mercoledì 18 dicembre 2019

Le versioni cinematografiche del tema di Faust (I)

Il presente saggio breve è tratto dalla rivista Arbor: Ciencia, Pensamiento y Cultura, CLXXXVI 741 enero-febrero (2010), pp. 25-32. L’autrice è María Socorro Suárez Lafuente dell’Università di Oviedo. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.

Il Dottor Faust e il suo singolare tentatore, Mefistofele, sono un argomento molto sfruttato nel mondo artistico occidentale; infatti, dalla fine del XVI secolo li troviamo presenti in una moltitudine di forme espressive: teatro, marionette, poesia, letteratura, opera, musica, pittura, cinema muto e sonoro. L’impari lotta tra i due contendenti affronta da vicino tematiche fondamentali per la coscienza umana e le sue possibilità di trascendenza; quello che siamo e desideriamo essere, la differenza tra quanto osiamo pensare e dire, le cose che consideriamo come appartenenti alle leggi della natura e il nostro atteggiamento di fronte al soprannaturale sono tutti ingredienti alla base del mito faustiano. Forse le ragioni del suo perdurare sono legate al fatto che Mefistofele offre una strada percorribile per cercare aiuto nell’aldilà quando la speranza di trovarne uno in questo mondo si è ormai spenta.

Inizio del mito

 Historia Von Doktor Johann FaustenLa figura del Dottor Faust compare per la prima volta in ambito letterario in quella che può essere definita l’asse principale della leggenda, perché determina la struttura fondamentale del mito e le varianti che lo rendono definibile come tale. Nel 1587 l’editore tedesco Johann Spiess pubblicò il volume Historia Von Doktor Johann Fausten, che si sosteneva essere basato su fatti reali e che aveva lo scopo di rappresentare per i cristiani una lettura esemplare. La traduzione del libro arrivò nelle mani del drammaturgo Christopher Marlowe, che ne trasse l’eccelsa opera teatrale The Tragical History of Doctor Faustus, rappresentata per la prima volta agli inizi dell’ultimo decennio del XVI secolo. L’opera di Marlowe funse da modello per tutti i Faust scritti e allestiti nel XVII e XVIII secolo finché Johann Wolfgang von Goethe pubblicò il suo Faust, in due parti, nel 1832, introducendo importanti modifiche tra cui la presenza di Margherita e la salvezza dello stesso Faust. Già nel XX secolo la figura di Faust si adeguò ai ragionamenti artistici, filosofici o politici di ogni autore – particolare attenzione merita l’opera Doktor Faustus di Thomas Mann pubblicata nel 1947 – .

Le quattro opere maestre citate, pilastri del mito faustiano, devono il loro sviluppo al rapporto tra genere umano e conoscenza in momenti storici differenti. L’opera pubblicata da Johann Spiess nel periodo della Riforma religiosa, ad esempio, nasce dal suo timore che il mondo non mantenga più Dio al centro dell’universo. Il Dottor Faust di Christopher Marlowe, invece, solo alcuni anni dopo, contrappone a questo ragionamento l’idea che la conoscenza non viene soltanto da Dio. Johann Wolfgang von Goethe, in compenso, insigne rappresentante del XIX secolo tedesco, ritiene che la conoscenza umana raggiunga la sua massima espressione quando si manifesta attraverso idee, ordine e azione. Thomas Mann, in pieno movimento modernista, sostiene che l’esperienza umana può essere completa solo nella consapevolezza del bene e del male che si fonde in quella che lui definisce “la testa di Giano” dell’arte. L’arco tematico determinato da queste quattro opere racchiude in sé la moltitudine di varianti faustiane realizzate in ambito artistico negli ultimi quattrocento anni.

Tematiche e personaggi

Le rappresentazioni nel mito faustiano in ambito musicale e cinematografico hanno preservato la base letteraria approfittando, però, di tutto l’istrionismo offerto da questi mezzi espressivi. La struttura primordiale della leggenda, tenendo conto dello sviluppo della tematica nelle quattro opere fondamentali, può riassumersi nei dieci punti seguenti: la personalità di Faust all’inizio dell’opera; il modo in cui Mefistofele si materializza ai suoi occhi; i termini di stipula del patto da parte di entrambi; il modo in cui viene tratteggiata la figura di Mefistofele nel corso dell’opera; lo sviluppo successivo della personalità di Faust; le conseguenze del patto; il ruolo di Margherita e di Elena di Troia; la natura della Notte di Valpurga; le tematiche secondarie, come quella di Wagner, e la fine di Faust. Altri temi primordiali soggiacenti a questa struttura sono: il Bene e il Male e la loro possibile esistenza; le ragioni che inducono una persona a vendere l’anima al diavolo; l’individuazione della domanda fondamentale e di quella in grado di generare maggiore ricchezza artistica; i rapporti di potere tra padrone e servitore e il ruolo, all’interno del mito, dell’amore delle donne.

