Scritto con Age e Scarpelli, tra i caposaldi del grande regista, il melò fotoromanzo, tra kitsch e citazioni, è un film che diverte dall'inizio alla fine, con batture e situazioni spassose e interpreti eccezionali. Un toccasana per questi tempi bui.
Nel 1968 Dino Risi scrive assieme ad Age e Scarpelli un altro dei suoi capolavori, Straziami ma di baci saziami, un film così irresistibilmente comico, intelligente e originale che lo abbiamo sempre considerato un antidoto contro la tristezza e il malumore. Conserviamo come una reliquia il dvd firmato dal maestro, che abbiamo avuto la fortuna e l’onore di incontrare tanti anni fa in occasione del restauro de Il segno di Venere. Se siamo anche più legati a questo film che a capolavori come Il sorpasso, Il giovedì, Il boom, L’ombrellone, Il vedovo, Una vita difficle, La marcia su Roma, Poveri ma belli e moltissimi altri firmati da questo grandissimo autore del nostro cinema, è proprio per la sua natura di “feel good movie”, e qua ve ne raccontiamo le delizie, invitandovi a vederlo o rivederlo proprio di questi tempi amari. Riderete coi protagonisti ma ovviamente anche di loro, canticchierete le canzoni, vi commuoverete nel ivedere Roma e l’Italia com’erano, vi entusiasmerete per le interpretazioni di Nino Manfredi e Ugo Tognazzi, riconoscerete le citazioni o forse - se siete giovani - non lo farete, ma sarete benissimo in grado di cogliere tutta la carica comica di un film che per il geniale lavoro sul linguaggio ricorda il Brancaleone di Monicelli. Omaggio ai vecchi fotoromanzi e melodramma popolare a lieto fine, Straziami ma di baci saziami è una vera e propria delizia.
Straziami ma di baci saziami: la storia
Il ciociaro Balestrini Marino e la marchigiana Di Giovanni Marisa si incontrano brevemente durante una manifestazione a Roma di gruppi folcloristici delle varie regioni ed è subito colpo di fulmine, tanto che il primo, provetto barbiere col ciuffo alla Little Tony, prende in pieno inverno un treno che attraversa paesaggi innevati per trasferirsi nel suo paese. Dopo la morte del padre di lei, contrario alle nozze, la coppia sta per sposarsi quando la padrona della pensione dove vive Marino, una vedova respinta dopo l'ennesimo tentativo di seduzione, gli insinua il dubbio che Marisa sia di facili costumi e sia andata a letto, in passato, con l’aitante Scortichini Bruno, Offesa, Marisa va a Roma e quando scopre la verità Marino parte per cercarla e chiederle perdono. Dopo varie peripezie, che lo vedono ridursi a senzatetto, Marino tenta il suicidio e, salvato, ritrova l’amata, nel frattempo però sposata a un mite sarto sordomuto, Umberto Ciceri. Scoppia di nuovo la passione tra i due che ordiscono addirittura un piano criminale.
Una sceneggiatura a prova di bomba
Avremmo voluto essere una mosca nella stanza in cui Age, Scarpelli e Risi scrissero quella storia e quelle indimenticabili battute. Ce li immaginiamo ridere come matti e divertirsi come bambini, mentre mettevano insieme questa sceneggiatura a orologeria, con situazioni e battute esilaranti, dando vita a personaggi provinciali e romantici, nutriti a canzonette, fotoromanzi e filmoni romantici, ma tuttavia molto più vivi e simpatici dei ricchi borghesi fustigati in una celebre scena. E’ il 1968 e tutto sta per esplodere nel mondo, ma Marino e Marisa vivono in una loro realtà e parlano un loro linguaggio, che è una delle invenzioni più geniali del film. Lei è marchigiana e lui (com’era Manfredi nella realtà) ciociaro, ma il loro modo di parlare è volutamente accentuato e sgrammaticato, con cui si lanciano in poetici voli pindarici distruitti da pasticci verbali e folgoranti ironie, produce risate a getto continuo. Del loro dialetto Risi disse che i due parlano “un linguaggio storpiato da un generico idioma campagnolo centroitalico, con vaghe risonanze piceno-maceratesi”, infarcito da versi di celebri canzoni dell’epoca. Non sono consci di se stessi ma si immedesimano nel dramma raccontato dal Dottor Zhivago di David Lean che vedono insieme al cinema (e che in una scena riappare nel delirio di Marino dopo che ha perduto Marisa). Gli autori dipingono un’Italia che ancora resiste ma che sta per esser spazzata via dalla modernità, con lo specchio deformante del ridicolo, in una commedia che ha modelli ben precisi e in alcuni casi, come vedremo, alti. Nella storia compaiono, in brevi siparietti o citazioni temi di cui si inizia a parlare all’epoca: i rapporti omosessuali, la pillola anticoncezionale e la mania psicanalitica che comincia a imperversare.
