venerdì 24 gennaio 2020

Il labirinto del silenzio: la vera storia che ha ispirato il film sull'Olocausto


Diretto da Giulio Ricciarelli, Il labirinto del silenzio racconta il processo di Francoforte degli anni 60 nei confronti di ventidue imputati accusati dei crimini commessi nel campo di concentramento di Auschwitz durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il film tedesco Il labirinto del silenzio, diretto dall'attore e regista italiano Giulio Ricciardelli che vive e lavora da anni in Germania, può essere visto come una sorta di sequel del film Vincitori e vinti diretto da Stanley Kramer nel 1961. Quest'ultimo film raccontava la storia del terzo Processo di Norimberga, quando nella città tedesca nel 1948 venne convocato un nuovo tribunale militare per giudicare quattro magistrati tedeschi per il loro coinvolgimento in  crimini contro l'umanità commessi sotto il regime nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Il labirinto del silenzio, uscito al cinema nel 2014, racconta invece il Processo di Francoforte svoltosi tra il 1963 ed il 1965 nei confronti di una ventina di imputati accusati di atrocità commesse nel campo di concentramento di Auschwitz tra il 1940 ed il 1945.

Il labirinto del silenzio: la storia vera da cui è tratto il film

Il film di Giulio Ricciardelli narra la storia di alcuni uomini e donne che, nonostante una massiccia opposizione sociale e politica, si sono impegnati alla  fine degli anni 50 affinché la Germania smettesse di scappare dal suo passato. Queste persone volevano che la Germania fosse il primo paese al mondo a portare i suoi criminali di guerra davanti alla corte di un tribunale. Ebbe così inizio nel 1963 Il Processo di Francoforte, estremamente importante sia dal punto di vista storicosociale che da quello legale. Fu il primo processo per i crimini nazisti che ebbe luogo in Germania di fronte ad una corte di giustizia tedesca e rappresentò un punto di rottura per una certa inerzia della giustizia tedesca nel perseguire e punire i criminali nazisti. In quel periodo, durante la metà degli anni 60, la Germania stava vivendo un'espansione economica con le sue contraddizioni rappresentate dal Muro di Berlino. L'opinione pubblica non voleva rivangare il passato di venti anni prima, ma era importante invece riconoscere ed elaborare quelle atrocità affinché non accadessero più perché, paradossalmente, c'erano tedeschi che non avevano mai sentito parlare di Auschwitz.

Come si svolse il processo di Francoforte

Diversamente da quelli di Norimberga, il Processo di Francoforte fu più debole da un punto di vista legale perché si svolse secondo le leggi della Repubblica Federale di Germania. Ciò rese più complicato condannare gli imputati che potevano essere accusati solo di fatti specifici, commessi singolarmente, mentre al Processo di Norimberga vigeva le severe leggi internazionali sui crimini di guerra. Il giudice Hofmeyer, che sosteneva fossero ingestibili le forme di processo collettivo e andavano a ledere il diritto degli accusati, puntava a giudicare ogni singolo caso a livello individuale. Questa posizione lo portò allo scontro con il giudice Bauer che investì se stesso portare al processo documenti e testimonianze sul sistema di annientamento utilizzato e sulla struttura del campi, ma allo stesso tempo non ottenne la stessa efficacia sui singoli imputati e nel contestare loro fatti oggettivi specifici. Alla fine le condanne inflitte nel processo di Francoforte furono di entità minore rispetto a quelle del processo di Norimberga, dove su 40 imputati ne vennero condannati 39, di cui 21 condanne a morte e 8 ergastoli. Lo stesso Bauer si dichiarò insoddisfatto dell'esito del processo.



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