Non ha certamente la complessità che si è soliti pretendere da un film di un grande festival (non a caso è fuori concorso), ruota intorno a un tema su cui si sarebbe potuto fare molto di meglio lasciando lo spettatore con qualche incertezza in più (anche qui vedi sotto) – e tuttavia Unsane, l'ultimo film di Steven Soderbergh che torna a Berlino, di cui da diverso tempo ormai è ospite frequente, cinque anni dopo Side Effects, è uno psico-thriller, come il film appena citato, e come quello ha un ottimo ritmo e si vede volentieri (oltre a rappresentare sul piano formale comunque un interessante esperimento, anche qui: vedi sotto). Si vede volentieri soprattutto al termine di una giornata festivaliera di quelle pesantemente punitive. Una di quelle giornate in cui non può non venire in mente: “ Dies Irae di Carlo Teodoro Dreyer 9 ore L'uomo di Aran di Flaherty 6 tempi... ma soprattutto il più classico dei classici... La corazzata Kotiomkin 18 bobine....” In questo caso: ore 9:00 proiezione stampa del film di Philipp Gröning Mein Bruder heißt Robert und ist ein Idiot (Mio fratello si chiama Robert ed è un idiota), 174 minuti, ore 12:30 Season of the Devil: 234 minuti, in totale 408 minuti della vita di una persona.
Due film certamente a loro modo interessanti, ma, confessiamolo, di una pesantezza inaudita in cui presto o tardi si ha la sensazione che il tempo sia una cosa troppo preziosa per dilapidarlo così. Una pesantezza che, nel caso di Lav Diaz, appare in qualche misura giustificata, laddove si conoscano e si apprezzino i suoi temi (l'ennesimo capitolo della storia nazionale filippina, stavolta intorno al 1979, successivamente alla formazione di milizie territoriali volte a stroncare sul nascere ogni forma di dissenso e di opposizione) e il suo stile (lunghe inquadrature prevalentemente immobili, cui stavolta viene ad accoppiarsi una sorta di musical a cappella, da lui erroneamente denominato “rock opera”, beh il rock è altro, diciamo una specie di brechtianissima epica folk ). Una pesantezza e una lunghezza già meno giustificabile nel caso di Gröning (a differenza di quanto accadeva per Il grande silenzio di ben tredici anni fa, di sette minuti più breve) che racconta una relazione venata non poco di tratti incestuosi fra due gemelli diciottenni, un ragazzo e una ragazza, la prima parte ambientata in un prato vicino all'autostrada con sullo sfondo le alpi bavaresi e tanti, tantissimi primi, primissimi piani (alla macchina da presa: lo stesso Gröning) di steli d'erba, cavallette e disquisizioni filosofiche su Platone, Sant'Agostino e soprattutto, inesorabilmente, Heidegger, la seconda parte nell'autogrill con una accelerazione del ritmo e della drammaticità e una serie di scene in cui il film vira verso un wannabe Haneke nient'affatto convincente. Poi magari questi due film vinceranno qualcosa d'importante (Diaz vinse due anni fa con A Lullaby to the Sorrowful Mistery il premio intitolato ad Alfred Bauer per film che aprono nuove prospettive) e in mezzo alle molte recensioni della Berlinale 2018 non si troverà su “Close-Up” né una recensione specifica al film di Diaz né una al film di Gröning. Il lettore della rivista dovrà farsene una ragione. Diciamo fin da ora, preventivamente, che chi recensisce questo festival di quest'assenza ne regrette rien.
Ma torniamo invece a Unsane, il – se abbiamo fatto bene i conti – ventottesimo film di Soderbergh girato nell'arco di una trentina d'anni, a partire cioè da Sesso, bugie e videotape del 1989, un film al quale, indirettamente, quest'ultimo si richiama, essendo girato interamente in sole due settimane con I-Phone da Soderbergh stesso che firma la fotografia con lo pseudonimo di Peter Andrews, interpretato da Claire Foy e da Joshua Leonard. Il film si richiama – si parva licet – al modello Gaslight (in italiano Angoscia) di George Cukor: una donna si dichiara/si crede vittima di uno stalker, a causa del quale cambia città, lavoro. Del resto il gaslighting può essere in qualche misura considerato un antenato dello stalking. Tutto lascia pensare che la sua, per l'appunto, angoscia ossessiva abbia preso il sopravvento rispetto alla realtà dei fatti, e così pensa soprattutto una psichiatra che al termine di un colloquio apparentemente consultivo la fa internare in un istituto dove si praticano metodi di detenzione e di sedazione che il povero Basaglia si sarà rivoltato nella tomba, e così pensano il direttore dell'istituto e la responsabile amministrativa e tutto il personale medico e paramedico. Come se non bastasse la donna scopre/sembra scoprire, fra l'incredulità generale, che annidato in mezzo al personale paramedico si trova, sotto mentite spoglie, proprio colui che da tempo ormai la perseguita. Di nuovo: è così o se lo è solo immaginato? Con ritmo serrato e servendosi di molti primi piani, definiti quanto possono essere definiti i primi piani della telecamera di un I-Phone, Soderbergh racconta in un climax non privo di tratti splatter la vicenda della protagonista, del suo “persecutore”, di un compagno di sventure che funge da aiutante, della “rivale” in clinica, della madre, tutti personaggi che non fanno una bellissima fine. Con una conclusione che fa capire che con ogni probabilità l'angoscia, i disturbi a della protagonista non finiranno qua. Ci saremmo, alla fine, augurati una maggiore ambiguità, sul modello di Caligari per intenderci, siamo con tutta evidenza di fronte a un b-movie d'autore - dove peraltro non si perde l'occasione di far riferimento in tempi di abolizione dell'Obama-Care al ruolo svolto dalle assicurazioni sanitarie nel determinare tempi e modi delle degenze, in Side Effects erano le case farmaceutiche – ma, vivaddio, è un film guardando il quale, non ci troviamo mai, appena lo schermo è un po' più luminoso, a mettere l'orologio di traverso e guardare quanto tempo è passato dall'inizio e quanto tempo manca alla fine. Con buona pace di Lav Diaz e Philipp Gröning.
(Unsane). Regia:Steven Soderbergh; sceneggiatura: Jonathan Bernstein, James Greerfotografia:Peter Andrews; montaggio: Mary Ann Bernard interpreti: Claire Foy (Sawyer Valentini), Joshua Leonard (David Strine), Jay Pharaoh (Nate), Juno Temple (Violet), Amy Irving (Angela Valentini); produzione:New Regency/Fingerprint Releasing, Los Angeles; origine: USA 2018; durata: 98'.
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