In origine, Faust può essere buono o cattivo. O si tratta di un personaggio desideroso di salvare l’umanità dalle malattie e dal dolore, oppure cerca di trarre egli stesso vantaggio dal contatto con il maligno e godere di fama, ricchezza e belle donne. La figura di Mefistofele dei primi testi è difficile da invocare; nelle versioni contemporanee, invece, egli appare motu proprio o risponde a una violenta imprecazione di Faust che, di solito, resta stupito dell’effetto. Il patto viene sempre stipulato con il sangue di Faust e di solito dura ventiquattro anni dopo i quali si estingue con la morte del personaggio. Le ultime versioni della storia offrono anche la possibilità di un aggiornamento del mito. Nelle opere classiche, Faust è condannato per l’eternità per aver dubitato di Dio e aver riposto fiducia nel demonio, ma Goethe lo salva per la sua volontà di fare del bene all’umanità e grazie all’amore di Margherita (esattamente come nel Don Juan Tenorio, di José Zorrilla, Doña Inés salva Don Juan). A partire da questo precedente, risalente al XIX secolo, sono molte altre le figure faustiane che si salvano per diversi motivi.

Di solito, dopo le prime straordinarie guarigioni o le scoperte scientifiche più innovative, Faust si disillude nei confronti di Mefistofele anche se quest’ultimo riesce a cancellare la delusione del protagonista grazie ai giochi amorosi di splendide fanciulle che raggirano il giovane dandogli fiducia nelle sue doti di seduttore e permettendogli di compiere una scalata sociale. È proprio Mefistofele, fin dall’inizio, a impedire che Faust si renda conto dei limiti del demonio; il re degli inferi, infatti, non può rispondere a nessuna domanda riguardante l’aldilà né agire per il bene dell’umanità. Per questo incanta Faust con imbrogli, trucchi e relazioni amorose. La prima donna faustiana era Elena di Troia, bella ed eterea, un miraggio storico; Goethe, però, pensò di introdurre l’amore terreno con la figura di Margherita, e anche se Faust, da questo momento in poi, commette più peccati nel senso cristiano del termine facendosi beffe dell’innocenza e della castità, impara comunque a godere dei piaceri di questo mondo e si “umanizza”.

La notte di Valpurga è un istrionismo introdotto da Goethe destinato ad avere ripercussioni anche sui Faust di epoca contemporanea poiché illustra tutto ciò che da sempre è considerato caotico: carnevali, fiere, manifestazioni, sbronze, luoghi di piacere, di travestimento, di peccato ecc…

Le tematiche secondarie sono anch’esse molto istrioniche, molto “cinematografiche”, e anche stavolta l’idea parte da Goethe: i rapporti amorosi di Mefistofele; il comportamento sospetto dell’assistente Wagner; ecc…

Faust è una figura ricorrente nell’arte occidentale perché fin da subito è diventato personificazione dell’uomo moderno, insoddisfatto della sua mortalità e della limitatezza del suo sapere, che si sente tradito dalle promesse divine non mantenute. Con l’ingresso delle donne nel mondo della conoscenza e in un ruolo attivo si assiste alla nascita di Faustine e addirittura Mefistofele al femminile. Il primo esempio di femminilizzazione del tema risale al 1840, anno in cui fu pubblicato La contessa Faustina della tedesca Ida von Hahn-Hahn, e da allora si sono succedute numerose riscritture nonché riallestimenti di questi personaggi femminili.

Louisa May Alcott (Un moderno mefistofele)Il tema faustiano, con relative varianti, è oggetto di un centinaio di riscritture in tutta la letteratura occidentale, e il numero sale a mille se si considerano quelle opere ispirate al tema anche se non lo menzionano esplicitamente. Tra gli autori classici più noti che se ne sono occupati vale la pena citare Gotthold Ephraim Lessing, Elizabeth von Arnim, Nikolaus Lenau, Ivan Sergeevič Turgenev, Louise May Alcott e Marie Corelli. Nel XX secolo si contano tra gli altri Klaus Mann, Dorothy Sayers, Mikhail Bulgakov, Paul Valéry, Hermann Hesse, Orson Welles, Jack Kerouac, Lawrence Durrell, Dylan Thomas, Helene Cixous e Vaclav Havel. Tra gli spagnoli, invece, la tematica è stata affrontata da Estanislao del Campo, Amado Alonso, Adolfo Bioy Casares, Sergio Pitol e Vázquez Figueroa.

