Appare anche nello stravagante Candy e il suo pazzo mondo di Richard Marquand, dove, con grande autoironia, lui che era dritto come un fuso, interpreta il “giocoliere gobbo”. L'elenco è troppo lungo per continuare, ma bastano altri tre film per ricordarci che Aznavour è stato anche un grande attore. Nel 1979 è il giocattolaio ebreo Sigismund Markus in Il tamburo di latta di Volker Schloendorff, dal romanzo di Gunther Grass, mentre nel 1982 è un altro principe del cinema francese, Claude Chabrol, a offrirgli uno dei ruoli più belli: quello del sarto armento Kachoudas, vicino di casa del serial killer Michel Serrault in I fantasmi del cappellaio.
Nel 2002 è protagonista di Ararat di Atom Egoyan, un film che parla proprio di qualcosa che lo tocca da vicino, il genocidio armeno. È il suo popolo mai dimenticato, per il quale si è impegnato, pubblicamente e in privato, per tutta la vita. Con la sua faccia si è trovato spesso a interpretare ruoli da arabo o da ebreo: per un poliglotta senza confini come lui, che considerava il mondo la sua casa, non poteva esserci destino migliore. Charles Aznavour ha continuato a recitare, così come ha cantato, finché è vissuto, in film e serie tv francesi purtroppo spesso inediti da noi, come il tv movie in cui è Père Goriot, dal romanzo di Honoré de Balzac. Le sue canzoni si sentono in molti film e perfino Stanley Kubrick, nel suo ultimo film, Eyes Wide Shut, ha inserito la sua “The Old Fashioned Way” (“Les plaisirs démodés”, “Quel che non si fa più”). La lunga vita di questo straordinario artista ci ha lasciato una splendida eredità, in musica, immagini e parole e un grande insegnamento: mai lamentarci di non avere il tempo di fare quello che amiamo.
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