Pino. Nome proprio di persona.
Pino nel senso di Pino Pascali, artista d'avanguardia che aveva attirato su di sé l'attenzione del mondo dell'arte italiano (e non solo) dalla fine degli anni Cinquanta e per tutti i Sessanta, prima di morire giovanissimo dopo un incidente avvenuto in un sottopasso romano, quello del Muro Torto, in sella all'amata motocicletta. Era un 11 settembre.
Pascali, passato da Polignano a Roma via Napoli, dalla pop art all'arte povera con incurisioni nell'arte performativa, esposto nella leggendaria galleria di Fabio Sargentini a Roma, e alla Biennale del '68, quella dell'anno della contestazione studentesca.
Proprio dalla galleria di Sargentini, è di recente stata acquistata dalla Fondazione Pino Pascali una delle sue ultime opere. Una delle più note: "Cinque bachi da seta e un bozzolo". Un passaggio importante, simbolico, che riporta Pascali da Roma a Polignano. Dalla città al mare, quel mare che amava visceralmente, e che aveva fatto diventare un'installazione , "32 metri quadrati di mare circa", oggi esposta alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna.
A partire da questo ritorno a casa Walter Fasano, storico montatore di Luca Guadagnino, ma non solo (suo anche il montaggio di film di Dario Argento, e dell'America Latina dei D'Innocenzo Bros di prossima uscita), ha costruito un documentario. Pino. Nome proprio di film.
Un documentario d'arte su un artista. Breve, compatto, astratto. Concretissimo. Bianco e nero, voci narranti di Suzanne Vega, Alma Jodorowsky, Monica Guerritore, Michele Riondino. Sospeso tra nouvelle vague e sperimentalismo avanguardista, mette assieme immagini di repertorio, frammenti, opere, foto. Tantissime fgoto. Dello stesso Pascali, di Claudio Abate, Elisabetta Catalano, Ugo Mulas. Di Pino Musi, che è il fotografo che ha documentato il trasloco di "Cinque bachi da seta e un bozzolo" da Roma alla Puglia.
La storia, se di storia si può parlare (forse sarebbe meglio dire Storia) è quella di un ritorno, quindi. Anche del ritorno nella memoria dello spettatore e nel dibattito artistico della figura di Pascali, della sua opera e del suo febbrile attivismo che lo aveva portato a sperimentare scultura, pubblicità, cinema, installazioni. Sempre a modo suo. Sempre in maniera personalissima.
Il percorso tracciato da Fasano è intenso, affascinante. Mai impervio. Sempre coinvolgente. Vale la pena seguirlo.
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