Sarasota, Florida, 1974. Christine Chubbuck è una giornalista televisiva di una emittente locale. La ventinovenne austera e misantropa è in cerca di una gratifica professionale ma incapace di relazionarsi con la dirigenza ai vertici che spinge al sensazionalismo delle notizie a scapito della qualità. L'inflessibile e ambiziosa stacanovista non scende a compromessi e perde la bussola e il rispetto per se stessa quando anche il lavoro, suo unico caposaldo, sembra non avere un futuro.
Tratto da un episodio di cronaca realmente accaduto, il film di Antonio Campos, stilisticamente ben eseguito, apre una riflessione su diversi fronti. Il potere del live streaming e della televisione in sé, la meritocrazia sul posto di lavoro, la depressione come tabù, l'immagine della donna nell'America di quattro decenni fà. La narrazione lineare ci presenta gli snodi narrativi uno dopo l'altro senza dare giudizi ma rappresentando semplicemente i fatti. Con pochissimo materiale di ricerca (vi sono soltanto quindici minuti di girato disponibile per cogliere l'essenza della giornalista in video), il regista statunitense sceglie un'ottima prospettiva per umanizzare il personaggio piuttosto che puntare il dito sulla mostruosità del suo gesto estremo.
Infatti, i punti vincenti di Christine sono principalmente tre: la magnifica performance di Rebecca Hall (forse la migliore della sua carriera), completamente trasfigurata e fagocitata dal manierismo della donna; la scelta consapevole del cineasta di aggirare la trappola del suicidio annunciato sin dalle prime battute per dare spazio a una più ampia interpretazione della giovane donna; la riuscitissima atmosfera anni settanta dove si collocano perfettamente tutti i comprimari della Chubbuck. Per citarne alcuni Tracy Letts che interpreta Michael, il cocciuto dirigente del network e antagonista principale di Christine, Michael C. Hall, famosissimo per i suoi ruoli in serie televisive come Dexter e Six Feet Under, che nel film è George, l'affascinante giornalista di cui la protagonista si innamora, e Maria Dizzia nei panni di Jean la collega più vicina alla Chubbuck.
Una pellicola sensazionale e non sensazionalistica su quanto dolore comporti essere un disadattato, un ritratto a tinte forti imbastito grazie all'aiuto della brillante sceneggiatura di Craig Shilowich. E proprio di tinte si può parlare quando si entra nel merito delle tematiche di fondo. L'uso predominante del colore giallo, in tutte le sue sfumature, nelle scenografie, nei vestiti, nelle luci, rimarca visivamente il collegamento con la malattia, l'insicurezza, il pensiero ossessivo. Il film Christine inteso come forma d'arte si colloca dall'altro lato dello spettro cromatico rispetto al documentario Kate Plays Christine, anch'esso presente al festival nella sezione Festa Mobile, che parla della stessa storia ma che manca di profondità e coinvolgimento. L'opera di finzione ha saputo regalare un'interpretazione toccante in memoria di una donna complessa e del suo difficile vissuto.
(Christine); Regia: Antonio Campos (separati da virgola); sceneggiatura: Craig Shilowich; fotografia: Joe Anderson; montaggio: Sofía Subercaseaux; musica: Danny Bensi, Saunder Jurriaans; interpreti: Rebecca Hall (Christine), Michael C. Hall (George), Tracy Letts (Michael), Maria Dizzia (Jean), J. Smith-Cameron (Peg), Tim Simons (Steve), Kim Shaw (Andrea), John Cullum (Bob Anderson), Morgan Spector (Dr. Parsons), Jayson Warner Smith (Mitch), Kimberley Drummond (Gail); produzione: Yes but Film; origine: USA, 2016; durata: 119'
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