giovedì 5 ottobre 2017

L'ordine delle cose

Il conflitto su cui si regge soprattutto la parte conclusiva de L'ordine delle cose, l'ultimo film di Andrea Segre, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione “Proiezioni Speciali” è di quelli importanti, un conflitto intorno a cui ruota, ad esempio, un bel pezzo di storia del teatro: da Sofocle a Shakespeare, da Schiller a Kleist, il conflitto fra libertà e necessità, passione e dovere, un conflitto disputato, fra gli altri, anche da Danton e Robespierre ne La Morte di Danton di Georg Büchner, che ha deliziato le platee italiane dell'ultimo anno e mezzo, non solo per merito di Mario Martone, il regista, ma anche per merito dei due protagonisti Paolo Pierobon (Robespierre) e Giuseppe Battiston (Danton). Nel film di Segre li ritroviamo entrambi, entrambi come al solito bravissimi, anche nella forte accentuazione della loro veneticità, d'altra parte più di metà del cast, regista compreso, dal Veneto viene. Pierobon interpreta Corrado un poliziotto divenuto alto funzionario ministeriale, un ex campione di scherma, specializzatosi nel (provare a) gestire situazioni di crisi in zone calde in giro per il mondo, per conto del Ministero dell'Interno e in sinergia con le rispettive ambasciate. Battiston è invece un funzionario d'ambasciata, un po' triste, rassegnato e cinico. L'ambasciata in questione è quella di Tripoli. La missione in questione è aiutare i libici a trattenere i prossimi, futuri profughi sulle rotte del Mediterraneo, cercando di mettere d'accordo i trafficanti, la guardia costiera, il governo, salvaguardando i diritti umani e gli interessi dell'Italia. Il film è equamente suddiviso fra sequenze girate in Italia, a parte poche incursioni romane nei palazzi del Potere e una siciliana, in larga prevalenza in Veneto (Padova ma anche Venezia) e sequenze girate in Libia, in realtà in Tunisia. Questa bipartizione ha forti ripercussioni anche a livello di modalità rappresentativa: le sequenze italiane sono un po' più deboli e televisive, ci raccontano, da un lato, il difficile rapporto di Corrado con i mandanti, il sottosegretario (Roberto Citran), il ministro, vagamente somigliante ad Alfano (il film è stato girato in epoca pre-Minniti) e dall'altro la costellazione familiare: lui che è quasi sempre assente e che anche quando è presente sta con la testa da un'altra parte o gioca a scherma alla Wii, la moglie (Valentina Carnelutti) un po' scialba, la figlia adolescente, il figlio in giro per l'Europa, tutto un po' banalotto con dialoghi poco originali, location un po' dozzinali, con villetta unifamiliare nella banlieue padovana, di quella città che ne La lingua del santo il film del compianto Carlo Mazzacurati si diceva che avesse un PIL equivalente a quello dell'intero Portogallo. Assai più interessante è quando vediamo Corrado in missione, cioè in tutte le scene girate in Libia. Qui, solo qui emerge la complessità del personaggio, solo qui la complessità della situazione da affrontare, solo qui il lavoro documentario compiuto da Segre. Anche se poi è proprio nel corso di una delle incursioni di Corrado in Libia, proprio nel momento in cui il mediatore sembra aver trovato, fra mille compromessi e cedimenti, una soluzione organica al problema per il quale era stato spedito in missione, che il film mostra una debolezza strutturale, lasciandosi andare a una drammaturgia del caso, a un conflitto evenemenziale, che suona decisamente un po' improbabile, legata alla figura di una profuga, di fronte al quale l'uomo tutto di un pezzo, almeno per un po', vacilla. Dopodiché, senza stare a dire esplicitamente che cosa succede, e rimettendo insieme alcuni microepisodi dei minuti precedenti, si capisce, se già non lo si era compreso prima, com'è fatto il personaggio e, fra le altre cose, la ragione che ha indotto il regista a dare questo titolo al film: Corrado è maniaco dell'ordine, riaggiusta i soprammobili perché siano simmetrici con gli altri oggetti presenti sul tavolo, allinea le camicie sul letto prima di metterle in valigia, colleziona ampolle che contengono tutte le sabbie del mondo. A un certo punto sembrerebbe tentato di liberarsi di questa ossessività che freudianamente si è soliti definire anale. Ma poi, fra mille esitazioni e magari anche solo per un pelo (come nella gara di scherma col figlio, vinta appena per 15:14), torna all'ordine, con quel carrello all'indietro finale che inquadra la villetta/prigione di Corrado e famiglia, scelta iconicamente convincente ma forse un po' scontata. Ci sarebbe piaciuto che il film finisse con uno sguardo in macchina, al termine della telefonata decisiva, con Corrado a interrogare lo spettatore: e tu cosa avresti fatto al posto mio?

(L'ordine delle cose); Regia: Andrea Segre sceneggiatura: Andrea Segre, Marco Pettenello; fotografia: Valerio Azzali; montaggio:Benni Atria; interpreti: Paolo Pierobon (Corrado), Giuseppe Battiston (Luigi), Fabrizio Ferracane (Terranova), Valentina Carnelutti (Cristina), Roberto Citran (Grigoletto) produzione: Jolefilm, Mact productions, Raicinema, Sophie Dulac Productions origine: Italia-Francia-Tunisia 2017; durata: 112'.



from Close-Up.it - storie della visione http://ift.tt/2yqtlNQ

Nessun commento:

Posta un commento