domenica 30 gennaio 2022

Sundance Film Festival 2022: horror d'autore e figure femminili di rilievo nell'edizione online

L’edizione online del Sundance Film Festival 2022 ha messo in luce, oltre a una qualità media delle opere presentate in cartellone decisamente elevata, un’attenzione molto precisa per un genere specifico come l’horror. Nella maggior parte dei titoli presentati che possono essere inseriti in questa categoria il riferimento più o meno esplicito alla nostra contemporaneità e ai problemi che stiamo vivendo oggi ha contribuito ad elevare sia l’interesse che la qualità del prodotto stesso. Temi oggi più che mai scottanti ma fondamentali da esplorare come il rapporto uomo-donna, il fanatismo religioso o il razzismo nascosto nelle pieghe della società si sono fatti asse portante per storie raccontate con intelligenza e in un paio di casi notevole senso del cinema. L’altro fattore che ha contraddistinto il Sundance di quest’anno è stata l’attenzione verso figure di donna interessanti, sfaccettate, anche nel cui si sono rivealte anime dilaniate e dolorose. L’edizione 2022 del festival ha decisamente parlato al femminile, non soltanto per il numero di lungometraggi diretti da donne ma soprattutto per la capacità di fornire al pubblico protagoniste assolutamente non convenzionali. Eccovi dunque i titoli più interessanti e valevoli visti al Sundance Film Festival 2022. 

I migliori film visti al Sundance Film Festival 2022

  • Resurrection
  • You Won't Be Alone
  • Master
  • FRESH
  • Speak No Evil
  • Call Jane
  • Good Luck To You, Leo Grande
  • Emily the Criminal
  • Dual
  • When You Finish Saving the World
  • Honk for Jesus. Save Your Soul


Horror d’autore al Sundance Film Festival

Il film più disturbante presentato al Sundance Film Festival è stato senza dubbio Resurrection (foto principale) scritto e diretto da Andrew Semans. La storia racconta di come Margaret - donna indipendente e coriacea con una figlia di quasi diciotto anni - inizia di colpo a vedere sgretolarsi il proprio mondo quando incontra un uomo che rappresenta il lato più oscuro del suo passato. Una Rebecca Hall capace di spingere agli estremi le sue qualità di attrice e la propria fisicità si mette al servizio di questo dramma che scivola nell’horror attraverso un'ammirevole progressione drammatica. A farle da contraltare un Tim Roth viscido e ributtante, perfetto per il ruolo di mentore/diavolo tentatore. Basato su una progressione drammatica molto ben scandita, che tiene costantemente lo spettatore in bilico riguardo al realtà del film che sta guardando, Resurrection possiede una coerenza estetica (ottimo in particolar modo il lavoro sulle ambientazioni scarne e stilizzate) che rimanda in qualche modo al cinema di David Cronenberg. Fino a un finale visionario che chiude con enigmatica efficacia un lungometraggio coraggioso, ipnotico, ammirevole nella sua volontà di smuovere la mente e la coscienza dello spettatore. 

Altro film di sicuro impatto è stato anche You Won’t be Alone (foto sopra) dell’esordiente Goran Stolevski. Favola nera e violenta ambientata nella Macedonia del XIX Secolo, la storia racconta di un essere mostruoso che rapisce una giovane ragazza e la rende una strega capace di mutare forma. Il viaggio di questa nuova creatura attraverso vari paesi e piccole comunità, dove accumula esperienze di vita e impara anche attraverso il sangue ad amare gli umani, viene messo in scena da Stolevski con una potenza espressiva rarefatta, a tratti elegiaca. Anche quando la forza visiva ed emotiva di alcuni momenti costringe lo spettatore a confrontarsi con l’orrore, You Won’t be Alone riesce a mantenere un fascino particolare e originale. Vi sono echi del cinema di Terrence Malick nel ritmo della narrazione, nel montaggio e nell’uso delle musiche per sottolineare la forza delle immagini. E questo rende alla fine il lavoro di Stolevski qualcosa di originale, a tratti davvero vibrante. Sa segnalare la partecipazione breve ma assolutamente da ricordare di Noomi Rapace in una delle forme che l’essere soprannaturale assume.

