martedì 2 febbraio 2021

Steven Spielberg ci ricorda che il cinema non morirà mai

Steven Spielberg ha affidato a Empire Magazine la sua fiducia nella ripartenza del cinema e dell'esperienza in sala: nel dramma del Covid che sta gonfiando a dismisura il potere dello streaming che ci raggiunge nella protezione delle quattro mura, il cinema e tutta la sua filiera stanno soffrendo moltissimo: qualcuno è arrivato a ipotizzare che cinema e sala abbiano ricevuto un colpo non più sanabile da questo shock. Non ne è convinto il regista di E.T., I predatori dell'arca perduta, Schindler's List, Jurassic Park e di tanti altri pezzi della nostra formazione emotiva. Steven Spielberg, che si è unito a contributi analoghi di Edgar Wright, James Cameron, Daisy Ridley, Spike Lee e Daniel Craig sull'ultimo numero di Empire, scrive quel che segue. [foto in alto: Gage Skidmore, da Wikimedia Commons].

Nell'attuale crisi sanitaria, quando i cinema sono chiusi o la loro frequentazione è drasticamente limitata a causa della pandemia globale, mantengo la speranza, quasi una certezza, che quando saremo al sicuro il pubblico tornerà al cinema. Mi sono sempre messo al servizio della comunità di chi va al cinema: letteralmente va al cinema, cioè lasciamo casa nostra e andiamo a guardare i film in compagnia delle persone che contano nella nostra vita, ma anche in compagnia di sconosciuti.
È la magia che viviamo quando andiamo a vedere un film, una rappresentazione teatrale, un concerto o un monologo comico. Non conosciamo tutte quelle persone sedute intorno a noi, ma quando l'esperienza ci fa ridere, piangere, esultare o contemplare, quando le luci si riaccendono e lasciamo i nostri sedili, quelli con cui torniamo nel mondo reale non ci appaiono più totali estranei. Siamo diventati una comunità, vivace nel cuore e nello spirito, o per lo meno accomunata dall'aver condiviso un paio d'ore di un'esperienza potente.
Quel breve intervallo in una sala non cancella le tante cose che ci dividono: razza, classe sociale, religione, genere, politica. Ma il nostro paese e il nostro mondo si sentono meno divisi, meno spaccati, dopo che una congrega di sconosciuti ha riso e pianto ed è saltata sulla poltrona, all'unisono, allo stesso tempo. L'arte ci chiede di essere coscienti del particolare e dell'universale, in parallelo. Ecco perché, di tutte le cose che hanno la possibilità di unirci, nessuna è più potente dell'esperienza condivisa delle arti.
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