Faust al cinema

Un mito così affascinante per le molteplici possibilità di adattamento e allo stesso tempo molto popolare – dal successo garantito e inesauribile a partire dalla fine del XVI secolo – non poteva sfuggire all’interesse dell’arte cinematografica. Va comunque specificato che l’argomento era stato soprattutto oggetto di rappresentazione, sotto forma di opera teatrale o nel XIX secolo nell’ambito del teatro delle marionette per lo più sul territorio tedesco. Dal 1897 alla Prima guerra mondiale furono girate circa trenta versioni del Faust basate per la maggior parte sull’opera di Goethe, e cercando di privilegiare la descrizione del diavolo e la tragica storia dell’amore di Margherita. Di uno dei primi Faust, girato da George Albert Smith nel 1897, Faust and Mephistopheles, si sono conservate solo due scene della durata di poco più di un minuto che corrispondono esattamente ai due eventi descritti sopra: l’aspetto di Mefistofele e la trasformazione caratteriale subita da Faust al vedere Margherita. Fino al 1904 furono girate altre quattro versioni di cui è noto solo l’interesse dei registi per la tematica, visto che possedeva molto potenziale in quanto “cultura di massa” in grado di suscitare un entusiasmo generalizzato tra gli spettatori. Mentre in ambito letterario la tematica faustiana era passata attraverso l’aspetto religioso, etico e morale, al cinema, almeno in un primo momento, ci si preoccupò di mettere in risalto soprattutto le possibilità estetiche e le atrocità visive della leggenda.

Il Faust di Méliès

Georges Méliès girerà tre frammenti della storia a cavallo tra i due secoli (1897, 1898, 1903). In queste pellicole, della durata di circa due minuti e in cui è lo stesso Méliès a impersonare Mefistofele, il regista conta molto sulla presenza di fuoco, fumo, maschere diaboliche e belle donne intente a ballare ovunque. Tuttavia, quando Faust si avvicina al momento della verità e deve consegnare la sua anima al diavolo, tutto si spegne, le ballerine scompaiono e il paesaggio si svuota, senza vegetazione e con forme geometriche, appuntite, che simulano il rifiuto della natura nei confronti del peccatore. L’apoteosi finale si concretizza in una sequenza in mezzo alle rovine, presumibilmente l’anima di Faust, parzialmente inghiottita da dense nubi di fumo nero mentre un Mefistofele detentore del potere assoluto, sollevato da sinuose ballerine, dispiega due ali immense e si trasforma in un enorme pipistrello. La scena rappresenta una delle pietre miliari del percorso faustiano in ambito cinematografico, così come quella in cui Margherita cerca di pregare e chiedere perdono a Dio per tutto il male originato dal suo peccato e Mefistofele, alle sue spalle, dal vestibolo, la distrae affinché non completi la sua preghiera. Margherita, inginocchiata, e Mefistofele, in piedi alle sue spalle, occupano il centro della scena e la dividono in due: l’interno della chiesa, accogliente, illuminato e dalle tinte calde, e l’esterno, freddo, statico e buio; l’opinione del regista riguardo alla tematica trattata non è difficile da intuire, anche perché riserva per se stesso il ruolo del demonio. Méliès descrive l’amore di Margherita rispettando la trama di Goethe e dandogli subito consistenza cinematografica.

Il Faust di Murnau

Il Faust di Friedrich Wilhelm Murnau si distinse nettamente dalle opere precedenti. Girato nel 1926, è considerato un autentico capolavoro. Murnau fonde alcune caratteristiche dei Faust di Spiess e di Goethe e modifica il finale della leggenda a suo piacimento: “si passa dalla versione maschile di Christopher Marlowe a quella filosofica di Goethe fino ad arrivare a una versione libera e istrionica che finirà per ispirare l’opera di Charles Gounod” (National Board of Review of Motion Pictures). La ragione va ricercata nel fatto che la pellicola di Murnau si distingue per la quantità di effetti speciali, riprese innovative e pose teatrali. Murnau considera il cinema il nuovo spazio per la cultura popolare; la Cultura con la C maiuscola va bene per i discorsi solenni e i testi scritti; lui si pone come obiettivo di fare cultura con la minuscola, utilizzando trucchi, immagini visive e illusionismi, non di fare cultura con tematiche impegnate e spiegazioni prolisse. Probabilmente è per questo che la sua opera non fu apprezzata dalle autorità competenti, che decisero di censurarla per immoralità e per il ruolo poco virile di Faust che lascia il protagonismo epico a Gretchen (Margherita) senza fornire spiegazioni sul suo comportamento. Il pubblico, in compenso, apprezzò molto lo sforzo del regista e si identificò nel popolo sofferente, bisognoso di un aiuto esterno, che costituisce l’elemento imprescindibile, se non addirittura centrale, per comprendere le ragioni di Faust e le sue vicissitudini esistenziali.

