Il Bari International Film Festival 2021 non poteva non avere fra i suoi ospiti e dedicare un’intera giornata a una delle icone cinematografiche regionali più importanti: Lino Banfi. L'attore di Canosa ha ricevuto il Premio alla Carriera, è intervenuto durante la presentazione del libro biografico "Le molte vite di Lino Banfi", scritto da Alfredo Baldi e sulla cui quarta di copertina si legge: "Cavaliere, Commendatore, Grand'Ufficiale, Cavaliere di Gran Croce, Ambasciatore Unicef, Membro Unesco... e anche discreto attore".
Banfi ha anche tenuto una masterclass al Petruzzelli, intrattenendo il pubblico per un'ora e mezza e raccontando di quando era un seminarista, dello zio Michele che gli insegnò a dire: "Ti spezzo il capocollo", degli anni del cabaret. Lino ha anche parlato di Paolo Vilaggio e del suo ultimo straziante incontro con Laura Antonelli. Infine si è scusato con la città di Bari per aver trasformato, nel parlato, tutte le "a" in "e".
La prima volta al Teatro Petruzzelli
Nel '65, '66 Domenico Modugno pensò bene di fare una tournée teatrale e di prendere una compagnia di avanspettacolo, scelse la compagnia dove c'eravamo io e un comico siciliano di nome Nino Terzo. Non so se ve lo ricordate, era uno con i baffoni neri che lavorava sempre con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Era una bella compagnia, un po’ più dignitosa delle altre, io facevo il comico e a un certo punto presentavo Modugno. In un palchetto c'erano mia madre e mio padre che erano venuti da Canosa a vedermi. Io non mettevo mai sui contratti né Canosa né Andria quando facevo questi spettacoli, perché mi vergognavo di farmi vedere dalle persone che mi conoscevano. Quella sera però Mimmo Modugno disse: "Questo signore ricordatevelo, perché diventerà famoso". Dopo lo spettacolo mio padre mi disse: "Può darsi che d'ora in poi, se tu diventi famoso, non avrò più bisogno di togliermi sempre il cappello". Gli risposi: "Può darsi che da questo momento in avanti a Canosa saranno gli altri a togliersi il cappello quando ti incontrano".
Lino Banfi in seminario
Io da bambino, dagli 11 a 15 anni, studiavo per diventare prete ad Andria, e quando mio padre e mio zio venivano a trovarmi, mi sfottevano: "Madonna, tieni proprio la faccia del cardinale”, e mio zio Michele, che è quello che mi ha insegnato a dire: "Ti spezzo il capocollo, ti metto l'intestino a tracollo", commentava: "Beh, che ne sai, cardinale… potrebbe diventare pure papa". A me piaceva studiare, e mio padre disse: "Quando uno ha voglia di studiare, o fa l'avvocato, così diventa notaio, o va fare il prete, così diventa cardinale". Decidevano loro. Devo confessare che ho saltato due fasi davvero belle della vita: la fanciullezza e l'adolescenza. La fanciullezza perché c'era la guerra, dovevi scappare, c'erano le bombe, e l'adolescenza per via del seminario, dove fui responsabilizzato subito, dove studiai latino, greco, filosofia, tutte cosa che mi sono servite in seguito. Il mio sogno era diventare chirurgo e pensate che ho aiutato a far nascere i miei nipotini. Comunque dal seminario mi hanno cacciato insieme a un compagno che poi è diventato cardiochirurgo. Eravamo irrequieti. Una sera volevamo andare a vedere un convento di suore di clausura che stava accanto a noi: non ci riuscimmo, ma fummo beccati e cacciati via. Venne convocato il vescovo, che disse: "Meglio due ragazzi cacciati dal seminario oggi che due cattivi sacerdoti domani", e poi aggiunse, guardandomi: "Zagaria, perché piangi? Tu devi essere contento, perché la tua vocazione non è quella di fare il prete ma è quella di far ridere le persone".
Le scuse alla Puglia e a Bari
Sono rimasto poco in Puglia, sono andato via presto con una compagnia di varietà, ecco perché avverto spesso il richiamo della regione, soprattutto della mia provincia, per sentirne gli odori innanzitutto. Dopo anni, mi pento pubblicamente perché ho esagerato a dire: "Beri, lu mere". Adesso cercherò di non dire né "a" ne "e". Perché se un barese, per esempio, andava alla Bocconi e spiegava: "Sono di Bari", lo prendevano in giro dicendogli: "Ah, di Beri, come Lino Banfi", e lui si arrabbiava. Ma io non avevo colpa, perché il mio desiderio è stato sempre quello di aprire il sentiero della pugliesità. Ho cominciato a zappare dell'avanspettacolo, scegliendo un linguaggio che poi avrei usato nei film, e oggi spero di essere riuscito, zappando zappando, a spianare un piccolo terreno.
