Nel secondo giorno di Fare Critica, il festival dedicato alla critica teatrale e cinematografica, ideato e diretto da Gianlorenzo Franzì, che si concluderà sabato 23 febbraio, Close-Up ha avuto il piacere di incontrare e dialogare con Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, drammaturghi e attori che compongono il duo Carullo-Minasi, il quale costituisce una delle compagnie teatrali più interessanti ed eclettiche del teatro contemporaneo, che meglio ha saputo riflettere su tematiche attuali e a carattere universale, mettendo in scena spettacoli parodici di ineguagliabile acume.
Il vostro stile persegue una messa in scena arguta e “bizzarra”. Credete sia il modo più efficace per raccontare la realtà moderna?
Carullo-Minasi: «Certo. Bizzarro é un termine che ci affascina moto, perchè collegato a un nostro spettacolo – Delirio bizzarro – e richiama tutto ciò che fuoriesce dalle regole, tutto ciò che non è codificato. Noi partiamo da quella che é la linea che supera il confine, da quello che ci caratterizza e che, spesso, non caratterizza la nostra comunità; partiamo da quella scheggia impazzita e su quello costruiamo un mondo nostro. Riteniamo che, però, sia importante partire da un mondo, il nostro, per arrivare a integrare il mondo che appartiene a tutti, determinando un riconoscimento collettivo. Sicuramente l'ironia è la nostra maggiore cifra, che spicca nei nostri spettacoli; ed é l'unico modo per combattere la piattezza del contemporaneo.
Come nasce il vostro sodalizio?
C-M: «Bè, ciascuno di noi due si occupava delle proprie cose, poi ci siamo fidanzati e, così, siamo finiti anche a lavorare insieme. Poi é capitato che un drammaturgo ci chiedesse di far parte entrambi di uno spettacolo e scoprimmo un certo feeling sul palco. Dopo questa situazione, decidemmo di realizzare Due passi sono...uno spettacolo semplice, che ci ha portato a lavorare insieme, a realizzare questo piccolo grande sogno.»
Credete che il teatro contemporaneo debba pur sempre attingere dal classico? É difficile oggi riproporre a un pubblico giovane alcuni stilemi appartenenti a un teatro più classicista?
C-M: «Si. Personalmente stiamo alternando testi scritti di nostro pungo, anche di improvvisazione scenica pura, con degli altri testi di autori classici, così da imparare dai greci e dai drammaturghi più “alti”. Questi sono riferimenti fondamentali, perchè ti mettono di fronte a un qualcosa di ben definito e codificato, che va comunque interpretato, adattato e poi, magari, anche rivisitato. Ma siamo consapevoli che il contemporaneo vada letto dagli autori classici. Per quanto riguarda la proposizione del teatro classico a un pubblico più giovane, dipende sempre da come lo si mette in scena. Noi, per esempio, abbiamo riproposto Leopardi in chiave ironica; a volte c'é questa patina tragica di testi di autori che vengono fatti in qualche modo odiare, perché non vengono studiati e conosciuti in profondità, non vengono messi in luce come si dovrebbe. Magari si dovrebbe iniziare dagli insegnamenti scolastici, intervenendo affinchè non diventino asettici, così da suscitare la curiosità dei giovani che si approcciano a questi autori.»
Qual é il vostro giudizio sulla critica itinerante?
C-M: «I critici hanno un ruolo molto importante che deve essere salvaguardato ma, allo stesso tempo, non deve essere macchiato da conflitti di interessi e non deve diventare lo strumento attraverso il quale un certo artista può o meno continuare a proporre uno spettacolo. La critica é una faccenda seria. Non ci sentiamo di giudicare la critica, ma ci auguriamo che la critica torni alla sua vecchia funzione, quella di entrare a fondo nelle opere di un autore. Oggigiorno, affinché la critica continui a esistere, é di fondamentale importanza capire quali sono gli obiettivi della critica. Il giudizio di un critico, se obiettivo e non vincolato, è importante anche per la crescita dell'artista o di una compagnia.»
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