martedì 28 aprile 2020

Punta sacra, l’energia di una comunità così lontana e così vicina in un documentario in concorso a Visions du Réel


La manifestazione svizzera ospita un’opera in concorso appassionante, alla scoperta di un piccolo triangolo di mondo, fra la fine e l’inizio.

“Ciò che sarai tra cinque anni è determinato da chi ti circonda oggi e dai libri che leggi”. Una frase semplice, magari ai limiti del puramente evocativo, ma riesce a sintetizzare bene la vitalità istintiva, toccante per la propria purezza, che alimenta come un corpo vivo, in movimento continuo, il documentario Punta sacra di Francesca Mazzoleni, in concorso a Nyon, al Festival Visions du Réel. Il film è visibile in streaming fino al 2 maggio, ma speriamo presto anche per un pubblico più ampio, a casa come nella già tanto rimpianta sala. 

Il presente non è mai un quieto vivere, ma è sempre un vorticoso rimpianto del passato, preso in mano da un manipolo di coraggiosi per rivendicare un futuro. La malinconia della fine e l’energia di un nuovo inizio, proprio come le acque del fiume alla foce che si getta in un mare che promette una nuova vita. “Il fiume che ritorna al mare come simbolo di libertà”, come dice un prete ormai di casa in quella terra estrema, per cui ha provato un fascino e un richiamo speciali.

Sono fragili le radici di chi dieci anni ha visto demolite le proprie case abusive. Siamo nel triangolo formato dalla foce del Tevere che si getta nel mare, Idroscalo di Ostia, in cui le baracche hanno sostituito le abitazioni e un gruppo di famiglie vuole rimanere a vivere lì, in un luogo così lontano eppure così vicino, ancora comune di Roma, distante più nell’immaginario che geograficamente. Un posto di una bellezza straziante, come il mare d’inverno, che in alcune immagini del documentario ci sembra quasi un lembo di terra sospeso in uno scenario da mari del nord, ma in cui ancora aleggia la figura di Pasolini, non come un fantasma del passato, ma ancora capace di suscitare feroci discussioni, fra “comunisti e fascisti”, all’interno di questa specie di famiglia allargata al femminile, che la Mazzoleni così brillantemente ci racconta nella propria quotidianità.

Scordatevi luoghi comuni, o sciatte scorciatoie con cui raccontare il “disagio sociale”, inteso come etichetta, come un brand registrato per i pigri e per chi non ha voglia di conoscere e ascoltare. Due imperativi per la Mazzoleni, che in Punta sacra raggiunge un difficile equilibrio fra distacco e totale identificazione, permettendo ai personaggi di raccontarsi, di raccontare le loro storie, creando il flusso di una narrazione seducente, dal sapore antico, ritmata dalle onde del mare, dal fiume giunto esausto agli ultimi metri, e da un vento sempre presente. Per non parlare di un’altra colonna sonora, quella musicale, che accompagna al meglio questo luogo di bellezza selvaggia, quasi intimidito dalla vicinanza della città eterna.    

Generazioni diverse che si confrontano, dialogano, non perdono di vista le radici pur guardando al futuro, con la sete di conoscere il mondo e la cultura come strumento per esprimersi e crescere. Nessuna voglia di fuga o evasione, da una terra che non sanno neanche ben definire, ma che talvolta, quando meno te l’aspetti, fra mille ostacoli, sembra un paradiso. 



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