Alcune battute memorabili del film
Sono davvero tantissime e non vogliamo certo rovinarvele, ma ce ne concederete qualcuna. Come non ridere di gusto quando Marino/Manfredi entra nell’agenzia di collocamento (anzi, “di collegamento”) dicendone timidamente il nome: “Permesso? Ladies and Gentlemen?” e il titolare (Checco Durante) imbufalito e intento a raccogliere dei fogli da terra risponde con una sequela di insulti rivolti alle sue clienti irriconoscenti: “pijasse un corpo a voi e a quei disgraziati cornutacci dei vostri padri. Ammesso che ce l’avete un padre”? E alla domanda accorata del barbiere sul destino dell’amata, dall’uomo descritta in modo tutt’altro che lusinghiero, riceve come risposta “Io l’ho mannata a vaffa, ma se c’è annata non lo so”. E che dire dell'elenco dei tagli che Marino porta come referenza al barbiere di Sacrofante Marche? Questi sono quelli moderni “Scultura a rasoio, taglio strinato a candela, stiramento capello riccio a phon, cotonatura, stile Ringo, taglio a spazzola, a pioggia, a scalare, pizzuto, a pera, eseguisco anche il taglio capellone, benché esso ormai al tramonto, ma si capita!”. Incomparabile poi l’espressione impassibile di Manfredi (quella che gli anglofoni chiamerebbero deadpan) quando uno scalcinato Babbo Natale gli consiglia di chiamare il Telefono Amico dicendogli “io stavo peggio di te e ho chiamato” e lui risponde “E hai trovato occupato?”. O l’aria scoraggiata che assume quando il solito bene intenzionato che nemmeno lo ascolta gli offre una sigaretta con l’invito “se la fumi dopo i pasti” e lui risponde “Dopo i pasti? I pasti di chi?”. A prescindere da quante volte abbiamo visto il film, ridiamo ogni volta come la prima.
Straziami ma di baci saziami: I meravigliosi interpreti
Dino Risi è sempre stato bravissimo nel dirigere i suoi attori, che erano davvero i suoi “mostri”, e in più aveva a disposizione autentici campioni di comicità. In Straziami ma di baci saziami Nino Manfredi e Ugo Tognazzi, due attori molto amati e spesso diretti dal regista, danno il meglio della loro arte. Manfredi dimostra la sua caratura di grande interprete non solo nel modo di interpretare le battute, ma nel mutare continuo dei toni a seconda dello sviluppo del racconto, creando un personaggio indimenticabile. Sempre bravissimo, lo è in particolare a parer nostro nella scena del pranzo con l’amata Marisa e l’ignaro sarto sordomuto, quando si presenta a lei come un Conte di Montecristo in cerca di vendetta, iniziando con lei uno scambio di battute taglienti e sarcastiche, prima di soccombere alla peccaminosa attrazione reciproca. Ugo Tognazzi, che ha un ruolo minore (come tempo in scena, non a livello di importanza) sfodera una performance tenera e bellissima nei panni del devoto Umberto, che ha perso udito e favella per lo shock del bombardamento di San Lorenzo, santo a cui per altro è devoto. La sua grazia e la sua assoluta credibilità ricordano l’arte di un grande mimo e finto sordomuto come Harpo Marx. E poi c’è Pamela Tiffin, la giovane attrice americana che in quel periodo lavora in Italia e che risulta perfetta nel ruolo dell’ingenua (ma non troppo) ragazza di provincia italiana, in una scelta di casting che sulla carta sembrava azzardata ma che dimostra ancora una volta la bravura di Risi nel creare un’alchimia tangibile tra attori di provenienza ed età molto diversa. Nella parte della maliarda e sfortunata seduttrice c’è Moira Orfei, mentre nel ruolo di Scortichini Bruno (rigorosamente cognome e nome) c’è il wrestler e forzuto Samson Burke, che finirà la sua carriera in Magnum P.I., vent’anni dopo. L’industriale cafone che caccia Marino è interpretato da un altro noto caratterista del nostro cinema, Gigi Ballista.
L'importanza della musica in Straziami ma di baci saziami
Le musiche – e soprattutto le canzoni - sono fondamentali nel film, perché sono la forma di comunicazione popolare con cui si esprimono i protagonisti. Il tema del film di Armando Trovajoli è ripreso dalla canzone di Marisa Sannia “Io ti sento”, che ascoltiamo anche cantata. Della Sannia viene citata anche "Casa bianca", mentre si parla del testo di “L'Immensità” di Don Backy, una ragazza canta “Ragazzo triste” di Patty Pravo e in uno dei momenti (melo)drammatici del film, Marino, dando un presunto addio a Marisa pronuncia la frase “La musica è finita, gli amici se ne vanno”, dalla canzone che Ornella Vanoni aveva portato al successo a Sanremo l’anno precedente. Anche l’uso delle canzoni come parte integrante della comunicazione tra i giovani nella società dell’epoca, viene colto e utilizzato dagli autori in modo ironico e puntuale.
L’omaggio a Billy Wilder
In una bellissima scena del film, ambientata durante una squallida festa di Carnevale, Marino, Marisa e l’ignaro Umberto sono mascherati rispettivamente da Spagnola, da Fata Turchina e da Pellerossa e a un certo punto Marino e Umberto ballano insieme il tango. Dino Risi, che ha sempre dichiarato la sua ammirazione per il cinema di Billy Wilder, non si lascia sfuggire l’occasione per rendere omaggio a uno dei suoi capolavori, A qualcuno piace caldo, riproducendone un’inquadratura in cui Manfredi corrisponde a Lemmon in quella celebre commedia. A voi il piacere di scoprirla.
Se volete andare sul set di Straziami ma di baci saziami, noi la macchina del tempo non ve la possiamo fornire, ma potete andare a questo indirizzo, dove troverete un breve filmato dell’epoca con interviste ai protagonisti. https://ift.tt/3aF4SUn.
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