lunedì 30 maggio 2016

Ultima fermata: intervista a Francesco Dainotti, produttore e fondatore della Gekon Productions

Dopo essersi aggiudicato numerosi premi in festival nazionali ed internazionali e aver ottenuto una nomination ai David di Donatello (quella per miglior attrice non protagonista a Claudia Cardinale), Ultima fermata, opera prima di Giambattista Assanti, riesce a rompere il silenzio sulla tratta ferroviaria Avellino-Rocchetta S. Antonio, sospesa nel 2010 ed ora oggetto di un disegno di legge sulle ferrovie turistiche proposto dalla senatrice Anna Maria Carloni.

Grazie al coraggio del regista, dei produttori – in particolare, Francesco Dainotti, che con la sua Gekon Productions ha fortemente creduto nel progetto – e al continuo sostegno delle associazioni del territorio, la riapertura della tratta, oggi non è più un sogno. La ferrovia, infatti è la vera protagonista del film, ritratto corale dell'Italia di ieri e di oggi. Grazie anche all'utilizzo di materiali di repertorio degli anni Cinquanta, la pellicola registra la realtà di un paese in grado di risollevarsi grazie alle piccole realtà rurali che lo compongono, poi destinate a sparire inesorabilmente senza quella linea ferroviaria che, a lungo, ha garantito un tramite con il mondo esterno.

In merito a questa accorata operazione cinematografica, abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche opinione con Francesco Dainotti.

Cosa ti ha affascinato in particolar modo per spingerti a collaborare per la realizzazione di un'opera prima su un argomento così controverso, quanto impegnativo?

Francesco Dainotti: Quando Giambattista Assanti mi ha proposto la lettura del soggetto mi ha affascinato la capacità di utilizzare un tema così originale e anche difficile, come la sospensione di una tratta ferroviaria, per parlare del sud delle nostre origini, di come eravamo e delle occasioni perdute. Un viaggio poetico attraverso i nostri luoghi che sono anche luoghi della memoria. Inoltre, per puro caso, mio padre era un ferroviere e per anni ho respirato da piccolo l'atmosfera che Assanti ha ricreato nel film.

Come nasce la collaborazione con Giambattista Assanti e la sua Gekon Productions?

F.D.: Assanti l'ho conosciuto quando era il direttore artistico e l'ideatore del bellissimo festival Scrivere il Cinema a Mirabella Eclano, in provincia di Avellino, e credo durante una cena ci eravamo promessi di fare qualche cosa insieme e così è successo. Prima ho partecipato ad alcuni spettacoli teatrali e poi è nata la collaborazione per il film.

Come potresti definire l'esperienza di ricerca sul campo e il rapporto che avete instaurato con la gente del posto durante la produzione del film?

F.D.: Devo dire che la ricerca e la preparazione sul campo per il film è stata una delle esperienze più belle ed impegnative della mia vita. In particolar modo devo dire che si è creato un rapporto di grande collaborazione con i cittadini e le istituzioni di Rocchetta Sant'Antonio, paese in provincia di Foggia. Il loro contributo, sia in termini umani che di impegno, è stato fondamentale per la riuscita del film. Dovrei fare un elenco lunghissimo di ringraziamenti, le Istituzioni che si sono succedute, le associazioni ma, soprattutto, la gente che con la sua carica umana hanno quasi protetto tutti i professionisti che hanno partecipato a questa incredibile avventura, a partire da Claudia Cardinale che ha un bellissimo ricordo di quei luoghi.

Ultima fermata è anche un racconto a stampo familiare: il salto generazionale che molti giovani del meridione hanno deciso di vivere a pieno spostandosi al nord ha indubbiamente inciso sul disinteresse di questo, come di molte altre questioni cruciali. Credi che questo tipo di comportamento sia inevitabile, oppure costituisce una specie di colpa dei figli, di questi infaticabili uomini che avevano in mente di costruire qualcosa di importante?