I primi fotogrammi della pellicola determinano il significato dell’opera: i quattro cavalieri dell’Apocalisse (guerra, pestilenza, fame e morte) si impadroniscono dell’ambiente che li circonda e della scena dove Faust viene raffigurato come una figura patetica, un uomo invecchiato e sconfitto, impotente, malgrado l’estensione delle sue conoscenze, di fronte alla sofferenza altrui che si espande ovunque. Subito si pone il problema del libero arbitrio dell’essere umano: è possibile scegliere liberamente tra il Bene e il Male? Oppure siamo solo giocattoli nelle mani di Dio e del Demonio, un semplice pretesto nelle dispute dialettali tra l’angelo buono e l’angelo cattivo? Il Faust di Murnau, ottimo esempio dell’espressionismo tedesco, è ricco di luci e ombre, piani olandesi e riprese dal basso che sottolineano la trascendenza dell’argomento e ne evidenziano lo stile tenebrista. Faust perde il favore di Dio perché si dispera, diffida di lui, delle sue opere e dei suoi progetti e si vende al diavolo, che gli dà garanzie immediate e risponde subito alla sua chiamata; la messinscena dell’invocazione è ormai diventata un classico: Faust arriva da solo, costantemente seguito dall’ombra deforme di Mefistofele, a un bivio illuminato da una luce incolore e ominosa poiché la sequenza è carica di contraddizioni che acquisiscono significato solo di fronte alla maestosità di quanto sta per succedere. Egli traccia un cerchio intorno a sé e invoca l’aiuto del demonio, con il libro in mano e confrontandosi con le quattro direzioni della bussola: Faust si dona interamente alle forze del male e il Male lo accoglie con notevole spiegamento di meteore, come del resto era logico immaginare. Il personaggio viene poi inghiottito da venti di tempesta, da una spettacolare tormenta e dal fuoco del cerchio da lui prescelto e viene consegnato nelle mani di Mefistofele affinché viva ventiquattro anni di piacere prima di essere riportato all’abisso che si scorge in questa sequenza.

La bellezza del diavolo di René Clair

Da Murnau in poi, i Faust si “modernizzano” senza tuttavia perdere gli effetti speciali. Quello che in compenso si perde è la fede in Dio e nel popolo, e i registi cercano di rappresentare Faust soprattutto come individuo, cosa che accade anche per Mefistofele in particolare per quanto riguarda la sua personalità terrena. Si cerca inoltre di privilegiare l’aspetto intellettuale del mito, con relativi presupposti politici ed economici, rispetto all’istrionismo del Bene e del Male dei primi decenni della storia del cinema. René Clair, in La bellezza del diavolo del 1949, relativizza l’importanza del patto concentrandosi soprattutto sullo scontro verbale tra Faust e Mefistofele, tra un potere e l’altro. La storia di Gretchen diventa un episodio come tanti all’interno della narrazione e il tema faustiano si secolarizza. Un certo Professor Faust, appena ritiratosi dall’attività e frustrato per non aver ottenuto risultati importanti durante la sua carriera professionale, riceve la visita di Mefistofele, che gli offre la giovinezza e, con essa, una seconda opportunità. Faust, prima di sottoscrivere il patto, gli chiede di poter vedere il futuro, il che determina l’effetto originale ottenuto dalla pellicola di René Clair attraverso lo sviluppo di due linee temporali parallele: lo spettatore vede il Faust giovane e il Faust anziano (rispettivamente Gérard Philipe e Michel Simon) che discutono sull’utilità o meno di consegnare la propria anima al diavolo e sul contenuto morale delle scoperte scientifiche che sono in grado di portare a compimento per mano di Mefistofele; scoperte che suscitano lo stupore di entrambi i Faust.

Un altro colpo di scena è rappresentato dal fatto che il Faust anziano funge da Mefistofele per il Faust giovane, il che rende ancora più ambigua l’identità di entrambi agli occhi dello spettatore; lo scopo intellettuale di René Clair è però proprio questo: dimostrare la teoria, da lui stesso sostenuta, secondo la quale ogni persona possiede un lato faustiano e un lato mefistofelico e l’impossibilità di determinare con precisione dove comincia l’uno e finisce l’altro. Vedendo il suo futuro, il Professore resta talmente sconvolto dalla visione della sua vecchiaia solitaria e priva di risultati degni di nota in ambito scientifico, sostenuta solo dai ricordi del potere tirannico esercitato nella maturità della vita, da chiedere a Mefistofele di cambiare la storia; come sempre, quest’ultimo gli risponde di non possedere un simile potere ma di essere solo in grado di offrire ai due Faust il carpe diem, un piacere di cui godere immediatamente e nulla più. La tragedia del Faust rappresentato da René Clair è che la brama di successo, potere e donne ha raggiunto il suo apice in un momento specifico e il patto era già stato firmato con il sangue molto prima del nefasto finale.

Le versioni cinematografiche del tema di Faust (II)



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