Gli inizi della carriera
Lavoravo in un varietà e guadagnavo poco, e a Roma c’erano mia moglie Lucia e mia figlia Rosanna. Dopo 11 anni di questa vita mi fermai a nella capitale a fare il cabaret, al Puff di Lando Fiorini. Guadagnavo ancora di meno, così la mattina mi trovai un lavoro da cameriere, per fortuna avevo frequentato la scuola alberghiera. La mattina andavo a Frascati a servire ai tavoli ai matrimoni, poi alle otto tornavo a casa con i piedi gonfi a farmi la doccia e quindi correvo al cabaret. E là successe tutto, là mi vide Vittorio De Sica, là mi vide Dino De Laurentiis e cominciò a farmi fare qualche film, poi Franco e Ciccio mi presentarono ad alcune persone. Tutto il resto è storia, come Il mio primo film da protagonista, che si intitolava Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia. Credo di aver raggiunto gli 88 - 90 film da protagonista.
Alighiero Noschese
Alighiero Noschese, oltre a essere imitatore, era bilaureato (in legge e filosofia). Si sparò in bocca per essere sicuro di morire, cominciò a soffrire di depressione perché c'erano le tv private, iniziava a venir fuori Gigi Sabani. Noschese capì che non sarebbe stato più l'unico imitatore d'Italia. Mi voleva molto bene, abbiamo lavorato spesso insieme con Dino De Laurentiis, facevamo film comici che funzionavano molto, nel primo io interpretavo un gay esasperatamente gay, cosa che oggi non si potrebbe fare mai, però la gente rideva da morire. De Laurentiis fece la prima in un cinema vicino a Pomezia e alla gente veniva chiesto di scrivere la propria opinione. Scrivevano: mi è piaciuto di più Noschese, mi è piaciuto di più Enrico Montesano. Erano loro i protagonisti. Allo spoglio delle schede scoprimmo che il gay pugliese aveva avuto un altissimo gradimento.
Paolo Villaggio
Ho girato una decina di film con Paolo Villaggio e sono onorato di averlo fatto, perché bisogna ricordare il suo talento. Però va rammentata anche la sua cialtroneria nella vita: era un uomo casinista, casinaro, metteva il cioccolato insieme alle fave e alla cicoria, ma non è stato mai invidioso dei colleghi, andavamo d'accordo su tutto. L'unica cosa che mi infastidiva era che arrivava sul set sempre in ritardo. Una mattina mi arrabbiai e dissi al mio autista: "Arriviamo in tempo fuori da Cinecittà, ma non entrare, entriamo 5 minuti dopo Villaggio". Passarono 3 quarti d'ora, poi vedemmo la macchina di Paolo ed entrammo dopo di lui. Ebbene, quel disgraziato mi aveva visto dallo specchietto e aveva detto all’autista: "Facciamo un giro e riusciamo". Quindi uscì e arrivò un quarto d'ora dopo di me.
Lino e i papi
Prima che lasciasse il pontificato, Papa Ratzinger stava per darmi una onorificenza. Mi voleva molto bene, l'ho incontrato parecchie volte. "Il nonno d'Italia" - mi diceva, e mi abbracciava, mi sorrideva. Un giorno chiese a mia moglie: "La fa ridere suo marito?", e lei: "Mica tanto, Santità", e io: "Non quando sono inchevolato", e lui si mise a ridere. Mi voleva dare una onorificenza che non avevo mai sentito: la commenda di San Leone Magno, che pare che sia una onorificenza che il Vaticano non dà più da anni. Poi subentrò Papa Francesco e la cosa è finita lì. Però vi voglio dare una notizia. Bergoglio mi ha mandato una lettera bellissima, mi ha scritto: "essere il nonno di una nazione è una cosa bellissima".
Piacersi in vecchiaia
Spesso vengo rimproverato dai miei figli e nipoti. Mi dicono: "Ma tu ti butti troppo giù, tu parli con quel ministro e sei felice di essere stato chiamato, ma guarda che tu sei più importante di lui, perché un ministro passa, mentre tu è 60 anni che stai sulla ribalta". Insomma mi aprono gli occhi, però questa volta sono contento di me stesso. Comincio a piacermi nella vecchiaia. Fino a un po’ di anni fa dicevo: "Madonna, non mi amo più". Adesso non la penso così, perché ho saputo reinventarmi prendendo spunto dai personaggi che porto dentro di me: perché Nonno Libero, il Commissario Lo Gatto e Oronzo Canà sono tre personaggi che convivono con me, e quindi devono anche con-morire con me, e come cavolo facciamo a stare nella cassa, che siamo tutti 10 chili l’uno?
