giovedì 10 marzo 2022

"La disobbedienza può essere virtuosa": incontro con Marina Foïs, protagonista di Parigi, tutto in una notte

Una notte in ospedale, con una coppia in crisi, dei manifestanti gilet gialli e il personale sanitario nel corso di ore frenetiche. Un'ambientazione particolare per il nuovo film di Catherine Corsini, apprezzato in concorso allo scorso Festival di Cannes e candidato a sei premi César e da oggi al cinema con Academy Two. 

Una frattura, come suona il titolo originale di Parigi, tutto in una notte, fra energia, risate e uno sguardo maturo e appassionante sulla società di oggi. Valeria Bruni Tedeschi è protagonista al fianco di Marina Foïs, che abbiamo intervistato via zoom.

Le fratture sono più di una, quella della sua compagna nel film, Valeria Bruni Tedeschi, che si rompe un braccio, ma anche quella che sconvolge la società francese.

Il mio personaggio e il film sono due cose differenti. Julie mi ha interessato come attrice, perché è sempre nelle scene di gruppo, non si tratta mai solo di lei. Reagisce, ascolta, non è mai il soggetto delle conversazioni. Un esercizio molto interessante, poi adoro Valeria, è stata una gioia essere in scena con lei. Il soggetto del film invece evoca tante cose. La frattura sociale rimanda a una formula di Jacques Chirac, utilizzata nel 1995. Una vecchia idea per raccontare un percorso in atto nella società francese. Dal punto di vista cinematografico era interessante il ritratto di un paese lacerato, raccontando una crisi intima, sentimentale, oltre a una sociale e politica. Riunirle in un ospedale era un modo per proporre un'utopia che manca molto nel dibattito politico, il sogno di una società. Poi racconta come ci si possa mischiare, costretti a trovarci uno accanto all'altro. Ogni pregiudizio cessa e si impone la necessità della condivisione. È un'utopia politica, un sogno che mi piace.

L'ospedale è uno dei rari luoghi in cui siamo tutti uguali?

Siamo uniti nel dolore, ma per un braccio rotto ci sono dei costi molto alti per la riabilitazione, che non sono alla portata di tutti. Per il personale medico, invece, non ci sono differenze. Curano nella stessa maniera un senzatetto come un imprenditore. Per questo l'ospedale è un luogo virtuoso ed è inaccettabile che la politica lo metta in pericolo. La sanità gratuita è un vanto francese di cui essere fieri come il vino. È straordinario da noi come si viene curati, ma anche in Italia so che la modalità è simile. Una volta mi è capitato e sono stata molto ben curata da voi. 

Viviamo nell’era della comunicazione ma anche dei pregiudizi, non ascoltiamo gli altri. Forse in un pronto soccorso il tempo si ferma e si riesce a guardare in faccia chi abbiamo accanto, ascoltandolo?

Siamo obbligata a mescolarci e condividere una stanza con un estraneo che non avremmo mai scelto. Luoghi in cui il pregiudizio cade. Sta a noi capire come sia tutto una merda quando ci facciamo guidare da idee preconcette sugli altri. Ci priviamo di avventure e scoperte. È assurdo. L’ospedale è un bene comune, la necessità di fare società, di cui beneficiamo tutti. 

Si parla di una crisi della cittadinanza con le istituzioni, in Francia ma anche in Europa.

A inizio film c’è una scena sottile, ma cruciale, in cui agli infermieri viene chiesto dalla polizia di rivelare l’identità dei pazienti, ma rifiutano di farlo. La trovo molto toccante. Non siamo obbligati a dire di sì: la disobbedienza esiste e talvolta è molto virtuosa. La Francia è un paese sempre in sciopero. È una rottura, ma resiste sempre. È fastidioso il cambiamento impossibile e allo stesso tempo è necessario. La sistematica resistenza, nel caso del personale sanitario, di chi sceglie un mestiere per passione e non rinuncia a una visione etica, anche sotto pressione e nella fatica dell’urgenza. È una cosa importante da mostrare.

Qualcosa che riguarda vari livelli, non solo i manifestanti, ma anche il personale sanitario. Per la preparazione del film si è documentata sui gilet gialli, o non era il tema del film?

Mi interesso al mondo in cui vivo. Il funzionamento della sanità pubblica la conosco bene, per vari motivi l’ho frequentata molto e ho una sorella medico. Riguardo ai gilet gialli, Parigi, tutto in una notte dà un volto a un movimento che è stato raccontato in maniera molto generale e di cui abbiamo una visione poco chiara. La stampa non ha aiutato, facendone una caricatura. Se ci si mette nel punto di vista delle varie persone, allora tutti hanno ragione e la polizia ha torto. Ma le cose sono più complicate, è troppo presto per capire cosa abbia rappresentato esattamente questo movimento. Saranno i sociologici e i politologi a doversi interessare alla loro genesi. Noi abbiamo intravisto da lontano un movimento politico molto sfocato, con un disprezzo per la classe politica. Non voglio trarre conclusioni, so che il discorso politico mi piace sempre meno, così come la violenza della polizia. Vengo da una famiglia di sessantottini, ho molto manifestato, e oggi mi capita di avere paura in quelle occasioni, cosa che prima non succedeva. 

Il cinema ha la possibilità di rappresentare dinamiche intime in grado di rappresentare un movimento ampio come quello dei gilet gialli?

Assolutamente. Credo nel potere del cinema. Un film non cambia il mondo, ma è già molto se sconvolge la vita di tre persone, che uscendo la pensano diversamente. Io quando vado al cinema imparo cose sul mondo contemporaneo, oltre che su di me. È un bisogno, mi serve.

Com’è andata con Valeria Bruni Tedeschi?

Non abbiamo potuto fare delle prove, essendo io e Valeria occupate prima su un altro set. Le riprese sono andate benissimo, la conoscevo molto poco, ma la amo, come attrice e come regista. L’avevo conosciuta un po’ in occasione di un provino per il ruolo andato a Valeria Golino nel suo ultimo film, I villeggianti. Ha un senso della tragicommedia che non esiste più e sicuramente è più italiano, pieno di fantasia. Ho viaggiato in questi ultimi anni lavorando all’estero, l’Italia è il paese di mio padre, il più dolce del mondo. La dolce vita non è un’invenzione, te ne accorgi quando vai in giro. È il rapporto umano. L’arte di saper ridere cambia tutto.



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