Molto interessante nell’idea di partenza e in molta parte dello sviluppo si è confermato Master di Mariama Diallo (anche sceneggiatrice). Ambientato in una prestigiosa, esclusiva università del New England, questo horror vede protagoniste una giovane studentessa di colore che inizia i corsi nello stesso momento in cui Gail, anch’essa afroamericana, inizia il suo primo anno come decano a cui viene affidato il compito di supervisore degli studenti. Entrambe le donne si dovranno confrontare con un ambiente che nasconde segreti orribili, soprattutto per chi non appartiene alla razza di chi gestisce il college…Alla stessa maniera di un film indiscutibilmente efficace quale è stato Get Out di Jordan Peele, anche Master adopera il genere per parlare di razzismo in un ambiente culturale ben specifico. Il film funziona molto bene quando deve seminare dubbi, irretire lo spettatore con l’angoscia del non visto, renderlo inquieto attraverso i dettagli. Se la storia si dilunga forse un po’ troppo nella seconda parte, questo inficia soltanto in parte l’efficacia di un lungometraggio intelligente, il quale sa bene cosa vuole raccontare e sa come farlo.

Da segnalare anche due lungometraggi horror che ottengono buoni risultati a livello di tensione puntando principalmente sull'affidabilità del prodotto senza tentare di proporre qualcosa di innovativo. Il primo è FRESH di Mimi Cave, incentrato su una donna che dopo alcuni appuntamenti online andati piuttosto male trova l’uomo giusto per caso, al supermercato. Solo che non è esattamente quello giusto…Nel cast troviamo un Sebastian Stan affascinante e mellifluo, che se la deve vedere con la protagonista Daisy Edgar-Jones. L’altro titolo è il film danese Speak No Evil di Christian Tafdrup, al centro del quale c’è una famiglia che, dopo una breve vacanza in Toscana accetta l’invito di un’altra famiglia olandese appena conosciuta e li raggiunge a casa loro. Il crescendo narrativo organizzato non è particolarmente veloce ma immerge il pubblico nella giusta dose di tensione, fino a portarlo a un finale di forte impatto emotivo. Non facile da dimenticare. 


Il meglio del cinema indipendente al femminile

Uno dei lungometraggi migliori presentati al Sundance Online 2022 è stato Call Jane (foto sopra), esordio alla regia cinematografica di quella Phyllis Nagy che qualche ano fa ha ottenuto la nomination all’Oscar per l’adattamento di Carol di Todd Haynes, tratto da Patricia Highsmith. Ambientato nella Chicago del 1968, il suo film racconta della presa di coscienza di Joy (Elizabeth Banks), madre di famiglia borghese che viene in contatto con un movimento clandestino di donne le quali aiutano altre donne ad abortire, dal momento che il processo è ancora illegale nella maggior parte degli Stati Uniti. Aiutata da uno sviluppo narrativo estremamente preciso, che tratteggia situazioni e personaggi con enorme lucidità, la Banks offre una prova matura ed emozionante nella sua saggia compostezza. È lei la spina dorsale di un film di impegno realizzato per scuotere senza indottrinare, arrivando al cuore del pubblico in maniera naturale, coerente. Visivamente molto curato nella sua ricerca di un tono retrò, Call Jane possiede tutte le carte in regola per diventare uno degli “sleeper” della stagione cinematografica, e onestamente lo meriterebbe in pieno. Nel cast anche Chris Messina, Kate Mara, Sigourney Weaver e John Magaro, tutti ammirevoli. 

