L'ultimo film tedesco In den Gängen (Nei corridoi) presentato oggi, con cui l'intero concorso si è chiuso, è decisamente il migliore dei quattro che abbiamo visto. Il regista Thomas Stuber è completamente sconosciuto in Italia, in Germania, due anni fa con il film Herbert – per tanti aspetti simile a quello di oggi - si è portato a casa diversi premi nazionali. In den Gängen è un film forse un po' troppo lungo, forse un po' troppo minimalista, ma è un film scritto bene, con tre attori molto molto bravi e una regia di qualità che ha saputo ben districarsi nel self constraint di un ipermercato. Siamo dalle parti di Lipsia, l'unica indicazione spaziale che riceviamo è quella di un autobus diretto a Miltitz, che è appunto un sobborgo della città sassone, Germania Orientale, ex-RDT. Il film, come si diceva, si svolge per larghissime parti all'interno di un ipermercato, dove è venuto a lavorare Christian, un giovanotto molto tatuato di pochissime parole - interpretato dall'ottimo Franz Rogowski che avevamo già visto in Transit di Christian Petzold - e del cui passato solo a poco a poco e quasi sul finire apprendiamo qualcosa. Gli farà da coach nel non facile apprendistato il non più giovanissimo Bruno, interpretato da Peter Kurth (chi ha visto Babylon Berlin è l'attore che interpretava il corpulento commissario corrotto che, casualmente, anche lì si chiamava Bruno) che all'epoca della RDT faceva il camionista e girava per le strade, mentre adesso gira solo sul carrello elevatore, vulgo muletto. Il suo coaching nei riguardi di Christian consiste in primo luogo nell'insegnargli a guidare il carrello ma si capisce ben presto che fra i due, fra mille silenzi, scatta qualcosa di paragonabile al rapporto fra un padre e un figlio, probabilmente il padre che quel figlio non ha mai avuto, il figlio che quel padre non ha mai avuto. E poi c'è Marion, interpretata da Sandra Hüller, conosciuta anche in Italia per il ruolo di Iris, la protagonista di Vi presento Toni Erdmann. Appena Christian vede Marion scatta l'amore, un amore a prima vista, manifestato tuttavia in modo laconico ed esitante, com'è il personaggio. I colleghi, Bruno avanti a tutti, gli dicono che Marion è sposata, di starle alla larga, anche perché il marito non è una buona persona, benestante e bastardo. Succede pochissimo in In den Gängen, le persone si avvicinano, si allontanano, qualche piccola festa aziendale, l'apprendistato per imparare a guidare il muletto con tanto di patentino finale, una sigaretta fumata insieme, una partita a scacchi, qualche dettaglio, come detto, sul passato dei personaggi, tre o quattro episodi fuori dall'ipermercato, dove Christian, spesso, è di turno la notte, episodi, anche questi, accennati soltanto. Fino a una conclusione tragica che non riveleremo, anche tenendo conto del fatto che – soprattutto qualora dovesse ottenere a Berlino qualche premio, e le chances, a nostro avviso, ci sono eccome– il film potrebbe arrivare in Italia, pur essendo, come si diceva all'inizio, un film molto tedesco, anzi verrebbe da dire, molto tedesco orientale. Proviamo a dire in che senso. La costellazione relazionale Christian/Bruno sembra uscire dai romanzi della cosiddetta Ankunftsliteratur, la letteratura operaistica e ottimistica dei primi anni '60 (l'esempio più famoso: Il cielo diviso di Christa Wolf) dai film della DEFA, la casa di produzione statale della RDT, il collega più anziano che funge da padre al collega più giovane, la rappresentazione solidale del rapporto fra i colleghi sembra un classico esempio di romanzo/film ambientato fra gli operai, Arbeiterfilm che dagli anni '50 in avanti i vertici politico-culturali della RDT promuovevano incessantemente al cinema e in televisione. Certo, all'indomani della caduta del Muro, nei non-luoghi della periferia della ex RDT, non c'è più da accogliere il collega nel mondo solidale della classe operaia, anzi si capisce che la scomparsa di quel mondo ha lasciato ferite probabilmente insanabili, per esempio in uno come Bruno. Ma una sorta di continuità ideale e anche estetica nel film di Thomas Stuber rimane. Del resto il regista è nato a Lipsia nel 1981, il film è tratto da un racconto con lo stesso titolo scritto da uno dei migliori scrittori tedeschi dell'ultima generazione, ossia Clemens Meyer (nato nel 1977 e noto anche in Italia per Eravamo dei grandissimi, da cui Andreas Dresen aveva tratto qualche anno fa un non memorabile film) che ha collaborato alla sceneggiatura, anche se – e questo forse resta il problema principale del film – il racconto di Meyer era lungo 25 pagine e il film dura 125 minuti, che si potevano tagliare.
(In den Gängen). Regia: Thomas Stuber; sceneggiatura:Thomas Stuber, Clemens Mayer; fotografia:Peter Matjasko; montaggio: Kaja Inan interpreti: Franz Rogowski (Christian), Peter Kurth (Bruno), Sandra Hüller (Marion) produzione: Sommerhaus Filmproduktion, Berlino origine: Germania 2018; durata: 125'.
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