F.D.: Anch'io, essendo siciliano, ho dovuto a malincuore lasciare la mia terra per cercare di realizzarmi in altri luoghi. Credo che questo, in particolare in questi tempi, sia una necessità per molti giovani del sud, anche con qualificate formazioni universitarie, che non hanno colpe ma subiscono un non felice destino per colpa delle scelte sbagliate fatte dai padri negli anni scorsi. I ragazzi di oggi credo che comunque abbiano voglia di tornare per aiutare anche lo sviluppo dei loro territori. Dobbiamo avere fiducia in loro e dare concrete opportunità. In questo caso, mi pare opportuno citare la frase di Cesare Pavese che mi è stata regalata alla presentazione del film Ultima fermata a Piazza Armerina, mio paese d'origine, “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

Come hanno risposto le istituzioni a questo progetto?

F.D.:Abbiamo scelto di produrre questo film di comune accordo con Bianculli, Coviello e Iannone esclusivamente con le nostre forze. Le persone ed alcuni amici delle provincie di Avellino e Foggia e le associazioni sul territorio ci sono state molto vicine.

Con il tuo lavoro, mostri un forte attaccamento nei confronti di progetti di forte impatto sociale. Quanto è più difficile (o facile) produrre film indipendenti con queste caratteristiche, piuttosto che altri maggiormente mainstream e adatti a un mercato più ampio?

F.D.: Oggi è veramente difficile per una produzione indipendente proporre temi di natura sociale non tanto per le difficoltà produttive, che pure esistono, ma soprattutto nel riuscire a trovare dei distributori e degli spazi nelle sale cinematografiche dove sia possibile essere presenti. Esistono moltissimi film, anche belli, che non riescono neanche ad arrivare nelle sale. Per questo, devo dire che sono piuttosto soddisfatto per come è andato il film nelle sale e per i premi e l'accoglienza che ha ricevuto nei festival. In Francia, per esempio, esiste una legge che tutela l'uscita delle opere prime nelle sale cinematografiche, alle volte basterebbero solo copiare. Inoltre, premi come quelli dati a Ken Loach, da sempre impegnato nel sociale e che ammiro tantissimo, per il film I, Daniel Blake Palma D'oro al Festival di Cannes mi aiutano, al momento, a continuare su questa strada.

Per quale motivo hai voluto intraprendere questa professione?

F.D.: Non esiste un vero motivo, esiste un bisogno. Un bisogno di raccontare storie e forse di raccontare se stessi. I fratelli di mio nonno, che non ho mai conosciuto, mio padre mi raccontava che erano dei pupari e cantastorie siciliani. Quando mi vedeva da piccolo giocare con i pupi siciliani, che lui mi comprava, diceva che assomigliavo a loro. Il cinema viene anche da quell'arte e questo forse può essere un motivo.

Puoi svelarci qualcosa in merito ai futuri progetti?

F.D.: A giugno inizio a girare un film impegnativo Confinati a Ponza, sull'aspetto umano di una vicenda storica. Il destino fa incrociare a Ponza due confinati: Nenni e Mussolini, interpretati rispettivamente da Francesco Cordella e Peppino Mazzotta (Fazio di Montalbano). Un'opera preannunciata alla Fondazione Nenni ed attorno alla quale si è acceso molto interesse. Inoltre, nel cast ci saranno Deborah Caprioglio, Bruno Torrisi (reduce del successo televisivo di Boris Giuliano), Carmen Di Marzo e Mariangela Robustelli. Sto lavorando anche ad un altro progetto cinematografico molto impegnativo, al quale tengo molto, che dovrebbe partire a breve e che sarà girato tra Roma e la Sicilia.

Il film è stato proiettato il 22 maggio all'interno della manifestazione Estate in Irpinia 2016, che si svolgerà tra la ferrovia Avellino-Rocchetta ed il borgo di Bagnoli Irpino.



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