venerdì 28 aprile 2017

Guardiani della galassia vol. 2

I can't stop this feeling cantava nel 1968 il gruppo pop svedese Blue Swede nel pezzo Hooked on a Feeling ripreso nel “Awesome Mix Vol. 1”, l'ormai mitica cassetta, dono della madre al piccolo Peter Quill (Chris Pratt), futuro Star-Lord, protagonista della saga Marvel “I Guardiani della Galassia”.
E invece, nonostante la trepida attesa, quel piacevole, forse inaspettato, feeling che scaturiva dalla visione del primo capitolo uscito nel 2014, pare proprio essersi interrotto, quando l'imponente macchina cinematografica diretta da James Gunn ha scelto la sicurezza di certe strofe facili, piuttosto che il rischio di nuove invenzioni.
Zero sfumature. In una messa in scena fumettistica per definizione, che di per sé gioca con le citazioni interne, esasperare ulteriormente i tratti di personaggi così fortemente caratterizzati - la gigioneria di Quill, la rudezza di Gamora, la tenerezza di Groot (forse la trovata più riuscita di questo secondo capitolo, insieme allo strategico rientro di Yondu Udonta), il sadomasochismo di Nebula, la strafottenza di Rocket ecc. - nonché i rapporti di ininterrotto, per quanto spesso divertente, punzecchiamento reciproco, finisce per insinuarsi il temutissimo spettro della noia.
A ben poco servono i continui assalti, scontri, imboscate, crolli, rocamboleschi atterraggi sempre più concatenati e inglobati l'uno nell'altro affinché non si lasci nemmeno un secondo di respiro allo spettatore per chiedersi “cosa succederà dopo?”.
“Esplosioni? Pessima idea” diceva Hitchcock, che puntava tutto sull'attesa estenuante di fronte all'implacabile ticchettio delle lancette.
Per quanto riguarda il concetto di esplosione in sé, Dunn sembra non essere affatto d'accordo, e molti, emotivamente collocabili tra il periodo delle elementari e delle medie, sono con lui (“fico, c'erano un sacco di esplosioni” cit. Alessandro, 8 anni).
In quanto al discorso dell'attesa, del dilatare spasmodicamente il momento del raggiungimento dell'apice del piacere della performance esplosiva, beh, il nostro non si tira certo indietro, in un serrato altalenare di drammaticità e umorismo, battute da scaricatori di porto e abbracci in stile orsetti del cuore, nell'attesa di una paventata fine del mondo (“Morte desiderata, non viene mai” cit. Miseria e nobiltà).
Tornando al principio, nel senso genealogico: primo elemento cardine del film del 2014 era il distacco dalla madre, con una scena ad alto tasso di drammaticità, evocativa delle atmosfere classiche dei cult spielberghiani anni '80, da Incontri ravvicinati a E.T., e di grande efficacia nel contesto di un film che si inserisce a pieno titolo nella dimensione dei kolossal di supereroi, in bilico tra solennità interstellare alla Star Wars e i toni più lievi e scanzonati dell'universo Disney.
Un giorno questo dolore ti sarà utile, sembra suggerirci Gunn con un'apertura volta a marchiare lo spettatore con la memoria vivida di un momento di sofferenza, quale quello per la morte di un genitore, riconoscibile come terrestre e universale (rispetto alla multidirezionale, ormai esausta violenza artificiale delle battaglie nell'iperspazio), ma anche pieno di tenerezza e emozione, a sottolineare il legame inscindibile, al di là dell'ineludibile morte terrena, tra madre e figlio.
Legame quest'ultimo, come mito e tragedia dall'antichità raccontano, troppo spesso ingombrante e di difficile subordinazione ad ogni altro tipo di relazione.
Quill, insieme all'intimo ricordo della madre, celebrato con la maturità di un picciotto italiano qualsiasi, porta con sé con allegra baldanza un inevitabile bagaglio di memoria infantile, legata a un immaginario musicale e televisivo infarcito di serie televisive e pubblicità, che coincide perfettamente con quell'entertainment americano anni '80 esportato con successo in (quasi) tutto il mondo.