L'allenatore nel pallone
L'allenatore nel pallone nasce così. Non so se sapete che è esistito un grande allenatore pugliese che si chiamava Oronzo Pugliese. Io non l'avevo mai conosciuto, ma sapevo che era simpaticissimo con i giocatori. Nell'82 volavo ogni settimana da Roma a Milano per una striscia televisiva che facevo insieme ad Anna Mazzamauro, e una volta incontrai Nils Liedholm, che allora allenava la Roma. Lui sapeva che ero romanista, aveva visto dei miei film e un giorno mi disse: "Oh, Lino, ma tu hai mai fatto dei film sul calcio? Perché non fai la vita di Oronzo Pugliese?". Allora mi sedetti vicino a lui e Nils continuò: "Oronzo andava allo stadio portandosi dietro una gallina… Era sanguigno, spesso lo cacciavano via", e io: "Ok, possiamo chiamare il film L'allenatore nel pallone", e lui: "Bello il titolo. Dimmelo se poi fai il film, che così interpreto una particina". Allora tornai a Roma, chiamai Sergio Martino e gli proposi il film, e gli dissi che per me era fondamentale che, non potendo chiamare il protagonista Oronzo Pugliese, Il suo cognome fosse Canà. "E perché Canà?" - mi chiesero. Risposi: "Perché avendo mia moglie che si chiama Mara, diventa Maracanà e andiamo a girare in Brasile". E infatti andammo a Rio per una settimana.
I film "sporcarelli"
Oggi rifarei tutto quello che ho fatto, forse però con una mentalità cambiata, più matura, di uomo più esperto che ha saputo più cose, che ha capito più cose. Tanti critici mi dicono: "Lino, io mi sono pentito”, io li accolgo come un prete: "Dimmi", "Io andavo a vedere i tuoi film di nascosto negli anni '70", "E perché?", "Perché facevo il critico per Repubblica, porca puttena. Potevo scrivere di aver visto due film di Banfi uno dietro l'altro e che li avrei rivisti?", "Ti capisco, forse anche io al posto tuo avrei fatto la stessa cosa". Oggi invece sono tutti d'accordo nell'affermare: "Banfi rappresenta una fetta importante del nostro cinema". Li chiamavano film sporcarelli. Ma come? Ma se Gloria Guida, Edwige Fenech eccetera si facevano 4 volte la doccia?!".
Laura Antonelli
Nel suo caso c'entra più la donna che l'attrice. Laura Antonelli capiva che i suoi giorni stavano finendo, così lasciò scritto: "Se mi succede qualcosa, avvertite Lino Banfi". Mi chiamarono all'improvviso, io stavo a Milano, ho fatto in tempo a vederla. Chi è che non era innamorato di Laura Antonelli fra gli attori che avevano lavorato insieme a lei? Io con Laura ho fatto un film in cui ero un venditore di orecchiette già confezionate, Ho insegnato a Laura a parlare un po’ con l'accento nostro, poi l'ho aiutata nel periodo in cui stava inguaiata, le avevano venduto tutti i gioielli che aveva per pagare gli avvocati, perché le avevano detto che era trafficante di droga, mentre penso che la usasse solo per lei. Laura ci cascò, però io sentii il bisogno darle una mano finanziariamente. Le dicevo: "Laura, ma ti posso venire a salutare?", "No, Lino, tu mi devi rammentare come 15 anni fa, perché devi avere un bel ricordo". Finché un giorno le dissi: "Devo andare in Argentina a fare una fiction. Vengo a Cerveteri così ti do quell'aiutino che tu sai che io ti do volentieri e poi parto", "E va bene, Lino, vieni". Per me fu una botta al cuore, me la trovai davanti ingrassatissima, tutta diversa, sfigurata dai ritocchi estetici, vestita con un saio, il crocefisso di legno come una suora. Poi mi fece vedere il lettino della sua stanza, l'armadio, la pasta che le mandava la parrocchia. "Laura, ma è questa la tua situazione? Quanto prendi di pensione?", "500 Euro al mese, non mi bastano neanche per le sigarette", e allora scrissi una lettera a un ministro di Berlusconi che scatenò polemiche, quindi mi tolsi di mezzo. Quando morì andammo solo io e suo fratello dal Canada.
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