martedì 29 novembre 2016

L'amore rubato



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via Cinema Studi - Lo studio del cinema è sul web
Locandina L'amore rubato

Angela, Alessandra, Francesca, Anna, Marina: cinque donne di età diverse, di diversa estrazione sociale e stato civile, protagoniste di altrettante storie di violenza. Violenza di gruppo da parte dei bulletti di una scuola (con aggiunta di minacce via Internet), stalkeraggio, violenza verbale e psicologica, botte fatte passare per incidenti domestici, stupro. È il collage di una forma molto specifica di orrore contemporaneo: la ferocia di certi uomini nei confronti del genere femminile, prima ancora che delle singole donne.
Irish Braschi, regista quarantenne già autore del documentario Io sono nata viaggiando con protagonista Dacia Maraini, adatta per il grande schermo la raccolta di racconti 'L'amore rubato' della scrittrice, riducendo a cinque gli otto ritratti contenuti nel libro e intersecandone le storie, invece che raccontare ognuna come un capitolo a sé: ed è purtroppo un primo errore, poiché l'intuizione della Maraini era proprio quella di identificare delle categorie maschili da cui tenersi alla larga, dando loro un nome che ne codificasse (e rendesse velocemente riconoscibile) l'archetipo da favola nera. L'amore rubato ha una fortissima valenza pedagogica ed è sicuramente meritevole in termini di documento sociale, anche perché mostra il modo in cui le donne, giovani e meno giovani, benestanti o indigenti, cadano nella rete di certi orchi del presente, alcune mostrando anche un certo grado di disponibilità a giustificarne le azioni. Così la moglie malmenata non denuncia il marito, la single affamata d'amore non riconosce la gelosia perniciosa del nuovo compagno, la liceale in cerca di approvazione accetta incautamente un invito da tre semisconosciuti. Il film però è carente nell'accennare ad una spiegazione di certi comportamenti, altrettanto importanti quanto le conseguenze. E questo vale sia per le azioni delle vittime che per quelle dei carnefici. Così fatichiamo a capire perché le protagoniste "accolgano" in qualche misura la violenza che ricevono, o perché gli uomini agiscano in quel modo dissennato e degradante innanzitutto per loro, ricordando che capire le origini di un certo comportamento maschile non serve a giustificarlo ma a difendersene, e a dare a certi uomini la possibilità di affrontare i propri demoni.
Un cast di bravi attori si mette al servizio della storia, con particolare generosità da parte di chi (come Antonello Fassari, nel ruolo di un datore di lavoro che abusa di una dipendente) ha un'immagine pubblica familiare e rassicurante. E ci sono anche figure maschili positive, benché inadeguate: i padri Emilio Solfrizzi e Antonio Catania, il fidanzatino della ragazza stuprata dal datore di lavoro. Ma sarebbe stato più utile tratteggiare queste figure di violenti in modo meno sfumato e quelli delle loro prede in maniera meno ermetica. L'amore rubato rimane a metà strada fra pamphlet educativo, del quale c'è certamente la necessità, e prodotto artistico, del quale manca invece l'incisività di racconto. Su questo tema infatti si sono già espresse in modo memorabile opere coraggiose di grande efficacia cinematografica come La moglie del poliziotto o Después de Lucía e perfino un prodotto commerciale come A letto con il nemico. Ognuno di questi ha trovato una forma filmica memorabile, quella che fa difetto a questo breve resoconto di orrori contemporanei per il resto encomiabile nella sua voglia di denunciarne l'esistenza.

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