Più curiosamente interessante che pienamente riuscito, e comunque tutt'altro che 'minore', Little Joe è il nuovo film di una cineasta che ci ha abituati ad argomenti di spessore, maneggiati con leggerezza (come la fede e la malattia in Lourdes) o con coltissima sensibilità musicale ed estetica (basta citare Amour fou presentato a Cannes nel 2014). Con questa sua nuova produzione austro-anglo-tedesca, Jessica Hausner tenta invece la strada del racconto fantastico, forse non proprio congeniale alla sua personale vena creativa. Beninteso, il suo mestiere, che è quello della regista, la Hausner lo fa in maniera esemplare, e dal punto di vista della messa in scena, delle scelte delle inquadrature e dei movimenti di macchina, è costante, durante la visione, l'impressione che ogni dettaglio sia frutto di una cura quasi maniacale ai ‘segni' contenuti in ogni immagine e in ogni sequenza del film. Little Joe assomiglia però (e nel ricordo, a qualche ora dalla visione, cresce il rispetto per un lavoro certosino di qualità e di attenzione sempre più rare nel cinema contemporaneo), ad un episodio della serie di telefilm statunitensi degli '60 ‘Ai confini della realtà', dove senza necessariamente varcare le soglie della fantascienza, si adombravano, negli anni del Boom economico, inquietudini e smarrimenti attraverso quella dimensione soprannaturale e inconosciuta (la famosa ‘quinta dimensione' che ogni puntata ricordava in esergo) che introducendosi nelle vite normali di ciascuno mettevano in crisi valori e certezze acquisite e date per scontate.
In un laboratorio di botanica viene creata una particolare specie di fiori destinati a non appassire mai, in grado di sprigionare un profumo che crea felicità e buonumore: piante di cui aver cura come un Tamagotchi (ve lo ricordate?), con cui poter perfino parlare, veicolando su di esse un'affettività formattata secondo i parametri delle nuove esigenze di una società contemporanea sempre più anaffettiva e incapace di impostare sui canoni di una naturalezza gestuale e sentimentale la gestione delle relazioni con gli altri, famiglia e amori compresi: tema delicato e massiccio, che declinato secondo una griglia tipica da film di ‘serie B', viene svolto dalla Hausner solo in parte, privilegiando fortunatamente l'impianto cinematografico del racconto; i pregi maggiori di Little Joe sono infatti rintracciabili nella scenografia, nei costumi, nelle luci, nell'organizzazione dell'azione scenica catturata e restituita da un'obiettivo dalla personalità forte e imperiosa, che si insinua fra i protagonisti e li scavalca escludendoli dall'inquadratura, andando a concentrarsi sugli anonimi sfondi di ambienti domestici, sale da pranzo, stanzoni e corridoi, perché a nostra insaputa è in realtà il contesto fisico in cui ci muoviamo a dominare e a plasmare le nostre vite, e non, come forse crediamo, il contrario. Ad analizzarla con trasparenza chirurgica, bisogna ammettere invece che la storia procede schematicamente, a volte lasciando in sospeso suggestioni di cui invano si attende la soluzione o l'epifania, nonostante i mille spunti con cui, nella prima parte del racconto, Little Joe ci incanta e ci irretisce. Ci resteranno tuttavia in memoria, destinati a lasciare il segno forte di un cinema fatto di immagini che superano e oscurano i difetti della trama e del corretto sviluppo della narrazione, i grembiuli verde mela dei botanici, le danze della macchina da presa sui filari dei fiori rossi che sbocciano e sbuffano la propria essenza letale, gli interni asettici e anodini illuminati dalla luce fredda delle lampade a raggi UVA, cullati da una colonna sonora forse un tantino ingombrante ma capace di contribuire alla sensazione di non-luogo geografico e temporale che circola per tutto il film. Niente di memorabile, insomma, ma con caratteristiche che negli anni potrebbero favorire l'inserimento di Little Joe nell'eccentrica e ancora sparuta, in questo lungo e ancora incerto inizio di secolo, lista dei film-culto.
(Little Joe); Regia: Jessica Hausner; sceneggiatura: Jessica Hausner, Géraldine Bajard; fotografia: Martin Gschlacht; montaggio: Karina Ressler; musica: Teiji Ito, Markus Binder; interpreti: Emily Beecham, Ben Whishaw; produzione: Coop99 Filmproduktion, The Bureau, Essential Films; distribuzione: Bac Films; origine: Austria, Germania, Inghilterra, 2019; durata: 105'
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