Il ragazzo conserverà ancora a lungo walkman e cassetta del fantastico mix come coperta di linus a evitargli la fatica di buttarsi nella mischia, ritardando l'ingresso nell'età adulta, rimandando, con interiorizzato meccanismo da soap opera, il naturale, quanto fisiologicamente conflittuale, abboccamento d'amore, incarnando alla perfezione - bicipiti a vista, sguardo sornione e finta pelle borchiata (e nemmeno un filino di imbarazzo per il livello di egocentrismo bloccato a quello di un quindicenne) - la sempre più diffusa categoria degli young adults.
In maniera quasi speculare, l'apertura del secondo capitolo è invece dedicata alla figura del padre, Ego, per l'appunto, (Kurt Russell), nel segno del quale vedremo prevedibilmente dispiegarsi le sempre efficaci e rivitalizzanti, narrativamente parlando, dinamiche da complesso edipico, onnipresenti in qualsivoglia saga interstellare che si rispetti.
Tuttavia, perché la cosa non appaia troppo demodé, è necessario che i, più o meno perversi, rapporti tra consanguinei vadano intrecciati con una dimensione esplicitata della stepfamily (che esisteva anche nel mito antico ma detto così fa più fico). Quindi padri non naturali che ritornano, naturali che partono, sorelle smembrate che si ricompongono, nuovi legami familiari che germogliano (e non è una metafora).
E arriviamo al secondo elemento cardine del Vol. I, sul quale anche questo secondo capitolo vorrebbe incentrare il discorso: l'idea di un insieme di individui che si ritrovano a formare qualcosa in più di una gang scombinata, una sorta di nucleo familiare con dinamiche interne che sembrano uscite fuori dall'Orso di Checov (in fondo in un mood da amici per caso o per destino non molto diverso da quello in cui si muovono i personaggi della saga di Star Wars, ma senza ripeterselo ogni cinque minuti).
Esseri fisicamente e caratterialmente tanto diversi l'uno dall'altro quanto capaci, al di là del gusto per la battuta sardonica, di rivelare inaspettatamente profondo affetto reciproco, e riempire mancanze dal passato. Insomma una sorta di Comune interstellare, dove esplosioni, cataclismi universali, astronavi sgangherate e sagra dello sfotto' possono essere potenzialmente più aggreganti rispetto alla dura realtà di conti per l'affitto, lista della spesa, e turni per lavare i piatti.
Purtroppo però la magia del finale del primo capitolo, che Dunn cerca di evocare nuovamente, forse troppo insistentemente, non si manifesta con la stessa grazia. Così sbandierata - qui e là, su e giù - per riuscire a coprire di senso le oltre due ore di film. L'idea del “We are family” (e mi sfugge in effetti perché il pezzo delle Sister Sledge non sia incluso nell'Awesome Mix Volume 2...) s'impoverisce e riempie il finale di un tasso di smielatezza decisamente al di sopra dei livelli di allerta.

(Guardians of the Galaxy Vol. 2); Regia: James Gunn; sceneggiatura: James Gunn; fotografia: Henry Braham; montaggio: Fred Raskin, Craig Wood; musica: Tyler Bates; interpreti: Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista, Michael Rooker, Kurt Russell, Vin Diesel, Karen Gillan, Bradley Cooper, Pom Klementieff, Sylvester Stallone, Elizabeth Debicki, Chris Sullivan, Sean Gunn, Tommy Flanagan, Laura Haddock, Aaron Schwartz, Ben Browder, Evan Jones, Joe Fria, Stephen Blackehart; produzione: Marvel Studios; distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures: USA, 2017; durata: 137'; webinfo: Sito Ufficiale



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