La sessualità femminile in età più avanzata è il tema principale di Good Luck to You, Leo Grande di Sophie Hyde, in cui la vedova Emma Thompson compra le prestazioni del sex worker Daryl McCormack. Attraverso una serie di incontri che si tengono sempre dentro la stessa camera d’albergo i due impareranno a condividere qualcosa in più del semplice rapporto fisico. Molto ben scritto e capace di sviscerare con gentilezza e onestà molti temi non semplici, il film della Hyde si basa ovviamente sulla performance maiuscola della Thompson, la quale si propone in maniera diversa rispetto alle sue interpretazioni passate con una prova coraggiosa, intima, a tratti vibrante. Pur non risultando efficace al 100% - nel finale un minimo di retorica fa capolino - il film racconta con la necessaria verità un ritratto femminile sfaccettato, che raramente si è visto sul grande schermo sotto tale angolazione.

Altra notevole figura di donna la offre una Aubrey Plaza finalmente convincente in un ruolo drammatico, ovvero quello interpretato in Emily the Criminal. Dramma asciutto e preciso diretto da John Patton Ford, storia che segue le gesta di una donna che, soffocata dai debiti e ostacolata anche da un carattere non propriamente accomodante, si barcamena facendo lavori squallidi, fino a entrare in un giro di truffe con carte di credito false che la porterà a dover lottare per la propria sopravvivenza. La figura di Emily tratteggiata dalla Plaza non è una vittima delle circostanze, non è costretta alle proprie azioni, non ha il coraggio delle eroine action ma non si tira indietro di fronte ai rischi. Una psicologia non retorica e non apologetica, una anti-eroina magnetica che seguiamo pur non amandola ai fino in fondo. La tensione del crime-movie c’è tutta, ed Emily the Criminal funziona sotto tutti i punti di vista. 

Dual è una commedia con uno spunto sci-fi che vede protagonista assoluta una Karen Gillan in gran forma, capace di una doppia prova stilizzata e ferocemente ilare. Quando Sarah scopre di avere una malattia terminale decide di "comprare" un clone esatto di se stessa in modo da sopravvivere in qualche modo alla propria morte. I veri problemi arrivano quando la copia si rivela molto più vitale e attraente della Sarah originale. Realizzato con uno stile volutamente piatto, in modo da far risaltare la prova asciutta e surreale della Gillan, Dual possiede momenti di comicità dettata da situazioni assurde e personaggi ben delineati. Uno specchio deformato e divertente della nostra realtà, di quanto deprimente e disconnessa possa a tratti essere. 


Altri film degni di segnalazione

Chiudiamo la rassegna di titoli presentati al Sundance 2022 con due lungometraggi che hanno incontrato il nostro consenso. Il primo è l’esordio alla regia di Jesse Eisenberg intitolato When You Finish Saving the World (foto sopra), storia del contrasto psicologico che vede l’una contro l’altro una madre fin troppo impegnata nel sociale e il suo figlio adolescente, il quale al contrario conduce una vita superficiale che lo ha reso una piccola star dei social media. Il cuore di questo dramma dal tocco gentile e preciso sono i due protagonisti Julianne Moore e Finn Wolfhard, entrambi capaci di tratteggiare i rispettivi personaggi con verità e profondità evitando accuratamente ogni eccesso caricaturale. Costruito su situazioni emotivamente pregnanti, senza diventare mai inutilmente melodrammatiche, When You Finish Saving the World dipinge un universo familiare comune con la necessaria attenzione ai toni e alle atmosfere. Un film che a nostro avviso rispecchia con accuratezza la sensibilità di Eisenberg. 

L’altro titolo meritevole di segnalazione è Honk for Jesus. Save Your Soul, commedia costruita come un finto documentario volto a raccontare il tentativo di una coppia di pastori evangelisti che tentano di ritornare sulla cresta dell’onda dopo che uno scandalo sessuale ha fatto crollare il loro impero economico. Scritto e diretto da Adamma Ebo il film si regge interamente sulla prova istrionica di Sterling K. Brown e Regina Hall, molto efficaci nell’evidenziare i momenti più corrosivi e parodistici del film. Il risultato è un progetto che non ha paura di rischiare di prendere di mira argomenti e situazioni anche scottanti, con almeno un paio di trovate di sceneggiatura ammirevoli. Honk for Jesus. Save Your Soul sa divertire in maniera velenosa, corrosiva e al tempo stesso riesce a far riflettere su quanto stiamo ridendo. 



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