venerdì 27 gennaio 2017

Riparare i viventi

Riparare i viventi non è un film sulla morte cerebrale, né sullo stato più o meno prolungato di coma che la precede, questioni verso le quali vengono spinte, come a riva, tante cose diverse. Non è in realtà nemmeno un film sulle dinamiche che s'innescano nella vita degli individui che vengono coinvolti in questi eventi drammatici, e sulle loro reazioni. Vorrebbe in parte esserlo ma, forse inconsapevolmente, la regista Katell Quillevere manca saggiamente l'obiettivo. Appena sfiora questi temi, il suo discorso drammaturgico si impoverisce, crolla, per superficialità o propensione al patetico. Dove riesce meglio invece, è nel dar voce alla vita reale e immaginaria che precede e segue l'incontro con la morte.
Il film, tratto dal best seller francese di Maylis de Keranga, racconta in maniera quasi speculare - sia dal punto di vista dello scorrere della storia che della composizione dei personaggi - il contatto tra due microcosmi umani, due famiglie, due persone, attraverso la cessione, da una all'altra, dell'organo vitale per eccellenza, il cuore.
Un trapianto dunque, al quale concorrono intelligenze, competenze, sensibilità incanalate in una routine medica la cui necessaria freddezza e distacco, pur presenti, sono nella realtà ancora più estranianti di quanto questo film ci mostri e ancora, almeno nel nostro Paese, incapaci di chiarezza e onestà su questi temi. Medici e infermieri, accompagnati da personali, alquanto leziose invero, manie e debolezze, si distinguono per una tensione empatica che nulla ha da invidiare a quella dei protagonisti delle confortevoli soap opera contemporanee alla Grey's Anatomy, ma che ha ben poco a che fare con la realtà.
Goffa appare la costruzione dei gruppi familiari: la Seigner continua a riproporre il modello della donna matura di inconfondibile e charmante leggerezza, sebbene un po' irruvidita, dell'ultimo Ozon ma in un contesto di tutt'altro taglio emotivo. Altra madre poco credibile - ancora debitrice della tenera ferocia della Diane di Mommy - Anne Dorval risulta un personaggio sdoppiato, debole nel tenere insieme le due dimensioni del privato, che faticano a respirare nel poco spazio concesso. Tutto appare appena tratteggiato in contrasto con un gusto manierista e pretenzioso (nei riferimenti ai Dardenne, a Gus Van Sant), per un risultato che sembra tirato via.
Riparare i viventi offre i suoi momenti più intensi quando si mescola, come nell'incipit, con lo sguardo acerbo che insegue, legando la struggente nostalgia dell'adolescenza all'ode alla bellezza effimera, alla giovinezza, alla vita. Entrare nel quadro della finestra come nel centro del vortice delle onde. Spingere sui pedali fino all'arrivo della stazione, tutto per una ragazza. Nonostante la pur efficace messa in scena cinematografica - ostinatamente protesa alla prestazione poetica - dei minimi, potenti momenti di visione che la vita è capace di offrirci a un passo dall'abisso del dolore, è inutile provarci, Quillevere, un senso non c'è. Ma l'emozione sì, e tutto è perdonato.

(Réparer les vivants ); Regia: Katell Quillevere; sceneggiatura: Katell Quillévéré, Gilles Taurand; fotografia: Tom Harari; montaggio: Thomas Marchand; musica: Alexandre Desplat; interpreti: Tahar Rahim, Emmanuelle Seigner, Anne Dorval, Bouli Lanners, Kool Shen; produzione: Les Films du Bélier, Les Films Pelléas, Frakas Productions, France 2 Cinéma, Mars Films, Jouror Productions, CN5 Productions, RTBF - Radio Télévision Belge de la Communauté Françaisedistribuzione: Academy Two; origine: Francia, 2016 durata: 104'



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