giovedì 25 maggio 2017

Happy End

Michael Haneke va senz'altro inserito in quel filone artistico mitteleuropeo di matrice austriaca che partendo dall'ultimo Schubert comprende da Gustav Mahler a Egon Schiele, da la Nuova Scuola di Vienna a Thomas Bernhard, ed è tra i massimi esponenti di un pessimismo cosmico rappresentato sul grande schermo nei termini di un cinema puro e di rigore abbagliante, in grado di arrivare al cuore di un pubblico fortunatamente piuttosto vasto formato anche da giovani entusiasti, sedotti fin dal 1997 dalla novità del suo primo Funny Games (rifatto in versione americana esattamente dieci anni dopo). Crudeli, spietati, insostenibili, disturbanti, devastanti, tutti i suoi film, in particolare gli ultimi quattro o cinque (culminando nel sublime Amour), ti mandavano a casa certamente sconquassato nel morale e nello spirito, ma comunque appagato sotto il profilo dello spessore narrativo e artistico dal tocco di una regia dominata al millimetro con una glacialità implacabile e fertile di detonazioni emotive illuminate da un lucore intellettuale, al cinema più unico che raro. Questo Happy End invece, presentato in concorso alla settantesima edizione del Festival di Cannes, non ha sortito il medesimo effetto, confermando di ogni autore il sacrosanto diritto di allentare la corda, di sedersi a riflettere, di tirare un respiro, di concedersi una pausa, nell'impossibilità umana di mantenere sempre costante una tensione creativa tanto a lungo feconda. All'assoluta perfezione della messa in scena, alla gelida e apatica osservazione della disgregazione morale di una famiglia altoborghese incapace di trasformare l'agio della garanzia di benessere in altrettanta ricchezza interiore al fine di colmare il tragico vuoto dell'esistere, corrisponde stavolta un algore quasi manierato nel denunciare gli egoismi, le aridità e le miserie morali che indistintamente affliggono tutti i membri della famiglia Laurent, dal più anziano Georges, ormai esacerbato e stanco di vivere (un Jean-Louis Trintignant che aggiorna, 5 anni dopo, l'omonimo protagonista maschile di Amour), alla piccola Ève (Fantine Harduin), che non ha digerito il divorzio dei genitori, ed è rimasta incapace di avere con la realtà una contatto concreto che non siano le immagini riprese con il suo cellulare; nel mezzo, suo padre Thomas (Mathieu Kassovitz), anaffettivo e interessato soltanto a cornificare pesantemente anche la nuova moglie, Anne (Isabelle Huppert) figlia di Georges e sorella di Thomas, la più pragmatica e determinata, ma incapace di gestire le stramberie di suo figlio Pierre (Franz Rogowski), mentalmente disturbato e caratterialmente attratto da diseredati e balordi. Niente di inedito, se comparato al campionario di famiglie benestanti già frequentate dal cinema di Bellocchio, Pasolini o Losey, che stavolta non stimola alcuna empatia, come nel caso, invece, dell'anziana coppia tragica di Amour, o dell'intera famiglia vittima delle torture degli psicopatici di Funny Games, né la respingenza delle perversioni erotiche de La pianista o degli agghiaccianti fanciulli germe della crudeltà nazista de Il Nastro Bianco… Addirittura banale risulta uno degli aspetti solitamente di maggiore interesse nel cinema di Haneke, lo sguardo: nei suoi film, spesso non si capisce bene chi stia guardando che cosa, se l'oggettività impersonale della macchina da presa oppure un'entità svelata nel corso del film, che nel geniale impianto registico di Niente da nascondere finisce col combaciare con gli spettatori stessi: in Happy End, le ultime inquadrature realizzate con un cellulare, a corollario delle sequenze iniziali, non aggiungono niente di particolarmente nuovo a discorsi anche fin troppo abusati sull'odierna percezione della realtà da parte della generazione 2.0… Non grave, per carità, ma un peccato, cui si spera che Haneke rimedi rinunciando al suo proposito, annunciato nei giorni scorsi, di lasciare il cinema.

(Happy End); Regia: Michael Haneke; sceneggiatura: Michael Haneke; fotografia: Christian Berger; montaggio: Monika Willi; musica: AA.VV.; interpreti: Toby Jones, Isabelle Huppert, Mathieu Kassovitz, Jean-Louis Trintignant, Franz Rogowski, Fantine Harduin; produzione: Les Films du Losange, X Filme Creative Pool, Wega Film; origine: Francia, Austria, Germania, 2017; durata: 107'



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