M - Il mostro di Düsseldorf è una pagina capitale del cinema tedesco.
In essa si condensano tutte le preoccupazioni e le contraddizioni di una società che si avvia, sulle note cadenzate di una danza macabra a piena orchestra, verso il baratro del secondo conflitto mondiale con tutti i suoi orrori.
Summa di un pensiero registico che non troverà più vette così alte nel successivo periodo americano, questa sinfonia di ombre, che è il primo film sonoro del regista di Metropolis e dei Nibelunghi, sembra abitata in egual misura da Brecht e da Caligari, da una disperata fame di realismo e dal ricordo della notte e dei suoi incubi.
Grazie a uno spregiudicato uso del sonoro, con un continuo ricorso al fuori campo, con il motivo fischiettato dal mostro che arriva da Peer Gynt e sta a metà tra diegesi ed extradiegetico, M - Il mostro di Düsseldorf che pare quasi dirci che in fondo il vero mostro siamo noi, il film vive di un'ambigua empatia con il vampiro che rubò il sonno a tutta la nazione fino al giorno della sua fortunosa cattura.
Un'empatia che non contraddice un tema come quello della caccia all'uomo che è spina dorsale di un intreccio basilare conosciuto e sperimentato mille volte. Una caccia cui la macchina da presa partecipa, insieme a tutte le comparse che, come il film, guardano e cercano, ma che è anche caccia di un mostro che insegue se stesso, di un impulso omicida che ghermisce l'assassino obbligandolo a bramare il sangue delle vittime.
E questo bisogno di dare parola anche all'assassino esplode nell'utopico finale del processo dove, se da una parte il regista guarda preoccupato il nuovo tedesco nazista già pronto al processo sommario e al linciaggio, dall'altra cerca le parole giuste per farci stare ancora un poco, scomodi, nelle scarpe del mostro che uccide con una voluttà che sgomenta e affascina, che disgusta e avvince.
Trarre un film da questa materia incandescente ancora oggi è impresa improba. Anche perché M - Il mostro di Düsseldorf è paradossalmente, come i vulcani di Herzog di Into the Inferno, apparentemente spento, ma ancora pericoloso.
Gordian Maugg, regista di questo Fritz Lang ci prova, con sommo sprezzo del pericolo montando un film che flirta sin nell'impianto visivo con le ombre dei capolavori del tardo espressionismo.
Giocando con un formato flat che riprende quello standard del tempo e anche del film che gli fa da modello e innestandoci sopra le stesse ombre, lo stesso livido bianco e nero, il regista compone un biopic in cui la ricerca di Lang dell'ispirazione per il suo capolavoro coincide con un'epifania della sua esistenza tutta.
A caccia di rimandi e rime interne, si compone così, pian piano, un thriller denso che rilegge M - Il mostro di Düsseldorf all'ombra di ricordi traumatici e strettamente personali: da quelli d'infanzia quando veniva strappato dalla madre amatissima e dal ricordo della religione ebraica a quelli relativi alla guerra, quando quasi perse un occhio per rincorrere una cieca vendetta nei confronti di un gruppo di cecchini dell'esercito nemico, sino al mistero che circonda la morte della prima moglie che nel film si scioglie nell'idea che fu lo stesso Lang in qualche modo responsabile.
Tanti elementi, a un certo punto troppi, che se da una parte spiegano la funesta fascinazione per il delitto espressa nel capolavoro langhiano e la strana empatia con cui il regista si accosta al personaggio, dall'altra diventano ingredienti di un film robusto e un poco compiaciuto.
Ne viene fuori un prodotto un poco freddo (nella sua caccia al manierismo) per stare a contatto con un capolavoro così tanto incandescente, ma che non per questo è privo di meriti intrinseci e di una sua precisa ragion d'essere.
A partire da un uso spregiudicato del materiale di repertorio che si sposa in maniera invidiabile con le immagini di fiction e che dimostra non semplice cura iconografica, ma una passione sincera per il cinema del periodo.
Una bella pagina di cinema, in fondo, questo Fritz Lang, curatissima nella confezione e ricca di spunti di interesse anche se tendenzialmente più incline allo spettacolo superficiale del torbido che al bisogno di quella certa calda umanità che invece c'era nelle tavole apparecchiate e vuote e nelle pentole fumanti del capolavoro langhiano.
Un modo, comunque, originale per intendere il biopic e un film saggio mimetizzato in una confezione di genere che potrebbe quasi aspirare al grande pubblico.
Soprattutto uno sprone a riprendere tra le mani un DVD di M - Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang che ancora a tanti anni di distanza sa guardarci e ammonirci.
(Fritz Lang); Regia: Gordian Maugg; sceneggiatura: Gordian Maugg, Alexander Häusser; fotografia: Lutz Reitemeier; montaggio: Florentine Bruck; musica: Tobias Wagner; interpreti: Heino Ferch, Christoph Bertram, Samuel Finzi, Thomas Thieme; produzione: Belle Epoque Films, Gordian Maugg Filmproduktion GmbH; origine: Germania, 2016; durata: 104'
from Close-Up.it - storie della visione http://ift.tt/2eBnQkY
Nessun commento:
Posta un commento